TERZA GUERRA D'INDIPENDENZA ITALIANA., Come perdere tutte le battaglie e vincere la guerra.

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view post Posted on 31/1/2013, 17:15
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Terza guerra d'indipendenza Italiana.




Con questa guerra la neonata Italia annetteva Mantova, ultimo lembo lombardo non ancora liberato, il Veneto e il Friuli occidentale.

Sembrerebbe un bel successo, considerando che il conflitto durò meno di due mesi e le perdite, numericamente , non furono rilevanti, addirittura furono maggiori da parte austriaca, per lo scontro cruciale a Custoza, che causò la rotta del' esercito Italiano, si parla di circa 600 morti, gli austroungarici ne ebbero circa 1.200 (per quando riguarda i prigionieri è tutta un'altra storia, gli austriaci fecero più di 4.000 prigionieri).
vittorio-emanuele
Eppure da subito il paese la percepì come una sconfitta umiliante, Garibaldi nelle “Memorie” dice:

Ma bisogna pur confessare, che aspettando tutti dei risultati brillanti, da un brillante esercito, il doppio in numero del nemico, con mezzi immensi, la prima artiglieria del mondo, molto entusiasmo nella truppa, e molta bravura (Garibaldi intende “bravura” nel senso manzoniano, ardimento, sprezzo del pericolo, n.d.r.) , e trovarsi in un momento delusi con quel bell'esercito in confusione, ritirandosi senza essere perseguitato dal nemico dietro un fiume alla distanza di 30 miglia, e lasciando scoperta la quasi intera Lombardia, bisogna confessare, lo ripeto, che fu un terribile colpo per tutti.
garibaldi
Con queste premesse, mi accingo a trattare l' argomento, rilevando la poca chiarezza dei dati ufficiali e delle memorie singole, che, più che fare luce, a mio giudizio cercano di insabbiare un'incompetenza collettiva.

Prologo



L'alleanza Italoprussiana.


Per la Storia europea la terza guerra d'indipendenza è solo un episodio marginale della guerra austro-prussiana, che i tedeschi chiamano anche “guerra tra fratelli”, per la comunanza di lingua tra i contendenti, o “guerra delle tre settimane”, dato che in quel lasso di tempo la guerra fu praticamente decisa.
Dopo il congresso di Vienna, l'Austria aveva ottenuto nella sua sfera di influenza la Confederazione Germanica, costituita dai piccoli staterelli tedeschi ricostituiti dopo la restaurazione, di cui l'Impero Austroungarico si fece garante, tra questa confederazione, lo stato più industrialmente e militarmente avanzato era la Prussia, che mal sopportava la preminenza di Vienna e tendeva a formare un regno germanico autonomo, sfruttando le idee nazionaliste che dilagavano in tutta Europa.
Questa situazione non poteva sfuggire a Cavour, che, nel Gennaio 1861 tentò di sondare la situazione inviando il generale La Marmora a Berlino, ufficialmente per l'incoronazione del Re Guglielmo I, ma in effetti per prendere contatto col governo prussiano su una possibile alleanza, la missione fallì soprattutto per il conservatorismo prussiano, l'Italia, regno costituzionale, veniva definita una nazione troppo liberale.
Il governo italiano tentò quindi di trattare diplomaticamente l'annessione del Veneto, tra il 1861 e il 1866 furono fatti diversi tentativi con la mediazione francese, dato che l'Austria non riconosceva il regno d'Italia, ma nessuno di questi andò a buon fine.
Agli inizi di ottobre 1865 La Marmora, presidente del consiglio, autorizzò il conte Alessandro Malaguzzi Valeri ad aprire trattative segrete con Vienna offrendo una forte somma di denaro (si parla di un miliardo di lire) in cambio della cessione del Veneto, ma anche questo tentativo fallì.
La mossa decisiva la fece Bismarck, diventato tre anni prima cancelliere prussiano, che nello stesso anno inviò un diplomatico, Karl von Usedorm a Firenze dal La Marmora, chiedendogli che atteggiamento avrebbe assunto l'Italia nel caso di un conflitto austro-prussiano.
Il presidente del consiglio rispose che prima di dare una risposta avrebbe dovuto sondare le opinioni del principale alleato storico italiano, la Francia di Napoleone III.
Costantino Nigra, ambasciatore a Parigi ebbe rassicurazioni dal ministro degli esteri francese che Napoleone non si sarebbe opposto ad un coinvolgimento dell'Italia a favore della Prussia.
Il 26 Gennaio 1866 Berlino inviava a Vienna una durissima nota di protesta, accusandola di complottare con gli Augustenbug, pretendenti al trono dei ducati tedeschi, Vienna rispondeva per le rime e il 28 Febbraio 1866 il Consiglio della Corona prussiano decise per la guerra contro l'Austria e per stringere un'alleanza con l'Italia.
Il generale Giuseppe Govone, inviato dal La Marmora, arrivò a Berlino il 10 Marzo 1866, mentre un alto ufficiale prussiano si recava a Firenze , dopo brevi ma intensissimi contatti internazionali il trattato d'alleanza fu firmato l'8 Aprile 1866 dal generale Govone e da De Barral per l'Italia, e da Bismarck per la Prussia, ne riporto gli articoli, che consiglierei di leggere attentamente, dato che l'accettazione di tale trattato provocò polemiche a non finire.

