FILIPPO MARIA VISCONTI, UN PARANOICO AL POTERE:

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view post Posted on 27/3/2019, 13:37
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Filippo Maria Visconti, un paranoico al potere.

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Mi interessa soprattutto descrivere la vita “personale” di un personaggio incredibile, che, nonostante la sua follia fece di Milano una potenza influentissima militarmente ma soprattutto diplomaticamente sullo scenario italiano, e non solo, fu un folle genio della dissimulazione, usò tutti come pedine di un gioco senza regole, imprevedibile, pronto all'inganno ed al tradimento, costruendo piani complicati ed astuti, per poi stravolgerli senza una vera logica chiara, astuto ed imprevedibile, e tutto questo senza praticamente mai uscire dai suoi 2 castelli, quello di Porta Giovia a Milano e a volte, quello di Abbiategrasso, isolato da tutti, circondato solo da alcuni segretari e paggi, i milanesi lo videro poche volte, praticamente mai negli ultimi anni di potere.

Prologo

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Gian Galeazzo Visconti muore all'età di 55 anni di peste nel suo castello di Melegnano, dove si era rifugiato da Milano sperando di evitare il contagio, lasciava il Ducato di Milano più esteso e militarmente potente che mai, usando ogni mezzo ed ogni tipo di violenza.
Gian Galeazzo nel 1387 era riuscito ad imprigionare con l'inganno lo zio Bernabò Visconti, signore di Milano, rinchiudendolo nel castello di Trezzo sull'Adda, ove morì alcuni mesi dopo, con tutta probabilità avvelenato.
Nei suoi 15 anni di “regno” riuscì ad allargare i suoi domini fino a Verona e Vicenza ad est, il Monferrato ad ovest e Perugia a sud, comprò dall'Imperatore il titolo ereditario di Duca e fece costruire la Certosa di Pavia e l'inizio dei lavori del Duomo di Milano, oltre a tante altre opere di interesse pubblico.
Prima di morire, spartì il ducato tra i suoi figli legittimi ed illegittimi, Al figlio Giovanni Maria lasciò il Ducato di Milano che comprendeva Milano, Como, Lodi, Cremona, Bergamo, Brescia, Reggio Emilia, Piacenza, Parma, Perugia e Siena. A Filippo Maria, che all'epoca aveva 12 anni assegnò Pavia col titolo di conte, Vercelli, Novara, Alessandria, Bobbio, Tortona, Feltre, Verona, Vicenza, Bassano e la riviera di Trento. Infine a Gabriele Maria, figlio illegittimo, Pisa e Crema., indebolendo di fatto il Ducato, che col successore cominciò a dissolversi..
Il titolo ducale ovviamente passò al primogenito Giovanni Maria, incapace e sadico, Venezia occupò le città venete e tutti i territori ad ovest e a sud conquistati dal padre andarono persi, combinò tante violenze e prepotenze verso il popolo e la Chiesa, che il commercio e l'artigianato decaddero e con questi anche l'intera economia del ducato, che si sostenne solo grazie alle terribili truppe di Facino Cane, suo capitano di ventura, ma quando questi cadde gravemente ammalato una congiura sostenuta dagli eredi di Bernabò Visconti lo uccise sui gradini di una chiesa il 16 Maggio 1412 .

Facino Cane, morente, fece giurare ai suoi capitani di porre sul seggio ducale l'erede Filippo Maria, con la condizione che questi sposasse, dopo la sua morte, sua moglie, Beatrice di Tenda, ciò che infatti accadde.

Nascita, ascesa alla signoria di Pavia, fino alla presa di potere sul Ducato di Milano.

Ma veniamo finalmente al nostro personaggio, ed alla sua vera storia, talmente folle che sembra la trama incredibile di un pessimo scrittore di romanzi pseudo storici, che cercherò di descrivere.

