Grande incendio di Roma

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view post Posted on 10/10/2010, 16:35

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Il grande incendio di Roma fu un incendio che colpì la città di Roma sotto l'imperatore Nerone.

L'incendio scoppiò nella notte del 18 luglio 64 (ante diem XV Kalendas Augustas, anno DCCCXVII a.U.c.) nella zona del Circo Massimo e infuriò per nove giorni complessivamente, propagandosi in quasi tutta la città.

Delle quattordici regioni (quartieri) che componevano la città, tre (la III, Iside e Serapis, attuale colle Oppio, la IX, Circo Massimo, e la X, Palatino) furono totalmente distrutte, mentre in altre sette si registrarono danni relativamente più limitati. I morti furono migliaia e circa duecentomila i senzatetto. Numerosi edifici pubblici e monumenti andarono distrutti, insieme a circa 4.000 insulae e 132 domus.

Gli scavi condotti nelle aree maggiormente interessate dall'evento, hanno spesso incontrato strati di cenere e materiali combusti, quali evidenti tracce dell'incendio. In particolare sono stati rinvenuti, in alcuni casi, frammenti di arredi metallici parzialmente fusi, a riprova della violenza delle fiamme e delle elevatissime temperature raggiunte.

Origine dolosa o accidentale
Le fonti antiche considerano quasi unanimemente l'incendio di origine dolosa, sottolineando alcune particolarità del suo andamento, come la velocità di propagazione, il fatto che si fosse espanso in tutte le direzioni, senza seguire la direzione dei venti, il fatto che bruciassero anche edifici in pietra. Ugualmente fu considerata una prova dell'origine dolosa il riaccendersi dell'incendio dopo che sembrò si fosse esaurito una prima volta.

In realtà le moderne conoscenze hanno appurato che incendi molto grandi, consumando l'ossigeno con il bruciare delle fiamme, tendono ad espandersi alla ricerca di altro ossigeno che permetta la combustione, creando una sorta di regime interno, indipendente dai venti presenti all'esterno. Gli edifici in pietra possono inoltre consumarsi completamente in seguito all'incendiarsi degli arredi e delle parti in legno, che prendono fuoco per i tizzoni provenienti dall'esterno. Infine l'attuale esperienza ha provato che spesso braci accese possono rimanere sotto la cenere, causando un imprevedibile ravvivarsi delle fiamme.

Sembrerebbe dunque che non ci siano prove di un incendio doloso e la tesi di un'origine accidentale è quella attualmente più diffusa nella moderna storiografia.

Responsabilità di Nerone
La colpa dell'incendio venne inoltre considerata quasi unanimemente di Nerone, la cui figura ci è stata tramandata dagli storici suoi contemporanei come quella di un odioso tiranno, attribuendogli motivazioni quali il desiderio di trarre ispirazione per il suo canto dalla distruzione di una città, ovvero la necessità di trovare spazio per l'erezione della Domus Aurea, o ancora l'aspirazione a tramandare il suo nome per aver compiuto un radicale rinnovamento urbanistico della città.

Gli atti di Nerone furono quindi interpretati nella maniera più negativa: l'abbattimento degli edifici sulle pendici dell'Esquilino che fu probabilmente determinato dalla necessità di arrestare l'incendio evitando che continuasse ad alimentarsi, sembra essere stato interpretato come desiderio di seminare ulteriori distruzioni, come in seguito il provvedimento di sgombrare le macerie e i cadaveri a proprie spese fu attribuito al suo desiderio di impadronirsi dei beni lasciati nelle case. I personaggi visti ad appiccare altri focolai di incendio e considerati la più certa prova di colpevolezza dell'imperatore, come riconosce lo stesso Tacito, avrebbero potuto nascondere dietro l'affermazione di ubbidire ad ordini dall'alto la propria attività di saccheggiatori. Altri sostenevano che l'imperatore avesse fatto appiccare l'incendio a fini unicamente speculativi per distruggere una porzione cittadina limitata e quindi poter avere mano libera sulla ricostruzione, e che la situazione fosse sfuggita di mano per pura casualità causando il disastro.