1)Vi sarà alleanza tra S.M. il Re d'Italia e S.M. il Re di Prussia.
2)Se i negoziati che S.M. il Re di Prussia sta per aprire con altri governi tedeschi in virtù di una riforma della costituzione federale conforme ai bisogni della nazione germanica non riuscissero, e S.M. in conseguenza fosse messa in condizione di prendere le armi per far prevalere le sue proposte, S.M. il Re d'Italia, dopo l'iniziativa presa dalla Prussia, appena ne sarà informato, in virtù della presente convenzione, dichiarerà guerra all'Austria.
3)A partire da tale momento, la guerra sarà proseguita Loro Maestà con tutte le forze che la Provvidenza ha messo a loro disposizione, e né l'Italia né la Prussia potrà concludere pace o armistizio senza mutuo consenso.
4)Il consenso non potrà essere rifiutato quando l'Austria avrà consentito a cedere il Regno Lombardo-Veneto e alla Prussia territori austriaci equivalenti come popolazione al al detto Regno.
5)Questo trattato cesserà di avere vigore tre mesi dopo la firma, se in tale intervallo la Prussia non avesse dichiarato guerra all'Austria.
6)Se la flotta austriaca lascia l'Adriatico prima della dichiarazione di guerra, S.M. il Re d'Italia manderà un numero sufficiente di vascelli nel Baltico, dove stazioneranno per essere pronti ad unirsi alla flotta prussiana, appena si inizieranno le ostilità.

Subito dopo la firma Vienna cercò di separare l'alleanza rispolverando l'antica proposta italiana di un pagamento in denaro per il Veneto, mascherato da risarcimento per la cessione delle fortezze del Quadrilatero, che avrebbero dovuto essere ricostruite ai nuovi confini, per fortuna questo mezzuccio fu risparmiato alla nostra dignità di popolo, dopo qualche tentennamento di La Marmora, la proposta venne rifiutata.
La Prussia inizia le ostilità e l'Italia entra in guerra.

Inizio della guerra.