Nasce nel castello di Porta Giovia a Milano il 23 settembre 1392, un lunedì “verso il sesto minuto dopo il levar del sole”, così dice il suo biografo e segretario personale Pier Candido Decembrio.
Giovanni de Balbis, medico di corte, per compiacere forse il padre, lo aveva dichiarato sano e di robusta costituzione, ma in effetti da subito si dimostrò gracile e delicatissimo, forse perchè figlio di due primi cugini, si pensò che non sarebbe sopravvissuto, ma da subito fu imprevedibile, come lo sarà per tutta la vita, e sopravvisse.
A 10 anni fu mandato al castello di Pavia, di cui almeno nominalmente assume la signoria in nome del padre col titolo di conte di Pavia, dove resterà per altri 10 anni, pare vivendo un periodo tranquillo, non inquinato dalle vicende politiche e militari del tempo, senza l'avviso della progressiva nevrosi che l'accompagnerà per il reso della vita, aveva precettori che con poco successo cercarono di insegnargli la cultura ufficiale, ma sembra che i suoi libri preferiti fossero i romanzi cavallereschi, i libri di Storia ed i sonetti del Petrarca.
Gli piaceva la compagnia dei coetanei, giocare a palla e soprattutto la caccia, e come tutti i Visconti, amava i cani, ne aveva, dicono, una cinquantina, si impegnava ed interessava anche dell'uso delle armi, ma già allora tendeva ad ingrassare mangiando smodatamente, iniziando quel decadimento fisico che lo accompagnerà tutta la vita.

Presa di potere.

Così a vent'anni si ritrovò a dover sposare la vedova di Facino Cane, Beatrice di Tenda (vero nome Beatrice Lascaris di Ventimiglia), che aveva il doppio della sua età, e che oltre alle terre del marito ne aveva ereditato il grande esercito mercenario, unica difesa militare del ducato e della signoria Visconti.
Pare che nel viaggio verso Milano Filippo fosse terrorizzato, non sapeva se l'avrebbero acclamato o ucciso all'istante.
Beatrice, per cui si inventò a posteriori una altisonante origine araldica, era molto probabilmente la figlia di un venturiero di carriera al servizio dei Visconti, non era certo la nobildonna che i futuri cortigiani descriveranno, ma non era nemmeno la figlia di una lavandaia, come diranno i nemici dei Visconti, resta il fatto che come moglie di Facino Cane e sua migliore consigliera, aveva raggiunto un prestigio che la portava a rappresentare gli interessi dell'intera compagnia militare ereditata, come se fossero suoi.
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Lei aveva 40 anni e lo sposo 20, e probabilmente non si erano mai visti, ma la situazione non permetteva altre scelte, il ducato versava nel marasma, spuntavano pretendenti da ogni dove, appoggiati dai nobili e dal popolo in rivolta, primi fra tutti i discendenti di Bernabò, Filippo Maria come fratello del defunto duca, vantava il diritto di successione più valido, ma non aveva le forze per reclamarlo, Beatrice di Tenda non aveva alcun diritto, ma aveva denaro, terre e soprattutto un grande esercito che avrebbe protetto i diritti di Filippo, separati non avevano speranze, uniti avevano il potere a portata di mano.