In realtà il racconto dello stesso Tacito riferisce al contrario di una serie di efficaci provvedimenti adottati dall'imperatore nella lotta contro il disastro e la tendenza attuale degli studi vede in molti campi una rivalutazione della figura di Nerone.

Responsabilità dei Cristiani
In alternativa alla versione tradizionale, lo storico Gerhard Baudy, riprendendo una tesi elaborate in precedenza da Carlo Pascal e Leon Herrman, ha esposto l'ipotesi secondo la quale furono effettivamente i cristiani ad appiccare volontariamente fuoco a Roma, allo scopo di dare seguito ad una profezia apocalittica egiziana, secondo cui il sorgere di Sirio, la stella del Canis Major, avrebbe indicato la caduta della grande malvagia città.




Le voci sono discordanti in riguardo. C'è chi sia ancora convinto che Nerone sia stata la causa dell'incendio per la costruzione della Domus Aurea, altri credono e affermano che sia solo stata una voce di corridoio, come del resto accadeva ai tempi.
Che Nerone fosse matto, non c'è ombra di dubbio. Ma anche io sono un forte sostenitore della sua innocenza riguardo all'incendio.
Quel che avvenne dopo, accusando i Cristiani per cacciar via le voci su di lui, beh, si che quella è una grande, grandissima colpa. Ma che ne pensate voi?
 
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Aussie Mazz
view post Posted on 10/10/2010, 17:50




Non sono esperto di questo argomento, lo ammetto.
Va comunque ricordato che all'epoca gli incendi erano all'ordine del giorno, soprattutto se si considera quanto strette fossero le strade (nelle normali zone abitative, almeno) e quanto facilmente potesse propagarsi un focolaio.
Nerone probabilmente non fu il responsabile diretto dell'accaduto, è però possibile che, una volta generatosi il danno, non sia intervenuto in maniera sufficientemente energica. Del resto, una bella villa nuova piace a tutti.
 
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view post Posted on 10/10/2010, 17:57
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quoto, oggi diversi storici mettono in dubbio la sua colpevolezza. Se non sbaglio l'evento fu preceduto da una cometa, che per i romani era portatrice di sventura
 
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view post Posted on 10/10/2010, 17:58

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Magari è stata solo una bravata o magari una misera disattenzione di qualcuno. Ovviamente i capri espiatori sui sovrani odiati ci sono sempre...
 
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view post Posted on 10/10/2010, 18:01
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minuto 2:02.... e non dico altro!!! :P
 
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raffaelemambella
view post Posted on 11/10/2010, 08:29