Il 16 Giugno 1866 l'esercito prussiano, guidato dal geniale von Moltke, aprì le ostilità, subito seguito dall'entrata in guerra dell'Italia, nel proclama del Re, che annunciava l'entrata in guerra, tra l'altro si leggeva: Potete confidare nelle vostre forze, italiani, guardando orgogliosi il florido esercito e la formidabile marina, pei quali né cure, né sacrifici furono risparmiati.
In effetti il “florido esercito e la formidabile marina” c'erano, almeno sulla carta, dopo la proclamazione dell'Italia si erano raccolte tutte le forze, sia militari che economiche, per l'ampliamento e l'ammodernamento dell'apparato militare, si erano unite tutte le forze dei precedenti stati italiani, ad esempio, la marina piemontese aveva raddoppiato le navi solo inglobando quelle dell'ex regno di Napoli, aumentandole ulteriormente con nuove navi di ferro, come l'Affondatore, fatta costruire nei cantieri inglesi con grande dispendio, e reputata la più moderna del tempo.
Garibaldi poi, nelle “memorie” si lamenta (come al solito) che i suoi volontari ricevevano vecchi catenacci, mentre le truppe regolari avevano nuovi fucili ed abbondanza d'equipaggiamento, d'altronde La Marmora aveva affermato che per ogni reparto garibaldino, se ne sprecavano due dell'esercito per tenerli d'occhio.
L'esercito schierato era imponente, soprattutto considerato che l'avversario aveva ritirato la maggioranza delle truppe per schierarle contro i prussiani e al sud, compresa Istria e Dalmazia, rimanevano circa 190.000 uomini, ma la maggior parte presidiava le fortezze, dal quadrilatero alla Dalmazia, la vera forza combattente di movimento presente in Veneto viene stimata da 70.000 a 80.000 uomini, compresi 3.000 cavalieri, 11.000 uomini rastrellati in fretta nelle fortezze a formare la divisione di riserva, e 152 cannoni, comandati dall'arciduca Alberto Federico Rodolfo d'Asburgo.
L'Italia schierava ben 20 divisioni, 12, più una divisione di cavalleria pesante assegnata al comando supremo, schierate verso il Mincio e 8 sul basso Po, con 190/200.000 fanti, 10.500 cavalleggeri, 20.000 carabinieri, 38.000 volontari garibaldini e 462 cannoni, ed era tutta forza d'attacco, nominalmente nei documenti ufficiali l'esercito italiano era composto da 565.000 uomini ,i dati che riferisco sono del prof. Pieri, ma anche le altre fonti danno dati molto simili.
La Marmora
La Marmora, il 20 Giugno, 3 giorni prima dell'entrata in guerra, si era dimesso dalla carica di presidente del consiglio ed ottenne la carica di capo di stato maggiore dell'esercito, carica rivendicata anche da Enrico Cialdini, ovviamente il Re aveva il comando nominale, alla fine trovarono un compromesso, La Marmora, al comando dell'armata del Mincio, la più forte, avrebbe attaccato le fortezze del quadrilatero attraversando il fiume, Cialdini, con le sue 8 divisioni avrebbe dovuto passare il Po, aggirare le fortificazioni e puntare verso Venezia e Padova.
L'accordo sembrava buono, ma, data la distanza tra i due gruppi e la rivalità dei due generali, che non avevano concordato i tempi dell'azione comune ed intendevano agire in piena autonomia, ambedue in cerca di gloria personale, si rivelò un disastro.
A rigor di logica, l'armata del Mincio doveva tenere sotto controllo le fortezze di Peschiera e Mantova, avanzare quel tanto da tenere impegnate le forze di movimento austriache, permettendo all'armata del Po di attraversare indisturbata il fiume, minacciare Venezia e l'Adige, collassando le esigue forze nemiche, minacciate di accerchiamento.
In pratica Cialdini aspettò che l'esercito del Mincio, avanzando, agganciasse prudentemente le forze dell'arciduca e le tenesse impegnate, cosa che probabilmente era nelle intenzioni del La Marmora, ma questi, nonostante disponesse di un'imponente cavalleria (ai tempi la cavalleria svolgeva la funzione che oggi viene svolta dagli aerei, rapide ricognizioni avanzate di informazione sulla consistenza e posizione del nemico) , convinto che le forze dell'arciduca fossero sulla difensiva sull'Adige, non ordinò una ricognizione profonda, la cavalleria non andò oltre Villafranca, pare addirittura giustificandosi per la stanchezza dei cavalli, così nessuno si accorse che l'intero esercito austriaco stava occupando le alture a ridosso del Mincio, Custoza e Somma Campagna, nomi nefasti, nel 48 Carlo Alberto in quei luoghi era stato sconfitto , l'avanzata cominciò alle 3,30 di notte, lasciate 6 divisioni a controllare peschiera e Mantova, mandò avanti le altre 6 con un ruolino di marcia, più che di battaglia, per giunta, per motivi di segretezza abbastanza assurdi, tenne i comandanti all'oscuro della posizione dei reparti contigui, tanto che il generale Govone (quello che aveva firmato il trattato italo-prussiano) obiettò che almeno i comandanti superiori fossero informati dei piani e delle posizioni dei reparti, La Marmora rispose: Fina a na certa mira (Fino a un certo punto).