Benchè un cronista la definisse “annosa femina” il matrimonio all'inizio parve funzionare, le truppe di Facino ristabilirono l'ordine costituito e Filippo ebbe un comportamento affettuoso con la moglie, da molti documenti trapelano molte attenzioni e premure per Beatricina, come lui la chiamava.
Ormai timoroso di tutto, anche delle ombre, aveva cominciato a sviluppare una personalità paranoica. pare che solo di lei si fidasse ciecamente, accettava addirittura solo il cibo che lei gli porgeva.
E si può sospettare che fosse sincero, anche se per un simile personaggio, che sarà maestro di simulazione ed inganni, una simile ipotesi è alquanto rischiosa, o forse nella sua condizione psichica, nemmeno lui sapeva fino a che punto dissimulasse o fosse sincero.
Fatto sta che i milanesi, 6 anni dopo le nozze, nell'estate del 1418, appresero che Beatrice era stata giustiziata nel castello di Binasco, riconosciuta colpevole di adulterio.
Alla cosa non credette nessuno, nei 6 anni passati Filippo aveva riconquistato parte dei territori persi, tranne quelli veneti, e compattato il ducato, l'economia rovinata dalle follie del predecessore era rifiorita, ed ormai controllava direttamente i capitani mercenari che lo servivano, non aveva più bisogno della moglie, come di nessun altro, la sua misantropia è ormai patologica, condita di continue paure irrazionali e di superstizione, si rivolge a maghi ed astrologi, senza i quali non prende decisioni, si isola completamente nel castello di Porta Giovia, da cui non esce se non obbligato da impegni istituzionali improrogabili, circondato solo da pochi fedelissimi e da parecchi giovani paggi adolescenti, che fecero nascere molte dicerie sui suoi gusti sessuali, di bell'aspetto e che non lo abbandonavano mai.
Aveva anche un'amante ufficiale, una sola in tutta la vita, Agnese del Maino, figlia di Ambrogio del Maino, conte palatino e questore ducale, i suoi fratelli Lancillotto e Andreotto erano cortigiani e membri del consiglio ducale.
Da lei ebbe due figlie, ma ne sopravvisse solo una, Bianca Maria, di cui poco si interessò personalmente, ma che nella nostra storia avrà una grande importanza.
Personalità paranoica, faceva controllare da spie tutti e tutto, non si fidava di nessuno, eccitava gli uni contro gli altri, certo che seminando discordia impedisse loro di unirsi contro di lui, affiancando anche solo nominalmente un incapace ad un uomo di valore, attribuendo poi all'inetto il merito delle azioni compiute, mettendo tutti in una situazione di precarietà continua, con una rete intricatissima di manovre diplomatiche e guerre continue.
Eppure quest'uomo per 35 anni dominò con mano di ferro uno degli stati più potenti d'Italia, lui che aveva paura del buio e di notte disseminava per le stanze adiacenti la sua un manipolo di uomini armati che lo difendessero dai suoi fantasmi immaginari.