Fatta eccezione per Tacito (Annales XV, 38), che accanto alla versione dell’incendio provocato dolosamente da Nerone (dolo principis) conosce anche la versione di coloro che attribuivano al caso (sorte) l’incendio stesso, tutte le fonti antiche lo attribuiscono con certezza a Nerone, dal contemporaneo Plinio il Vecchio, che è probabilmente alla base della tradizione successiva (Naturalis historia XVII, 1, 5), all’autore senechiano dell’Octavia, a Svetonio (Nero, 38), a Dione (LXII, 16, 18). Scoppiato il 19 luglio del 64, l’incendio durò, secondo Svetonio, sei giorni e sette notti, ma riprese subito, partendo dalle proprietà di Tigellino e alimentando così i sospetti contro l’imperatore, e si protrasse ancora per tre giorni, come risulta da un’iscrizione (CIL VI, 1, 829, che dà la durata di nove giorni).
I moderni tendono ormai a negare la responsabilità diretta di Nerone nell’incendio: tutte le fonti però sono d’accordo nel dire che furono viste persone che attizzavano l’incendio una volta che questo era iniziato. Per i colpevolisti essi agivano iussu principis, «per ordine dell’imperatore», per gli innocentisti, secondo i quali l’incendio era scoppiato per negligenza, per autocombustione, per il caldo estivo, per il vento, essi agivano «per poter esercitare più liberamente le loro rapine». Per Svetonio e per Dione, però, costoro erano cubicularii [camerieri] dell’imperatore e addirittura soldati, e la loro presenza poteva autorizzare i peggiori sospetti. Dal confronto fra Tacito e Svetonio risulta d’altra parte che misure precauzionali e interventi di soccorso furono interpretati come prove della colpevolezza di Nerone: in particolare l’abbattimento operato dai soldati col fuoco di edifici vicini a quella che sarà poi la Domus aurea e il divieto ai legittimi proprietari di avvicinarsi alle loro case per salvare il salvabile e per recuperare i morti, alimentarono molti sospetti. A tali sospetti contribuì anche l’attribuzione all’imperatore di un movente preciso: non tanto quello accettato come sicuro da Svetonio e da Dione, ma non da Tacito, del desiderio di veder perire Roma sotto il suo regno, come Priamo aveva visto perire Troia (desiderio coronato dal famoso canto), ma anche e soprattutto il disprezzo per la vecchia Roma, con le sue strade strette e i suoi vecchi edifici, e la volontà di cimentarsi in una grande impresa urbanistica, diventando il nuovo fondatore di Roma.
Tacito è il solo, fra le nostre fonti, a dire che Nerone, per far tacere le voci che lo accusavano dell’incendio, inventò la falsa accusa contro i cristiani (Annales XV, 44): la notizia viene a lui, certamente, dalla fonte colpevolista (per la fonte innocentista non c’erano colpevoli dell’incendio, scoppiato per caso), quindi, con ogni probabilità, da Plinio. Per Plinio, come per Tacito, i cristiani erano innocenti dell’incendio di Roma e il supplizio loro inflitto destava pietà, anche se i cristiani, incolpevoli dell’incendio, erano certamente colpevoli, per la nostra fonte, di una exitiabilis superstitio [funesto culto]. La testimonianza di Tacito, chiaramente ostile ai cristiani per la loro superstitio, ma convinto della loro innocenza nell’incendio, mostra l’infondatezza dell’ipotesi di coloro, fra i moderni, che accusano i cristiani di avere incendiato Roma per la loro fede nella imminente parusìa [ritorno di Cristo sulla terra].