Giuseppe-Govone
Il povero Govone, durante la cruciale battaglia di Custoza, dovette fare esaminare le bombe inesplose che lo colpivano, per il sospetto, data la posizione, che fossero italiane.
Ora, ricostruire per filo e per segno l'evolversi della situazione è pressochè impossibile, la cavalleria austriaca, esigua ma decisa, attaccò un po d'appertutto le truppe italiane in marcia, facendo apparire il numero enormemente superiore al vero, alle sei e mezza del mattino le divisioni Sirtori e Cerale (le divisioni verranno indicate col nome del comandante) , vengono attaccate inaspettatamente al centro dello schieramento italiano (Custoza) da 5 brigate austriache che le respingono su Valeggio, causandone la quasi totale rotta, per fortuna la divisione Pianell (un generale ex ministro della guerra del regno delle Due Sicilie, e per questo ingiustamente sospettato di antiitalianità) lasciata a controllare Peschiera, per iniziativa personale del suo comandante, passa il Mincio e salva la nostra ala sinistra fermando il nemico che puntava su Valeggio, conservando la posizione per tutta la giornata fino all'ordine di ritirata generale, la III divisione granatieri riconquista di slancio le alture di Custoza, ma verso le 10 del mattino gli austriaci riconquistano le posizioni mettendo in rotta la maggior parte della divisione e ferendo il principe Amedeo di Savoia, secondogenito del Re.
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Vittorio Emanuele, che per tutto il giorno cercherà un comando generale che il La Marmora non fisserà mai effettivamente, ordina elle divisioni Govone e Cugia di riprendere Custoza, intanto, più a sud, verso Villafranca il 3° corpo di armata, comandato dal generale Della Rocca, forte delle divisioni Principe Umberto (erede e futuro Re d'Italia) e Bixio (sì, proprio l'ex braccio destro di Garibaldi) e della divisione pesante di cavalleria del comando supremo, che il Re gli ha distaccato, ha subito l'unico combattimento che avrà in tutta la campagna, sei squadroni di ussari ed ulani, condotti da due ufficiali austriaci, eroici e spericolati al limite dell'incoscienza, si buttano contro la divisione del principe Umberto, fiancheggiata da quella di Bixio, il principe ordina di formare i quadrati (tipica azione da manuale contro gli attacchi di cavalleria n.d.r.) e l'azione finisce in una mezz'ora di sangue in cui ad avere la peggio sono i coraggiosi ma folli cavalleggeri austriaci, l'azione, poco più di una scaramuccia, verrà amplificata dalla propaganda savoiarda a dismisura, come una grandissima vittoria del principe ereditario, pensandoci bene questa azione sconsiderata dei due ufficiali austriaci, fu forse la causa contingente ma determinante della vittoria finale austriaca nella battaglia di Custoza, i carriaggi che accompagnavano le divisioni, condotti da civili, vedendo le cariche di cavalleria nemiche e sentendosi minacciati, fuggono a tutta birra verso Valeggio, intasando la strada già occupata dai resti delle divisioni Sirtori e Cerale in ritirata.
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Il Della Rocca si autoconvinse di avere di fronte l'intero esercito nemico, pur disponendo di una intera divisione di cavalleria, non ordinerà nessun contrattacco, nessuna ricognizione, persino all'invito del Re,che lo incitava ad avanzare verso Custoza, distante solo 3 Km. oppone l'ordine ricevuto da La Mormora molte ore prima, di tenere ad ogni costo Villafranca, ordine ormai assurdo, nessuno la minaccia e comunque dispone di più di 20.000 uomini, con la divisione di cavalleria pesante potrebbe essere a Custoza in un quarto d'ora, leggete qua sotto quel che successe, ha dell'incredibile.
Tra le 10 e le 11 le divisioni Cugia e Govone partono all'attacco, la prima rioccupa monte Torre e Monte Croce, la seconda riprende Custoza.
Segue un feroce contrattacco nemico, ma le nostre linee tengono, Govone scriverà nelle memorie: Alle 15,30 le posizioni tutte erano nostre, l'artiglieria cominciava ad essere scarsa di munizioni.
Risultato brillantissimo, considerando che le due nostre divisioni non mangiano dal mezzogiorno del giorno prima, hanno assistito alla rotta dei granatieri che li hanno preceduti e le strade che hanno percorso per arrivare a Custoza sono ingombre di fuggitivi e carriaggi in fuga.
A questo punto Cugia e Govone cominciano a credere di aver vinto, danno addirittura l'ordine di preparare il sospirato rancio, che purtroppo non faranno in tempo a gustare, anche l'arciduca Alberto sospetta di aver perso, ma la sua cavalleria, poca ma super usata, gli comunica che le divisioni di Della Rocca continuano a restare immobili, nessun rinforzo parte da Villafranca.