Quando morì Giorgio Ordelaffi, signore di Forlì, questi nel testamento nominò tutore del figlio bambino Teobaldo proprio il duca di Milano, che vide l'occasione per tentare la conquista della Romagna, nel 1423 scoppiò la guerra con Firenze, fermamente decisa a contrastarne le ambizioni.
Venezia, perennemente in contrasto con Milano, stava cercando di costituire un dominio di terra in Veneto che giungesse fino all'Adda ed alle prime sconfitte subite dai fiorentini intervenne a loro sostegno, portando la guerra in Lombardia, dove il Carmagnola, ex capitano visconteo passato a Venezia, conquistò Brescia, che lui stesso aveva conquistato per il Visconti 5 anni prima, e la sponda orientale del Garda, questo convinse Filippo Maria alla pace, che comportò la cessione di Brescia alla Serenissima e la restituzione al Carmagnola di tutti i suoi averi sequestrati dal duca rimasti a Milano, dopo che il capitano di ventura, in contrasto con le follie del duca se ne era andato.
Ma ben presto la lotta riprese, fino alla battaglia di Maclodio (1427) dove il Carmagnola catturò praticamente tutto l'esercito milanese e la conseguente Pace di Ferrara, con la perdita definitiva di Bergamo e Brescia.
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Poco dopo Filippo dovette temere una grande coalizione, a Venezia e Firenze si aggiunsero Ferrara, Mantova, il Monferrato e il duca di Savoia Amedeo VIII, il ducato sarebbe stato attaccato da tutti i lati, la situazione sembrava disperata, ma il mefistofelico duca, che aveva spie e contatti ovunque, con la diplomazia e molto probabilmente anche con la corruzione riuscì a seminare discordie tra Firenze e Venezia, e poi a sorpresa......sposò senza dote la figlia del Savoia il 2 Dicembre 1427 e salvò capra e cavoli, la coalizione si sciolse.
Maria di Savoia aveva 16 anni, lui 35, ma pare che il matrimonio non sia mai stato consumato, la sposò per procura, il duca non lasciava mai i suoi castelli, la vide, si sospetta, forse una volta sola al suo arrivo a Milano nel 1428, poi la chiuse nel palazzo dell'Arengo e se la dimenticò, la “archiviò” insomma, come un indispensabile documento diplomatico, ma nulla di più, il che a lungo andare portò nuovo astio col Savoia, subissato dalle lamentele della figlia.
Il Visconti fomentava disordini in tutta Italia, verso il 1430 ricevette un'ambasceria di Paolo Guinigi, signore di Lucca, in cui gli si chiedeva segretamente aiuto contro Firenze, che dopo ripetute minacce stava preparando un potente esercito per attaccarlo definitivamente.
Filippo Maria non vedeva l'ora di disfare i piani dei fiorentini, che erano suoi alleati, cui era legato da un mutuo trattato di pace, che impediva ai contraenti anche di aiutare i loro reciproci nemici.
La soluzione il Duca la trovò subito, tolse il soldo allo Sforza, almeno formalmente, proclamando il licenziamento della sua compagnia, che diventava quindi libera da impegni, ma sottobanco lo finanziò e praticamente lo “prestò” al Guinigi con un contratto segreto che impegnava lo Sforza ad abbandonare senza preavviso il signore di Lucca se il Visconti lo avesse richiamato.
Così Francesco partì verso la Lucchesia con 450 lance (ogni lancia era composta da 3 cavalieri, uno in armatura pesante) , più altre 50 come guardia personale del Guinigi e 200 fanti.
L'impresa non fu difficile, il capitano fiorentino Niccolò Fortebracci, appena avvistata l'avanguardia sforzesca, invece di affrontarla tagliò velocemente la corda e si asserragliò a Ripafratta, Francesco punta su Lucca ed elimina rapidamente i presidi fiorentini nel pistoiese e a Borgo a Buggiano, mentre Pescia gli resiste, torna quindi a Lucca mentre viene segretissimamente contattato dai fiorentini perchè abbandoni Guinigi al suo destino, Francesco temporeggia e avvisa Filippo Maria dei contatti, ma il mefistofelico duca ha altri piani preparati da tempo, a Lucca ha una fazione segreta pronta ad insorgere, diverse famiglie importanti che fomentano una rivolta spargendo la voce, o meglio la calunnia che il Guinigi stia vendendo Lucca ai fiorentini, infatti una rivolta popolare capeggiata da Pietro Cenami e Lorenzo Buonvisi il 15 agosto 1430 depose Paolo Guinigi e la repubblica venne formalmente restaurata, in realtà sarà un satellite nell'orbita viscontea. Paolo venne processato e condannato a morte, poi per ordine del Duca di Milano fu arrestato con tutta la famiglia e consegnato al Visconti, e morì nel 1432 in carcere a Pavia prigioniero del duca di Milano.
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Il matrimonio della figlia Bianca Maria con Francesco Sforza.