La distinzione fra la falsa accusa di incendiari, che colpì secondo Tacito i soli cristiani di Roma, e quella di superstitio illicita [culto illecito], la sola nota a Svetonio (Nero, 16,2), che colpì i cristiani di tutto l’Impero, non è, come spesso si crede, il risultato di due versioni del medesimo fatto raccontato da fonti diverse, ma l’effetto di due decisioni diverse, di cui la seconda è certamente anteriore alla prima. La Prima Lettera di Pietro (4,15), databile fra il 62 e il 64, prevede la possibilità che i cristiani possano essere incriminati come cristiani non solo a Roma ma in tutto l’Impero, e presuppone un’ostilità largamente diffusa (cfr. 1Pt 4,12), che ben si adatta alle accuse di flagitia [crimini infamanti], che secondo Tacito rendeva invisi al vulgus [la gente comune] i cristiani. Ma se l’atmosfera della Prima Lettera di Pietro è quella presupposta da Tacito, l’incriminazione per cristianesimo è certamente quella nota a Svetonio e non può riferirsi ad un editto imperiale (come l’incriminazione per l’incendio di Roma), ma solo a un senatoconsulto, a cui spettava, in età giulio-claudia, decidere sulle questioni religiose. L’institutum [istituzione] di cui parla Svetonio, l’institutum Neronianum di cui parla Tertulliano (Ad nationes I,7,14), non è un editto né un senatoconsulto, ma un precedente di fatto: è l’applicazione che, primo fra gli imperatori, Nerone, dedicator damnationis nostrae (autore della nostra condanna, Tertulliano, Apologeticum V,3), diede, subito dopo il 62, del senatoconsulto con cui era stata rifiutata nel 35 la proposta di Tiberio di riconoscere la liceità del culto di Cristo e che aveva fatto del cristianesimo una superstitio illicita in tutto l’Impero. Il veto tiberiano ne aveva bloccato l’applicazione e la situazione era rimasta immutata sino al 62, quando l’uccisione, nella stessa Giudea, decisa dal sommo sacerdote Ananos, di Giacomo il Minore fu resa possibile solo dalla momentanea assenza del governatore romano. Ma nel 62 si verificò una svolta decisiva, non solo nei rapporti fra l’Impero e i cristiani, ma in tutta la politica di Nerone: è questo il momento del ritiro dalla vita politica di Seneca, della morte di Burro, sostituito nella Prefettura del pretorio da Tigellino, del ripudio di Ottavia e delle nozze con la giudaizzante Poppea, della rottura con gli stoici della classe dirigente e dell’abbandono definitivo della linea giulio-claudia del principato per un dominato di tipo orientalizzante e teocratico. Cristiani e stoici furono colpiti negli stessi anni e insieme criminalizzati davanti all’opinione pubblica: aerumnosi Solones [Soloni tormentati] erano, secondo Persio (Satirae III, 79), gli stoici nel giudizio della gente ignorante, saevi Solones (Soloni spietati) sono definiti i cristiani in un graffito di Pompei: secondo la Prima Lettera di Pietro (4,4) essi sono calunniati «perché non partecipano con gli altri al disordine delle sregolatezze». Il clima nel quale queste accuse furono formulate è lo stesso: contro gli stoici della classe dirigente fu usata l’arma politica della lex maiestatis [legge per la difesa dello Stato]; contro i cristiani bastò riesumare il vecchio senatoconsulto del 35.
La prima vittima della decisione neroniana di incriminare i cristiani sulla base del vecchio senatoconsulto fu Paolo, che era ben noto negli ambienti della corte: questa incriminazione è testimoniata dalla Seconda Lettera a Timoteo, scritta nell’autunno di un anno che potrebbe essere il 63 (cfr. 2Tm 4, 21). Paolo è di nuovo in prigione a Roma, ma questa volta è in attesa di una condanna, ma non certamente per l’incendio (proprio perché si tratta di una prigionia “civile” Paolo può chiedere dei libri e un mantello). L’arresto e la condanna di Pietro dovettero avvenire invece, insieme a quella degli altri cristiani di Roma, dopo l’incendio del 64: il suo martirio, avvenuto per crocifissione negli horti neroniani [i giardini di Nerone], non può essere separato, come rivela il confronto fra la descrizione di Clemente Romano (1Cor 5) e quella di Tacito (Annales XV, 44), da quello della multitudo ingens – poly plethos [enorme moltitudine] che Nerone offrì come spettacolo, insieme ad un circense ludicrum (spettacolo circense), al popolo di Roma, mettendo a disposizione hortos suos [i suoi giardini]: la Guarducci ha pensato alle feste del 13 ottobre 64, qualche mese dopo l’incendio, quando il persistere dei sospetti contro l’imperatore poté consigliare a quest’ultimo di cercare capri espiatori.