L'arciduca, incredulo, scriverà nelle memorie: (quelle divisioni) parevano colpite da incantesimo.
Verso le sedici Govone scorge le colonne austriache che avanzano, e invia il 4° messaggio di soccorso al Della Rocca: Le mie truppe hanno respinto 3 volte il nemico, da ieri non mangiano.........non potrebbero resistere ad un nuovo attacco, ma se V.E. mi manda un rinforzo di truppa fresca, m'impegno a dormire sulla posizione.
Monumento a Govone
Il biglietto viene consegnato dal sottotenente Manara, il generale comandante della terza armata del Mincio, generale Enrico Morozzo della Rocca, che dispone di 2 divisioni di fanteria e una di cavalleria pesante completamente inattive, nonostante che i comandanti di divisione principe Umberto e Nino Bixio lo incitino all'azione, risponde in dialetto piemontese al giovane sottotenente: Al dia al so general ch'as rangia.
Mi trema la mano mentre scrivo la traduzione: Dica al suo generale che si arrangi.
Alle 17,45 , gli austriaci, con 23.000 uomini e 88 cannoni attaccano le posizioni delle divisioni Govone e Cugia, che altro non possono fare che ritirarsi in buon ordine, senza sbandamento e salvando la poca artiglieria di cui erano dotati, impegnando nella ritirata l'esercito nemico con azioni di retroguardia.
A questo punto è la ritirata generale, La Marmora, sorpreso dall'attacco nemico, che non si aspettava minimamente ha vagato tutto il giorno alla ricerca dei reparti, trovandosi sulla strada per Verona intasata di soldati in fuga e carriaggi, quella che per lui doveva essere una marcia di avvicinamento ad un nemico lontano, gli sembra ora una rotta inevitabile, pare continuasse a ripetere: Che disastro, peggio che nel 48.
Ordina la ritirata addirittura sull'Adda, con capisaldi avanzati a Cremona e Piacenza, pensa solo a salvare il ponte di Valeggio, che addirittura farà distruggere dopo la ritirata, per garantire il passaggio del Mincio all'esercito che fugge senza che nessuno lo insegua e lì fissa il suo quartier generale momentaneo.
Nella notte tutti i reparti hanno ripassato il Mincio e Govone tenta di convincere La Marmora a revocare l'ordine, ma riesce solo ad ottenere che le posizioni si fermino all'Oglio.
In realtà non li insegue nessuno, l'arciduca Alberto non è affatto sicuro di aver vinto, si aspetta un contrattacco il giorno successivo, sa di avere forze esigue, spossate e usurate dai combattimenti della giornata, e sa anche che Cialdini è sul Po e dispone di truppe fresche e superiori per numero alle sue, saprà di aver vinto solo dai dispacci italiani, che parlano di sconfitta, anzi, di vera e propria rotta.
Infatti La Marmora invia telegrammi ovunque, annunciando la ritirata e parlando di rotta, ci mette del suo anche Vittorio Emanuele, che invia il seguente telegramma a Cialdini: Molte perdite, divisione granatieri presa la fuga, mio figlio Amedeo ferito.
Cialdini
Cialdini, che già ha ricevuto i telegrammi disfattisti di La Marmora, invece di inoltrarsi nel Polesine, come stava per fare, fa un'inversione ad U e si ritira a Ferrara, non senza commentare, riferendosi al La Marmora: Era da prevedere, un nano che si infila nei calzoni di un gigante (il quadrilatero n.d.r.), finisce per incespicare.
In realtà l'esercito del Mincio ha 7 divisioni intatte, che in pratica non hanno combattuto, oltre a reparti in ritirata ma ancora efficienti, e di fronte hanno 7 divisioni austriache esauste e che hanno subito forti perdite, alla fine delle operazioni i dati pervenuti parlano in totale, fra morti, prigionieri e dispersi, di circa 7.000 uomini per parte, altre parlano di 8.554 morti fra austriaci e italiani.
Garibaldi intanto, pur non potendo ancora contare su tutti i suoi volontari, era avanzato sul lato occidentale del Garda verso l'Alto Adige, impegnando i Kaiser Jaeger del generale Kuhn, le migliori forze alpine austriache, e riuscendo a conquistare il ponte sul Caffaro e monte Suello, quando arriva l'ordine di ritirarsi e coprire la ritirata dell'esercito del Mincio verso l'Oglio e proteggere Brescia, raduna le truppe che può, 8.000 volontari, e forma una linea di difesa tra Lonato, Desenzano e Pozzolengo, senza artiglieria e con volontari più atti all'assalto e alla guerriglia che alla difesa di una posizione fissa, armati di vecchi fucili scartati dall'esercito, per accogliere e proteggere truppe e carriaggi in fuga, che nessuno sta inseguendo.
L'Eroe, che in questo frangente non si può descrivere con altro termine scrive:Non conosco il generale austriaco che comandava i nostri nemici nel 1866, comunque egli dev'esser un generale di genio, avendo vinto un esercito più numeroso del doppio, composto di militi che certamente valevano i suoi.........Egli però, con un poco più di risoluzione poteva schiacciare i miei 8.000 uomini senza artiglieria e venirsene a villeggiare nel cuore della Lombardia e del Piemonte.