Per quale ragione l'infido Duca, così orgoglioso delle nobilissime origini viscontee, abbia promesso in sposa, prima verbalmente e poi con regolare contratto la sua unica figlia a Francesco Sforza, da lui apertamente considerato un venturiero figlio di un contadino diventato capitano di ventura, si può spiegare solo con la facilità con cui Filippo Maria rompeva le promesse, d'altronde Bianca Maria aveva 7 anni e prima dei 12/13 il matrimonio non poteva essere celebrato.
Così il 23 Febbraio 1432 nel Castello di Porta Giovia a Milano viene formalmente firmato il contratto di nozze.
Quando la sposa ebbe compiuto i 13 anni, nel 1438, Francesco chiese che il contratto venisse rispettato, a quel tempo era passato al soldo di Venezia e minacciava di invadere il ducato, quindi il Duca si disse pronto alla cerimonia mentre contemporaneamente e segretamente offre Bianca Maria in sposa ad un Gonzaga.
Ma questo naturalmente Francesco non lo sa, annuncia ai fratelli e al mondo intero le prossime nozze che dovevano celebrarsi nel suo feudo di Fermo, arriva addirittura a fare allontanare la Colombina, sua storica amante dal castello del Girifalco di Fermo, che lei occupava da anni, mentre arrivavano da tutta Italia messaggi di congratulazioni e i primi regali di nozze, Filippo Maria fece marcia indietro, lo Sforza fece fuoco e fiamme, minacciando tremenda vendetta, come sempre il Duca, mellifluo e infido in ogni occasione, disse che il matrimonio era solo rimandato, se ne parlerà più avanti, Francesco lo mandò al diavolo e la faccenda prese il colore della farsa, il 19 Agosto 1440 Filippo Maria offre la figlia in sposa a Lionello d'Este, il 20 Settembre e il 2 Ottobre di nuovo a Francesco, il 7 e l'8 ottobre contemporaneamente a Francesco e Lionello.
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Ma nell'estate dell'anno dopo lo Sforza, privato nel Regno di Napoli dei suoi feudi, occupati da Alfonso I di Napoli, dovette riconciliarsi col Visconti, che nel frattempo aveva bisogno di lui per liberarsi dei ricatti inaccettabili del suo nuovo condottiero Niccolò Piccinino.
A questo punto furono necessarie poche settimane per giungere al matrimonio, che doveva celebrarsi a Cremona, nella chiesetta di S.Sigismondo, ben fuori dalle mura della città, dove gli sposi sarebbero entrati solamente dopo il matrimonio, Francesco, conoscendo il suocero prese tutte le precauzioni possibili, prima annunciò che il matrimonio poteva essere celebrato per procura, lui sarebbe arrivato solo dopo essere stato sposato, pochi giorni prima della cerimonia un gruppo di cavalieri si presenta alla porta del castello di Santa Croce a Cremona, dove Bianca Maria è alloggiata con le sue dame, è lo Sforza in incognito con alcuni dei suoi, Bianca Maria che ha 16 anni prima tituba, ma Francesco sa di essere in territorio ducale e ha fretta, temendo che la sua presenza venga riferita e possano esservi azioni contro di lui, quindi la futura sposa lo riceve, Francesco temeva che la sposa fosse della stessa pasta del suocero e a questo molto legata, in effetti Bianca Maria col padre ha avuto pochissimi legami e si dimostra attratta da questo sposo più maturo di lei, ma aitante e deciso, sposare un simile avventuriero la eccita, da subito tra loro si crea un legame che durerà tutta la vita, Francesco riparte rincuorato, rinunciò al matrimonio per procura e chiese solo che il corteo della sposa arrivasse alla chiesa prima del suo e che le fortificazioni di Cremona passassero ai suoi il giorno prima.
Il 25 Ottobre 1441 si celebrarono le nozze, il padre della sposa non c'era, ma questo se l'aspettavano tutti, il Duca non lasciava mai per nessuna ragione il castello di Milano.
Il corteo nuziale fu enorme, sfarzosissimo, a Cremona è ancora un mito, si dice che il torrone sia nato quel giorno, prese il nome da una torta a forma di torrazzo offerta agli sposi.

