Guerra in Trincea, Prima Guerra Mondiale

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view post Posted on 15/10/2010, 15:38

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Se i primi episodi di guerra di trincea si verificarono durante la guerra di secessione americana (1861-1865) e durante la guerra russo-giapponese (1904-1905), è durante la prima guerra mondiale che la guerra di trincea si diffuse su larga scala costituendone sicuramente il capitolo più terribile e sanguinoso. Le novità introdotte dall'evoluzione delle armi da fuoco e di grandi eserciti di leva avevano modificato in maniera drammatica la natura stessa della guerra, ma la dottrina militare non aveva compreso appieno gli effetti e l'estensione di tale cambiamento. Allo scoppio della prima guerra mondiale i comandi militari avevano pianificato un conflitto di breve durata, non molto diverso dalle guerre precedenti.

Ma subito ci si accorse che era possibile respingere un attacco anche disponendo di una copertura molto limitata. Gli attacchi frontali comportavano perdite drammatiche, per cui si riteneva che solo un aggiramento sui fianchi desse qualche possibilità di vittoria. La battaglia della Marna fu appunto il tentativo delle forze franco-inglesi di aggirare le armate tedesche. Questi tentativi di reciproco aggiramento proseguirono con la cosiddetta corsa al mare.

Ma una volta giunti sulle coste della Manica, non esistevano più possibilità di manovra. Ben presto si formò un sistema di trincee ininterrotto, dalla Svizzera al mare del Nord. Il fronte occidentale sarebbe rimasto praticamente fermo per più di tre anni, sino alle offensive di primavera del 1918.

La zona compresa tra le trincee avversarie era chiamata terra di nessuno. La distanza tra le trincee variava a seconda del fronte. Sul fronte francese era, generalmente, di 100 - 250 metri, anche se in alcuni settori (per esempio nei pressi di Vimy) era di soli 25 metri. Dopo il ritiro tedesco sulla linea Hindenburg, la distanza media crebbe sino a più di un chilometro, mentre sul fronte di Gallipoli, in qualche punto, le trincee non distavano più di 15 metri, rendendo possibili degli scontri basati sul lancio di bombe a mano.

Struttura delle trincee
Le trincee venivano quasi sempre scavate seguendo una linea a zig zag, che divideva la trincea in settori, a loro volta uniti da trincee trasversali di collegamento. Non esistevano tratti rettilinei di lunghezza maggiore di 10 metri. In questo modo, qualora una parte della trincea fosse stata conquistata dal nemico, questi non avrebbe avuto modo di colpire d'infilata il resto della trincea. Inoltre questo schema costruttivo riduceva gli effetti di quei proiettili d'artiglieria che colpivano direttamente la trincea. Il lato della trincea rivolto al nemico era chiamato parapetto. Generalmente era munito di un gradino che consentiva di sporgersi oltre il bordo della trincea. I fianchi della trincea erano rinforzati con sacchi di sabbia, tavole, filo di ferro; il fondo era ricoperto di tavole in legno.

La seconda linea di trincee era munita di bunker. Quelli britannici erano scavati in genere ad una profondità che variava tra i 2,5 e i 5 metri, mentre quelli tedeschi erano realizzati generalmente a profondità maggiori, e comunque non inferiori ai quattro metri. Talvolta erano realizzati su più livelli, collegati tra loro con scale in cemento.

Per rendere possibile l'osservazione della linea nemica, nel parapetto erano aperte delle feritoie. Poteva semplicemente trattarsi di una fessura tra i sacchi di sabbia, talvolta protetta da una lastra d'acciaio. I tiratori scelti impiegavano munizioni speciali per forare queste piastre. Un'altra possibilità era quella di impiegare un periscopio. A Gallipoli i soldati alleati svilupparono un particolare "fucile a periscopio" che rendeva possibile colpire il nemico senza esporsi al fuoco avversario.