Dopo la sconfitta.

perrone di sanmartino

La Marmora, dopo la sconfitta, pare mettersi da parte, offrendo le dimissioni il 26 Giugno, il Re e Ricasoli, presidente del consiglio dopo che il generale aveva ceduto la carica , confermano gli incarichi, ma in pratica passano la mano al Cialdini, che invece di contrattaccare subito decise di eliminare una innocua testa di ponte nemica a Borgoforte, assicurando al Re che fosse questione di un giorno, in pratica la vera avanzata cominciò il 5 Luglio e la piccola testa di ponte nemica cadde solo il 18 Luglio.
Il 3 Luglio 1866 , l'esercito prussiano guidato dal genio strategico di von Moltke sconfiggeva, sarebbe più consono dire distruggeva, l'esercito austriaco e minacciava direttamente Vienna.
L'Austria dopo questa disastrosa sconfitta ordina all'arciduca Alberto di inviare un terzo circa delle sue truppe verso la difesa di Vienna, e di attestarsi con le restanti a protezione del Tirolo, così si assiste alla situazione tragicomica di un esercito sconfitto che si è ritirato miglia e miglia e di un esercito vincitore che ha fatto altrettanto, e lo sconfitto deve inseguire di corsa il nemico prima che venga imposta la pace.
Ormai è chiaro a tutti che l'Austria chiederà un trattato di pace con la Prussia ed urge una rapidissima avanzata italiana verso il trentino, per occuparlo di fatto prima che Prussia ed Austria trovino un accordo, un'annessione di questi territori può essere giustificata solo dall'occupazione militare effettiva e completa, il trattato italo-prussiano prevede solo l'annessione del Veneto, l'Italia può rivendicare altre terre solo dopo averle indiscutibilmente conquistate.
A Ferrara, il 14 Luglio, con un consiglio di guerra si affidano al Cialdini 14 divisioni con l'incarico tassativo di lanciarsi all'assalto del nemico il più velocemente possibile, alla ricerca di una vittoria riparatrice che ridia all'esercito il prestigio offuscato dal fallimento del Mincio, e Cialdini avanzò, senza praticamente trovare resistenza fino ad Udine, il 22 Luglio, ma di battaglie gloriose non ve ne furono, ci si limitò ad occupare territori indifesi.

bezzecca

Solo Garibaldi, benchè precedentemente ferito il 2 Luglio ad una coscia dovesse essere trasportato a braccia o in carrozza, con mossa fulminea, si era spinto verso il trentino, e il 21 Luglio vincendo a Bezzecca si era aperta la via di Trento, dove la colonna Medici arrivò in vista delle mura, ma senza occuparla, il 25 Luglio, Garibaldi il 9 Agosto riceve l'ordine di ritirarsi e, con la morte nel cuore risponde al messaggio con la parola che tutti conosciamo “OBBEDISCO”.

La Mano passa alla marina italiana, la battaglia di Lissa.