 
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view post Posted on 11/10/2010, 13:24

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Il fatto che Nerone abbia cercato dei Capri Espiatori, si, è stato forse l'errore più grande fatto durante tutto il suo principato. Che poi sfociò in Assolutismo dispotico, che fece uccidere la madre e la moglie, calcolando il fatto che anche Poppea fu uccisa da lui con un calcio per averlo ripreso, ci fa capire perfettamente quanto stava male mentalmente quest'uomo che credeva di essere un grande poeta e che tutto voleva diventare, ma niente riuscì a compiere se non guai e stravaganze.
 
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view post Posted on 11/10/2010, 14:09
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quoto, ma Agrippina fu uccisa prima dell'incendio, e qualcuno ha sostenuto che Seneca non fosse estraneo a quest'omicidio
 
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view post Posted on 11/10/2010, 18:27

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Ecco si, Seneca diciamo che ebbe i suoi scheletri nell'armadio!
 
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raffaelemambella
view post Posted on 11/10/2010, 20:42




Quando si parla di personaggi storici, siano essi lontani o vicini al nostro tempo, vi è la diffusa tendenza a valutarli in modo preconcetto: da una parte i demoni, dall’altra gli eroi.
Tra i personaggi più vituperati della storia vi è Lucio Domizio Enobarbo, più conosciuto come Nerone. Di lui tracciarono un profilo negativo, mettendone in evidenza solo le ombre, Publio Cornelio Tacito, Svetonio Tranquillo e Dione Cassio Cocceiano, esponenti della classe senatoria e di quella equestre, contro le quali l’imperatore aveva dovuto combattere nel tentativo di limitarne i privilegi e di arginarne il potere immenso e dalle quali fu, alla fine, tratto in rovina.
Nerone, in realtà, fu un buon imperatore; benché avesse conseguito la carica a soli 16 anni, da subito cercò di introdurre in Roma gli ideali di bellezza, cosmopolitismo, pace, tolleranza e giustizia, propri della civiltà ellenistica, modello, ancora oggi insuperato, a livello di filosofia, economia, religione, scienza ed arte.
Ma i sui ideali presto entrarono in rotta di collisione con le brame delle classi senatoria ed equestre, avvinghiate ai vecchi privilegi ed all’angusto mondo della città stato, avide e violente.
Citiamo soltanto alcuni dei provvedimenti di portata storica di cui Nerone si fece promotore.
Riforme giudiziarie: Nerone abolì le procedure segrete e discrezionali (intra cubiculum principis) durante i procedimenti giudiziari; cambiò la prassi di emettere il verdetto nello stesso giorno del dibattimento; si prese almeno un giorno di riflessione per scrivere la sentenza con le motivazioni; pose i procedimenti giudiziari a carico dell'erario; ridusse i compensi ai delatori.
Moralizzazione della pubblica amministrazione: tra il 54 e il 61 fece processare dodici governatori delle province per malversazione. Sei furono condannati. Di questi tre erano stati nominati da lui stesso. Le norme per l'esazione delle tasse, fino ad allora segrete, furono rese pubbliche; le tasse non potevano essere richieste dopo un anno; tutte le soprattasse inventate dagli appaltatori furono abolite; stabilì che i processi contro gli esattori delle tasse, che abusavano del loro potere, dovevano avere la precedenza.
Provvedimenti per il rilancio dell’economia: Nerone vietò ai non residenti in Egitto di possedervi delle terre per impedire che i romani ricchi vi costituissero dei latifondi; cercò di ripopolare l'Italia meridionale con la costituzione di nuove colonie di veterani; le navi mercantili addette al trasporto del grano a Roma furono esentate dalle tasse patrimoniali.
Opere pubbliche: Nerone, oltre alla famosa ricostruzione di Roma a seguito dell'incendio del 64, intraprese altre opere pubbliche tra cui due imprese sovrumane iniziate ma mai completate: il taglio dell'istmo di Corinto e un canale lungo la costa dall'Averno a Roma.