Vi erano tre metodi per lo scavo delle trincee. Il primo consisteva nello scavare una trincea, contemporaneamente, in tutta la sua lunghezza. Era il metodo più efficiente, perché consentiva di operare con molti uomini su tutta la lunghezza della trincea. Ma se si trattava di una trincea in prima linea, gli uomini sarebbero stati allo scoperto di fronte al fuoco nemico. Pertanto questo metodo veniva impiegato solo lontano dalla prima linea o di notte. La seconda possibilità era di allungare una trincea già esistente. In questo caso vi erano solo 1 o 2 uomini a scavare, ad un estremo della trincea. Chi scavava era in questo modo sufficientemente coperto. Lo svantaggio era che si trattava di un metodo molto lento. Il terzo metodo consisteva nello scavare una sorta di tunnel, di cui alla fine si faceva crollare la copertura. Secondo i manuali dell'esercito britannico, per scavare una trincea di 250 metri erano necessarie sei ore di lavoro da parte di 450 uomini. Una volta terminata, una trincea necessitava comunque di una continua manutenzione, per rimediare ai danni provocati dalle intemperie e dal fuoco nemico.

La morte in trincea
La mortalità dei soldati che presero parte alla prima guerra mondiale si aggira attorno al 10%. Per avere un termine di paragone, nella seconda guerra mondiale questa percentuale fu del 4,5 %. La probabilità di essere feriti era del 56%. Questo senza considerare che i soldati direttamente coinvolti nei combattimenti erano circa 1/4 del totale; gli altri erano impiegati nelle retrovie (artiglieria, sanitari, addetti ai rifornimenti, ecc.). Per un soldato della prima linea la possibilità di superare la guerra senza rimediare una ferita o essere ucciso era molto bassa. Al contrario, fu molto frequente il caso di soldati che vennero feriti più volte durante il loro servizio al fronte. Le ferite più gravi erano provocate dall'artiglieria. Particolarmente temute erano le ferite al volto, che sfiguravano per sempre chi ne fosse colpito.

All'epoca della prima guerra mondiale l'assistenza medica era ancora rudimentale. Non esistevano antibiotici, e anche ferite relativamente leggere potevano facilmente evolvere in una mortale setticemia. Le statistiche dimostrano che i proiettili rivestiti in rame (o in leghe di questo metallo) provocavano ferite meno suscettibili di sviluppare sepsi rispetto ai proiettili con rivestimenti diversi. I medici militari dell'esercito tedesco verificarono che il 12% delle ferite alle gambe e il 23% delle ferite alle braccia avevano un esito letale. Nell'esercito americano morì il 44% di tutti i feriti colpiti da setticemia. Era destinato alla morte la metà dei feriti al capo e il 99% dei feriti al ventre.

Tre quarti delle ferite era provocata dalle schegge dei proiettili dell'artiglieria. Si trattava di ferite spesso più pericolose e più cruente di quelle provocate dalle armi leggere. L'esplosione di una granata provocava una pioggia di macerie, che, penetrando nella ferita, rendeva molto più probabile l'insorgere di un'infezione. Altrettanto micidiale era lo spostamento d'aria provocato dall'esplosione. In aggiunta ai danni fisici vi erano quelli psicologici. I soldati sottoposti ad un bombardamento di lunga durata (sulla Somme il bombardamento preparatorio britannico durò una settimana) soffrivano spesso di sindrome da stress postraumatico (in Italia, per indicare le persone colpite da questa sindrome, si usava l'espressione scemo di guerra).

Le condizioni sanitarie nelle trincee erano catastrofiche. Molti soldati divennero vittime di malattie infettive: dissenteria, tifo, colera. Molti soldati erano afflitti da diverse malattie provocate da parassiti.

Spesso seppellire i morti era un lusso che nessuna delle parti belligeranti aveva intenzione di sobbarcarsi. Per questo i cadaveri rimanevano insepolti nella terra di nessuno sino a quando il fronte non si muoveva. In questo caso era però troppo tardi per procedere ad un'identificazione. Così vennero introdotte le piastrine identificative. Su alcuni fronti (come per esempio quello di Gallipoli) fu possibile seppellire i morti solo dopo la fine della guerra. E ancor oggi, in occasione di scavi lungo le linee del fronte della prima guerra mondiale, vengono rinvenuti dei cadaveri.