Torniamo indietro, dopo Custoza e l'immobilismo confusionario che ne seguì, tutti si chiesero che diavolo stesse facendo la “Formidabile Marina, per cui né cure né sacrifici vennero risparmiati”, come si diceva nel proclama del Re all'inizio della guerra.(ed in effetti era vero, lo svenamento delle casse italiane per queste spese fu una delle cause più importanti del dissesto del bilancio italiano, risolto da Quintino Sella con metodi draconiani, che all'epoca provocarono agitazioni e proteste)
La flotta , concentrata ad Ancona, forte di 12 corazzate contro le 7 austriache, per giunta aveva unità più moderne, l'Affondatore era la sua punta di diamante, costruito in Inghilterra, era stato da poco consegnato e messo in armamento e l'ammiraglio Persano vi si trasferì all'inizio della battaglia di Lissa.
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L'ammiraglio Persano era al comando, più politico che marinaio, aveva comandato il blocco navale piemontese , nel 60, ad Ancona e Gaeta, contro la flotta napoletana, operazione senza scontri, nulla di particolare, ma Cavour, che voleva bilanciare gli incredibili successi di Garibaldi, ne ampliò fama, e arrivò addirittura alla carica di ministro della marina, come politico non fu poi male, dotò la flotta delle nuove navi ferro e istituì l'Accademia Navale di Livorno, ma una battaglia prima di Lissa, non la vide mai, e una fama di comandante affidabile, capace e coraggioso non la ebbe mai.
Cominciamo dall'inizio, quando Vittorio Emanuele mandò il dottor Albanese a pregare Garibaldi di prendere parte alla guerra come comandante dei volontari, presentò un piano che all'eroe non poteva non piacere, ma lasciamo parlare Garibaldi: (Vittorio Emanuele) attraverso Albanese, mi partecipava l'idea di gettarci sulle coste dalmate, per cui mi sarei inteso con l'ammiraglio Persano...................la risoluzione di spingerci verso l'Adriatico, mi piacque talmente ch'io ne feci fare a Vittorio Emanuele i miei complimenti per il progetto proficuo e grandioso.
In pratica il Re proponeva a Garibaldi di sbarcare sulle coste dalmate, e riproporre l'insurrezione che tanto successo aveva avuto in Sicilia, per giunta con 38.000 uomini e l'appoggio della flotta.
Il progetto venne bocciato, Peppino ne diede la colpa ai generali, soprattutto a La Marmora, ma pare che questi fosse anche ben disposto a liberarsi della ingombrante presenza in Italia dell'eroe dei due mondi, e che ad opporsi sia stato proprio Persano, cosa che mi pare, se non certa, assolutamente credibile.
Subito dopo Custoza, Persano era stato pressato affinchè impegnasse la flotta austriaca, tanto inferiore di numero, con navi poco moderne e con cannoni di gittata inferiore, in battaglia, ma se ne stette asserragliato ad Ancona, non reagì neppure quando la flotta austriaca lo provocò, comandata dall'ammiraglio Tegetthoff, un ammiraglio di non ancora 40 anni che per tutta la sua pur breve vita altro non aveva fatto che comandare navi, conquistandosi fama di valoroso e capace comandante, è adorato dai suoi uomini, in grandissima parte veneti ed istriani, prova ne sia che l'ammiraglio austriaco alla flotta emanava ordini non in tedesco, ma in veneto.
Ebbene il 27 Giugno, 3 giorni dopo Custoza, la flotta austriaca si presenta davanti ad Ancona ad invitare gli italiani alla battaglia, Persano, pur pressato dal Re, dal La Marmora, dal Cialdini da Ricasoli e dal ministro della marina Depretis, per non dire dall'Italia tutta, fa finta di niente, finchè,dopo qualche ora, la flotta austriaca, bandiere al vento, si allontanò indisturbata.
Finalmente Ricasoli intervenne in modo deciso, inviò ad Ancona il Depretis, La flotta doveva uscire in mare aperto e prenderne il controllo, accettando il combattimento con qualunque unità si fosse opposta.
Persano non aveva scelta, l'8 Luglio la flotta usciva dal porto, per 5 giorni se ne va in giro per l'Adriatico, quindi il 13 Luglio torna ad Ancona come se niente fosse.
Lissa 2
Il giorno dopo giungeva al Persano l'ultimatum di Depretis e soprattutto i fulmini di Ricasoli (un onest'uomo che per tutta la vita si chiese se fosse stato lui a portar sfortuna a tutte le operazioni militari della terza guerra d'indipendenza, lui che era diventato primo ministro solo qualche giorno prima dell'inizio della guerra), o battaglia, o sostituzione immediata.
Il ministero della marina consiglia un attacco all'isola fortificata di Lissa, per invitare Tegetthoff ad uscire dalla base di Pola e soccorrere l'isola accettando battaglia.
Secondo il piano del ministero, l'azione doveva svolgersi di notte, previo il taglio del cavo marittimo che collegava l'isola con la base di Pola, onde consentire un efficace bombardamento delle fortificazioni prima che la flotta austriaca potesse intervenire.
Lissa 1
Naturalmente non funzionò niente, la flotta italiana arrivò a giorno fatto e il cavo fu tagliato solo dopo che Pola era stata avvertita.
L'attacco all'isola si rivelò un fallimento, la flotta ricevette più danni di quanti ne fece, ma comunque sostanzialmente rimase intatta, pur se, nell'attacco, cominciarono ad emergere incomprensioni tra Persano, Vacca e l'Albini, comandanti dell'ala destra e sinistra che disseminarono le navi attorno all'isola, senza che Persano pensasse, o riuscisse a riunirle.
Così, il mattino del 20 Luglio 1866, al grido di “NEMICO IN VISTA”, Persano dovette faticare per riunire la flotta, dato il risultato la manovra non dovette riuscire gran chè bene, dato che la flotta austriaca,in formazione a cuneo, con le 7 corazzate davanti, attaccò il centro italiano subendo pochi danni, mentre le ali di Vacca e Albini, pare non facessero in tempo ad intervenire, ammesso che volessero farlo.
Lissa
Affondò la corazzata Re d'Italia e la cannoniera corazzata Palestro, danneggiate altre unità, verso mezzogiorno, la flotta austriaca, intatta e indisturbata,si allontanava verso Lesina.
Nei rapporti si legge che gli italiani, dopo essersi riorganizzati inseguirono l'avversario, si dice anche che l'abbiano quasi raggiunto e abbiano sparato qualche colpo di cannone senza nulla colpire, per poi ritirarsi, dicono, per mancanza di carbone.
Dopo la battaglia l'ammiraglio Tegetthoff scrisse nel bollettino : Uomini di ferro su navi di legno, hanno prevalso su uomini di legno su navi di ferro, permettetemi una lepidezza, sarebbe stato più giusto dire: Uomini di ferro su navi di legno, hanno prevalso su navi di ferro comandate da teste di legno.


Epilogo.



La battaglia di Lissa, per Bismarck fu la goccia che fa traboccare il vaso, all'inizio della guerra penso pensasse (teoria mia , largamente opinabile) che, se l'Italia fosse riuscita a sfondare nel Veneto e ad avanzare anche in Dalmazia, avrebbe avuto via libera per i territori danubiani, e sarebbe stata la fine dell'impero austroungarico, senza che la Prussia, paese di lingua e cultura germanica, quindi “fratello” ne assumesse la responsabilità e il rimorso.