Tentativo di riforma fiscale: Nel 58 presentò un progetto di riforma fiscale: l'abolizione delle tasse indirette chiamate portoria, che si pagavano principalmente nei porti. Si trattava di eliminare i dazi di entrata e uscita delle merci che passavano da una provincia all'altra dell'impero. Nerone ne voleva la libera circolazione. La diminuzione delle entrate dell'erario sarebbe stata compensata dall'aumento del volume delle imposte di compravendita e da un moderato aumento delle imposte dirette.
L'abolizione dei dazi avrebbe danneggiato: i grandi proprietari terrieri italiani, ossia i senatori, che si sarebbero trovati a fronteggiare una maggiore concorrenza dei produttori provinciali; i gabellieri, ossia i cavalieri, che avrebbero visto scomparire una delle fonti principali del loro reddito. Ne sarebbe stato avvantaggiato tutto il resto della popolazione che avrebbe goduto della diminuzione del costo della vita.
Il senato, controllato dai ricchi proprietari agrari, impedì a Nerone di procedere con la sua riforma ed il contrasto tra lui ed il senato divenne palese. L'aristocrazia fondiaria divenne il maggiore nemico dell'imperatore.
La riforma monetaria. Tolse il controllo dell'amministrazione della tesoreria (aerarium Saturni) al senato, costituendo i praefecti aerarii Saturni di nomina imperiale, in tal modo concentrando in un unico organo il potere di coniare monete. Procedette ad una riforma monetaria. Venne abbassato il piede dell'aureus e del denarius. Contemporaneamente venne migliorato il rapporto del denarius rispetto all'aureus: prima della riforma un grammo d’oro equivaleva ad 12 grami d’argento, dopo la riforma il rapporto divenne di 11/1. Così aumentava la moneta circolante, che portava un utile nelle casse dello stato, e si aveva un vantaggio per le classi medie che usavano il denarius e non l'aureus.
I ricchi, che avevano tesaurizzato l'aureus, che venne deprezzato, furono i più danneggiati e si coalizzarono contro l’imperatore, ordendo congiure di palazzo.
Dalla parte dell’imperatore rimase solo il popolo a favore del quale egli ordinava ricorrenti elargizioni (appena proclamato imperatore fece distribuire 400 sesterzi a ogni cittadino).
Il rinnovamento culturale. Nerone, che nei film hollywoodiani è rappresentato nella tribuna del colosseo (edificio tra l’altro non ancora edificato ai suoi tempi) mentre si diverte con i cruenti spettacoli e gode quando fa il gesto del pollice verso, nella realtà tentò in tutti i modi di convincere i cittadini dell’impero che ai violenti giochi gladiatori erano preferibili gli spettacoli musicali, la danza, la poesia, il teatro, lo sport.
Lo fece, innanzitutto, cimentandosi egli stesso nel canto e nella poesia (non siamo in grado di valutare le sue capacità poetiche perché nessuno dei suoi versi è a noi pervenuto) salendo sui palcoscenici e mettendosi alla prova in una lunga tournè in oriente.
Ma non mancarono anche provvedimenti incisivi come il divieto ai governatori delle province di allestire, a spese dell’erario, spettacoli con gladiatori e bestie feroci.
L’avversione di Nerone verso la violenza nello sport è testimoniato dalla squalifica per 10 anni (la prima nella storia di cui si abbia memoria) dell’anfiteatro di Pompei a seguito di una rissa, scoppiata per motivi banali tra la tifoseria di questa città e quella di Nocera, che aveva provocato morti e feriti, anche gravi.
L’urbanistica e la protezione civile
La notte di plenilunio del 19 luglio del 64 un incendio divampò a Roma. Iniziò nella zona del Circo Massimo e raggiunse il Palatino, la Suburra, il Viminale, Porta Capena, il Celio, le Carine, gli Orti luculliani e sallustiani, il Campo Marzio, la zona flaminia. L'incendio dopo sei giorni sembrò spegnersi, ma poi riprese e durò altri tre giorni.
Allo scoppio del grande incendio l'imperatore si trovava ad Anzio, ma raggiunse immediatamente l'Urbe per conoscere l'entità del pericolo e decidere le contromisure, organizzando in modo efficiente i soccorsi, partecipando in prima persona agli sforzi per spegnere l'incendio.
Aprì i suoi giardini per mettere in salvo la popolazione e si attirò l'odio dei patrizi facendo sequestrare imponenti quantitativi di derrate alimentari per sfamarla.