Più volte, durante la guerra (anche se soprattutto nel primo periodo), vennero contrattati degli armistizi ufficiosi, per soccorrere i feriti e seppellire i morti. I vertici militari erano però contrari ad ammorbidire l'ostilità tra le parti in lotta, fosse anche per motivi umanitari, e tendevano a impartire alle truppe ordini che intimavano di impedire il lavoro dei sanitari del nemico (in pratica, fare fuoco su di loro). Tali ordini, però, furono generalmente ignorati. Per questo, quando i combattimenti cessavano, i sanitari avevano modo di soccorrere i feriti, e accadeva frequentemente che i sanitari di parti avverse si scambiassero i rispettivi feriti.



Io non so come giudicare questo modo di fare la guerra. Sicuramente come tutti gli altri è qualcosa di molto brutto.
I soldati venivano forzati a combattere e se osavano tornare indietro venivano sparati dai loso stessi compagni che stavano dietro di loro.
Dire che è qualcosa di atroce è davvero poco. La crudeltà umana arriva a livelli indefinibili.
 
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Aussie Mazz
view post Posted on 15/10/2010, 17:12




E la guerra anglo-boera? Non vorrei dire un'abissale idiozia (ne dico parecchie), ma mi pare che sia stato soprattutto in quel conflitto che si è testata la trincea o almeno le battaglie di posizione.

Ad ogni modo penso che la guerra in trincea sia forse una modalità di combattimento tra le più tremende e deleterie per la psiche umana. Soprattutto perché non regalava neppure una talvolta magnanima morte in pochi istanti, ma obbligava a vivere in condizioni terribili per mesi o anni, senza neppure sapere a chi sparavi.
L'unica nota positiva è che il fatto che i fronti fossero relativamente stabili ha evitato ulteriori devastazioni ai danni della popolazione civile, ma se c'è una guerra in cui non avrei voluto combattere (a dire il vero, in nessuna, ma va beh) direi che è proprio la I Guerra Mondiale, per questa ragione.
E' stata anche una modalità di guerra davvero unica nella storia, nata e morta nell'arco di poco tempo, subito sostituita dal potenziale offensivo della II Guerra Mondiale (in barba alla linea Maginot).
 
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view post Posted on 15/10/2010, 18:13
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CITAZIONE (Aussie Mazz @ 15/10/2010, 18:12)
E la guerra anglo-boera? Non vorrei dire un'abissale idiozia (ne dico parecchie), ma mi pare che sia stato soprattutto in quel conflitto che si è testata la trincea o almeno le battaglie di posizione.

fu una delle prima, la prima, secondo molti, fu quella di Crimea
 
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Aussie Mazz
view post Posted on 15/10/2010, 21:16




Mi informerò, la seconda metà del'Ottocento ultimamente mi intriga molto.
Quei conflitti sono stati una preparazione alla I Guerra Mondiale, in realtà, è proprio così.
Mitra, sottomarini, corazzate, aerei, trincea appunto... è tutto nato in quel periodo.
 
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Fede Tere
view post Posted on 16/10/2010, 06:38




CITAZIONE (Diana92 @ 15/10/2010, 19:13)
CITAZIONE (Aussie Mazz @ 15/10/2010, 18:12)
E la guerra anglo-boera? Non vorrei dire un'abissale idiozia (ne dico parecchie), ma mi pare che sia stato soprattutto in quel conflitto che si è testata la trincea o almeno le battaglie di posizione.

fu una delle prima, la prima, secondo molti, fu quella di Crimea

giusto socia

FedeTere
 
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Fede Tere
view post Posted on 30/7/2011, 13:06




La guerra di trincea

di Francesco Ranocchi


Nulla ci fu di più tremendo, per i fanti del primo conflitto mondiale, della macabra estetica della guerra di trincea, che obbligò migliaia di giovani, per ben 4 lunghi anni, ad una vita d’inferno, in grado di scoraggiare e distruggere la psiche del più fervente interventista.