OttovonBismarck

Dati i risultati della “guerra del sud” decise per un armistizio separato,d'altronde il trattato italo- prussiano glielo consentiva, e Vienna, subito dopo la firma, spostò tutte le sue truppe al sud.
Vittorio Emanuele affermò, piuttosto velleitariamente l'intenzione di proseguire la guerra da solo, appoggiato da Ricasoli e Cialdini, in realtà c'era il rischio, a mio personale parere la quasi certezza, di riperdere anche il Veneto.
Alla fine la ragione prevalse, l'Italia accettò l'armistizio, ebbe il Veneto, anche se per interposta persona, l'Austria lo cedette a Napoleone III, che lo passò all'Italia, ultima umiliazione, anche se non si può dire immeritata, d'altronde era stato così anche nella seconda guerra d'indipendenza con la Lombardia, anche se allora non avevamo demeritato, pur convenendo che la vittoria fu più dei francesi che nostra, ma lo era stato per numero, non per valore.
Uniche soddisfazioni per l'Italia furono il plebiscito, che dopo ogni annessione veniva indetto, il risultato delle urne fu di circa 650.000 sì contro 60 no, risultato scontato ma eclatante, e soprattutto la sola imposizione che gli Asburgo accettarono, una piccola cosa, ma dal profondo significato simbolico, praticamente un'accettazione del Regno d'Italia, la Corona Ferrea degli antichi Re longobardi, che aveva cinto il capo di tutti i Re d'Italia, compreso Napoleone, fu restituita all'Italia, al momento della perdita della Lombardia, dopo la seconda guerra d'indipendenza, Francesco Giuseppe l'aveva fatta portare a Vienna, a significare che solo lui e la sua famiglia poteva avere il diritto di cingerla, ora la restituiva.
Ma il paese, nonostante le acquisizioni territoriali, i pochi danni e le relative perdite, usciva da questa guerra demoralizzato, con una grande sfiducia verso la sua classe dirigente, si chiedeva a gran voce la punizione dei colpevoli, di coloro che avevano condotto alla sconfitta “il florido esercito e la formidabile marina” .
Il primo, e alla fine anche l'unico degli accusati fu Persano, essendo questi senatore, fu giudicato dai suoi pari, che l'assolsero dall'accusa di codardia, ma lo giudicarono colpevole di negligenza e imperizia, e lo condannarono alla degradazione, in coscienza, non mi sento di dire che non se lo meritasse, ma non mi sento neppure di dar torto al Cattaneo, che in una lettera scriveva: Il senato non può esigere il rendiconto di Lissa senza esigere il rendiconto di Custoza.
Il prologo è costituito da decine di memoriali di generali, politici, diplomatici, ammiragli ecc.. , un gioco allo scaricabarile francamente penoso, che con la memorialistica militare e la Storia hanno poco a che fare, in ognuno c'è un po' di verità, ma i fatti sono fatti, spero di averveli presentati in modo corretto.
Aggiungo che, per ora, ho omesso di accennare alla teoria per cui La Marmora, più politico che generale, si astenne dal condurre una guerra a fondo contro l'Austria, spinto dai consigli di Napoleone III, questi, nel corso degli avvenimenti citati cambiò spesso idea, e non mi sento di avallarne la tesi che molti autori citano e il Cattaneo avallò, fin quando non avrò elementi più certi, mi riserbo di modificare il post nel futuro.


Fonti:
Storia militare del Risorgimento – Piero Pieri – Einaudi editore
Memorie – Giuseppe Garibaldi - BUR
Vittorio Emanuele II – Paolo Pinto – Arnoldo Mondadori editore
Stroria d'Italia, gli anni della destra – Indro Montanelli
Bismarck – Franz Herre – Arnoldo Mondadori editore
Unità d'Italia atto III – Nino Gorio – Focus Storia
Ricordi di varie letture, per cui ho consultato la rete, soprattutto Treccani e Wikipedia, ma non solo, per controllarne la veridicità.


Questa estate sono andato nei luoghi della battaglia di Custoza, una zona bellissima, un continuo susseguirsi di colline e vigneti, quelli che nelle relazioni militari vengono chiamati monti, in effetti sono solo morbide colline, Monte Croce, ad esempio raggiunge i 114 m. sul livello del mare.
Vi propongo le foto che ho scattato:

Sotto potete vedere Custoza da Valeggio, dove partì l'offensiva italiana.
Per ingrandire cliccateci sopra.

Lato Valeggio da castello

Questa foto l'ho scattata da Custoza, si vede la valle verso Somma Campagna, da cui arrivarono le controffensive austriache.

Lato verso Sommacampagna

Ora le foto dell'ossario, che si trova sulla piu alta delle colline di Custoza.

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Edited by Romeottavio - 28/3/2013, 19:15
 
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