La contraddizione pare fosse l'unico principio ispiratore della sua politica, faceva cose che agli avversari parevano illogiche, che li spiazzava completamente, era una specie di rapporto paranoico col mondo esterno e persino con se stesso, sempre circondato da astrologi e maghi, il Decembrio dice:“Qualora in sogno gli si fosse presentato un presagio sfavorevole, da sveglio si dava a scongiurarlo. Perciò, rivolto ad oriente, supplicava a voce sommessa: modo di preghiera che veniva detto “Secretum” quindi si girava verso occidente; infine alle rimanenti parti del cielo”.
Fece tagliare i sorbi dovunque si trovassero, asserendo di aver appreso che la loro ombra era un incentivo di peste… Ordinò di sterminare tutti i corvi… Se per sbaglio gli capitava di infilare la scarpa sinistra invece della destra, lo considerava pessimo auspicio.

Altra ragione di timore: sentir cantare gli uccelli in modi insoliti, specie di notte.
Infausto imbattersi di venerdì in qualcuno che si fosse rapato, o catturare il mattino con le mani uccelli, o montare a cavallo nella festa di S. Giovanni Decollato”.
Poiché temeva più di tutti i temporali, fece coniare una medaglia d’oro raffigurante i moti dell’etere tenuti lontani per virtù degli astri.
Costruiva complicati disegni politici spesso lucidissimi, che, sul punto di realizzarsi, cambiava o addirittura rivoltava, un esempio lampante è la vicenda che lo coinvolse con Alfonso d'Aragona.
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Nel 1433 Alfonso V d'Aragona e Sicilia, era riuscito a farsi reintegrare dalla regina Giovanna II di Napoli quale erede del regno, ma successivamente, quando il duca di Calabria, il primo erede di Giovanna II, Luigi III d'Angiò, morì, Giovanna II nominò suo successore il fratello di Luigi, Renato d'Angiò, e quando la regina stessa, nel febbraio del 1435, morì, lasciò effettivamente il regno a Renato, perché papa Eugenio IV, signore feudale del Regno di Napoli, aveva negato il suo gradimento a re Alfonso.
Alfonso d'Aragona perciò, accompagnato dai fratelli Giovanni ed Enrico, a cui si unì anche Pietro, tornò nel Napoletano, occupò Capua e pose l'assedio a Gaeta; quindi la flotta aragonese affrontò la flotta genovese che, per conto del Visconti, alleato dell'Angiò e del Papa, andava a portare vettovaglie agli assediati di Gaeta, ma Alfonso e i suoi fratelli, alla battaglia di Ponza, furono sconfitti e fatti prigionieri dai Genovesi, solo Pietro riuscì a fuggire con due galee.
I prigionieri furono consegnati al Duca di Milano, una vittoria insperata, incarcerati prima nel castello di Porta Giovia, in pochissimo tempo da prigioniero Alfonso diventò l'ospite d'onore del castello, non si sa come e perchè, Filippo Maria, che non aveva mai avuto amici, si invaghì del nemico sconfitto, si fece convincere che era interesse di Milano abbandonare il Papa e gli Angiò, fino al punto di liberarlo senza alcun riscatto, una follia che gli costò l'inimicizia di Genova e del Papa, disfando improvvisamente tutta la politica intessuta fino a quel momento senza alcuna evidente contropartita, nessuno ha mai capito che ragioni potessero spingerlo, se non la follia.
Immediatamente Genova si ribella, tratta con Firenze e Venezia, e tutti i nemici dei Visconti, si forma una lega anti viscontea che preoccuperà Milano fino alla morte del duca.
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Epilogo.

E la morte arrivò nella notte tra il 13 e il 14 Agosto del 1447 nel castello di Porta Giovia, morì da misogino impenetrabile ad ogni affetto, temuto ed odiato da tutti, come era vissuto, il 12 Agosto ordinò che disponessero il letto verso il muro, e guardando verso quello spirò solo e senza una parola e disposizioni per la successione il giorno dopo.
Lasciava una figlia illegittima ma riconosciuta e una Milano senza amici e in confusione, dopo di lui il diluvio......fu proclamata l'Aurea Repubblica Ambrosiana, il Castello di Porta Giovia fu distrutto fino alle fondamenta, sul luogo sorgerà poi il Castello Sforzesco, costruito da Francesco Sforza, che aveva sposato la figlia, e dopo romanzesche vicende il Ducato ebbe un altro duca, che all'inizio del suo potere si firmava Visconti Sforza, iniziava una nuova dinastia.

Fonti:

I Visconti – Paolo Pacca – Mondadori
I terribili Sforza – Antonio Perria – Longanesi
L'Italia dei secoli d'Oro – Montanelli e Gervaso – Rizzoli
Umanesimo e Rinascimento – autori vari – UTET
La Storia, il Medioevo, vol. I-II – autori vari – Utet
Cavalieri, mercenari e cannoni. L'arte della guerra nell'italia del Rinascimento-Marco Scardigli-Mondadori
Storia delle compagnie di ventura in Italia vol.II -III – Ercole Ricotti – edizioni dell'Ariete
Gli Sforza - Giovanni Piazza – Mondadori
www.storiadimilano.it/Personaggi/Visconti/filippomaria.htm

Edited by Romeottavio - 27/3/2019, 18:38
 
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view post Posted on 27/3/2021, 15:22
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