Le atroci sofferenze cui fu costretto a soggiacere ciascun soldato possono essere difficilmente comprese, nella loro totalità, da chi non si è trovato a condividere quell’agghiacciante carneficina, quella perfetta macchina di morte che cancellò, per sempre, un’intera generazione.

Dalla battaglia della Marna in poi, la grande guerra, perse per sempre il suo slancio, per lasciare spazio ad una linea parallela di trincee, scavate nel terreno per proteggersi dagli attacchi nemici.

Le truppe al fronte si trovavano a convivere continuamente con lo spettro della morte, nelle interminabili ed estenuanti ore di ozio, impegnate a creare, nei limiti del possibile, le parvenze di una normale vita quotidiana; il pericolo era sempre in agguato:

un cecchino, una granata, una raffica di mitragliatrice, un assalto improvviso, potevano, improvvisamente, spezzare la monotonia, con il loro carico di orrore; seppelliti, come topi, in quei cunicoli, i soldati mettevano a dura prova i loro nervi, costretti a misurare ogni benché minimo gesto o movimento.

E poi il momento tanto temuto:

quel macabro sibilo del fischietto degli ufficiali, che ordinava l’assalto alle linee nemiche e che si tramutava in un sinistro suono di morte; a centinaia si lanciavano all’arma bianca, con la baionetta innestata, contro i nemici; tanti cadevano, immediatamente, come mosche, falciati dalle mitragliatrici, altri restavano, feriti, sul terreno, destinati a morire dissanguati, tra atroci sofferenze, senza possibilità di aiuto, perché lo spazio tra le due linee di trincee rappresentava la cosiddetta terra di nessuno, un vero e proprio coacervo di morti, feriti, mutilati, crateri e filo spinato, interdetto a chiunque, anche ai soccorritori.

“Nel breve spazio fra le due trincee si ammucchiavano una decina di cadaveri, la maggior parte austriaci, caduti in un tentativo di attacco. Impossibile seppellirli. La vicinanza della linea l'impediva. E neppure un armistizio, invocato più volte tra gli scambi d'ingiurie delle sentinelle, non fu mai concluso”. ( Michele Campana Un anno sul Pasubio).

Le perdite erano spaventose ed inutili:

si continuava a morire a fiumi per la conquista di pochi metri di terreno senza possibilità di scampo e con la consapevolezza di andare al macello, allo sbaraglio, per i folli ordini di comandanti che, lontani dal fronte e dalle sofferenze dei loro uomini, si mostravano completamente indifferenti per quelle continue ed insensate carneficine, impartendo ordini scriteriati.

Andare avanti significava morire, ma anche tornare indietro significava morire; a decine venivano infatti fucilati sommariamente, senza processo, per vigliaccheria o per ammutinamento e, laddove non si individuavano i responsabili, si procedeva alla drammatica strategia della decimazione:

un soldato su dieci, innocente o colpevole, veniva cioè sorteggiato e mandato di fronte al plotone di esecuzione, senza pietà, in una sorta di agghiacciante roulette russa.

“Ma il fatto più atroce è un altro. Presso un reggimento di fanteria, avviene un'insurrezione. Si tirano dei colpi di fucile, si grida non vogliamo andare in trincea.Il colonnello ordina un'inchiesta, ma i colpevoli non sono scoperti. Allora comanda che siano estratti a sorte dieci uomini; e siano fucilati. Sennonché, i fatti erano avvenuti il 28 del mese, e il giudizio era pronunciato il 30. Il 29 del mese erano arrivati i “ complementi”, inviati a colmare i vuoti prodotti dalle battaglie già sostenute: 30 uomini per ciascuna compagnia. Si domanda al colonnello: “Dobbiamo imbussolare anche i nomi dei complementi? Essi non possono aver preso parte al tumulto del 28: sono arrivati il 29 “. Il colonnello risponde:.” Imbussolate tutti i nomi”. Così avviene che, su dieci uomini da fucilare, due degli estratti sono complementi arrivati il 29. All'ora della fucilazione la scena è feroce. Uno dei due complementi, entrambi di classi anziane, è svenuto. Ma l'altro, bendato, cerca col viso da che parte sia il comandante del reggimento, chiamando a gran voce: “Signor colonnello! signor colonnello! “. Si fa un silenzio di tomba. Il colonnello deve rispondere. Risponde: “Che c'è figliuolo? “.

" Signor colonnello! “ grida l'uomo bendato “io sono della classe del '75.Io sono padre di famiglia. Io il giorno 28 non c'ero. In nome di Dio! “. “Figliuolo” risponde paterno il colonnello “io non posso cercare tutti quelli che c'erano e che non c'erano. La nostra giustizia fa quello che può. Se tu sei innocente, Dio te ne terrà conto. Confida in Dio” (Silvio D’Amico, Diario di Guerra).

Il fronte era insomma una vera e propria, spaventosa, bolgia, un inferno di morte e devastazione, nel quale i due opposti schieramenti si affrontavano senza riuscire a prevalere gli uni sugli altri.
Terrificanti erano i combattimenti corpo a corpo, all’arma bianca, alla baionetta e man mano che il conflitto procedeva, furono introdotti nuovi, orribili strumenti di morte, come i gas asfissianti, che bruciavano gli occhi, la gola ed i polmoni e che causavano la morte nel giro di poco tempo, al termine di una spaventosa agonia.
Autentiche condanne a morte, decretate da ufficiali senza scrupolo, erano le missioni volte al taglio dei reticolati e del filo spinato avversario, con le pinze, attraverso la terra di nessuno; si usciva dalle trincee con la consapevolezza di non tornare mai più e di essere massacrati, di lì a poco, dal fuoco delle mitragliatrici.
Se il problema principale era quello di sopravvivere a quel bagno di sangue, non meno gravi erano comunque le drammatiche condizioni di vita che la vita di trincea riservava.
Tormentati dal freddo e dalla fame, muniti spesso di equipaggiamento inadeguato, i soldati vivevano seppelliti da un mare di fango; sdraiarsi per riposare era praticamente impossibile ed alzarsi significava esporsi al fuoco degli inesorabili cecchini nemici, che sparavano senza alcuna pietà.
Le condizioni igieniche erano poi a dir poco precarie, con i topi e i pidocchi che divennero ben presto compagni inseparabili di quella sorta di talpe viventi.
Seppellire i morti era spesso impossibile ed i cadaveri in decomposizione avvelenavano l’aria, rendendola irrespirabile, aggiungendo sofferenza a sofferenza.

“Arrivavano a volte nel meriggio delle folate di vento così pestilenziali che ci mozzavano il respiro. Questo puzzo ammorbante c'impedì sempre di mangiare…"( Un anno sul Pasubio di Michele Campana).

Pur di sfuggire a questo quadro apocalittico, si era pronti a tutto, anche all’autolesionismo, a mutilarsi o a ferirsi volontariamente; molti, ricevuta la cartolina, si davano alla fuga, altri,ottenuta una breve licenza, si volatilizzavano.
Tali episodi vennero duramente repressi dai comandi militari, con processi dinanzi ai tribunali militari; essi decretarono la condanna a morte di centinaia di giovani reclute.
Questa fu dunque la prima guerra mondiale:
una lotta mai vista prima, caratterizzata dall’impossibilità a prevalere, che condusse quasi all’annientamento reciproco e combattuta, in condizioni disumane, da ragazzi poco più che ventenni.
Bastarono poche settimane a togliere l’iniziale entusiasmo alle reclute, che a migliaia si erano arruolate volontarie per amor di patria e che ben presto ebbero a comprendere la cruda e dura realtà di un conflitto feroce, privo di un benché minimo rispetto per la vita umana.
Tanti morirono, sulla Marna, a Verdun, sulla Somme, nel Carso o sull’Isonzo; quei pochi fortunati che sopravvissero, non avrebbero mai potuto dimenticare e il ricordo di quella drammatica esperienza li avrebbe accompagnati per il resto della loro esistenza.

FedeTere
 
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5 replies since 15/10/2010, 15:38   2189 views
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