In occasione dei lavori di ricostruzione, Nerone dettò nuove e lungimiranti regole edilizie, destinate a frenare gli eccessi della speculazione e tracciare un nuovo impianto urbanistico, sul quale è tutt'ora fondata la città.
In seguito all'incendio egli recuperò una vasta area distrutta, facendo realizzare il faraonico complesso edilizio noto come Domus Aurea, per la residenza dell’imperatore, che giunse a comprendere il Palatino, le pendici dell'Esquilino (Oppio) e parte del Celio, per un'estensione di circa 2,5 km quadrati; una vera e propria reggia, con giardini, fontane statue ed altre meraviglie, espressione suprema degli ideali ellenistici, che però, i suoi contemporanei non capirono scambiandola per la trovata di un megalomane.
Come accade tutt’oggi in occasione dei grandi disastri, anche per l’incendio di Roma si vollero cercare i capri espiatori da dare in pasto alla popolazione, malgrado era evidente che l’incendio era potuto scoppiare anche per qualche imprudenza e si era propagato violentemente e facilmente per il modo sconsiderato e senza regole con cui era stata edificata la città (immensi edifici in legno, suddivisi in numerosi appartamenti privi di servizi, che si fronteggiavano su stradine anguste, ed assenza totale di aree verdi).
L’aristocrazia senatoria ed equestre cercò di addossare la colpa allo stesso Nerone: Tacito assumeva di averlo visto cantare improvvisati versi innanzi a quello spettacolo, che ricordava la distruzione di Troia cantata da Omero e Virgilio.
I giudei ortodossi, all’epoca in lotta con le nuove comunità cristiane, addossarono, invece, la colpa a questi ultimi ed ebbero buon gioco, sia per la delicata situazione politica, giacché, avendo Nerone difeso in Giudea, come in tutto l'impero, la libertà di religione, con questo popolo le relazioni erano alquanto tese, e sia per gli intrallazzi di Poppea, la moglie di Nerone, che li proteggeva.
Circa 200 cristiani furono arrestati, processati, dichiarati colpevoli di aver appiccato il fuoco e condannati a morte.
Per tale motivo l'immagine di Nerone è stata tramandata dagli storici cristiani quale autore della prima persecuzione, nonché responsabile del martirio di moltissimi cristiani e dei vertici della Chiesa Romana, cioè San Pietro e San Paolo.
In realtà Nerone, che come si è detto aveva difeso la libertà di culto perfino in giudea ( dove nel 33. d. c. l’eterodossia era stata la ragione di una celebre crocifissione e di una altrettanto celebre lapidazione) non emise alcun provvedimento nei confronti dei cristiani in quanto tali, limitandosi a condannare i soli giudicati colpevoli di aver provocato l'incendio di Roma. A riguardo occorre ricordare che lo stesso San Paolo, per avere giustizia, si era appellato al giudizio di Nerone, finendo assolto delle colpe imputategli nel 62. Ancora San Paolo, nella sua Epistola ai Romani, raccomandava l'obbedienza a Nerone.
Le persecuzioni contro i cristiani ebbero inizio nel II secolo con la prima persecuzione ordinata da Marco Aurelio, quando la presenza dei cristiani cominciò a rappresentare un serio pericolo per le istituzioni di Roma.
Quando Nerone morì aveva solo 31 anni; aveva regnato per 15 anni.
Durante il suo impero, pur avendo ottenuto notevoli successi anche nella politica estera, tanto che sulle sue monete venne effigiato il tempio di Giano chiuso per la raggiunta pax romana, aveva dovuto affrontare esperienze di vita terribili: Avevano congiurato contro di lui le persone a lui più care come la madre Agrippina ed il filosofo Seneca, che era stato anche il suo precettore. Della loro morte egli si era sentito responsabile ed il suo equilibrio psichico aveva cominciato a vacillare per gli incubi ed i rimorsi che lo assalivano durante la notte.
Anche dopo la morte il popolo della città continuò a tributargli una sorta di spontaneo culto popolare, che durò sino al XII secolo, quando papa Pasquale II interruppe la tradizione di portar fiori al mausoleo dei Domizi-Enobarba, ov'era sepolto, facendolo demolire e costruire al suo posto una cappella che sarebbe poi divenuta Santa Maria del Popolo.
A ben leggerla la tragica storia di Lucio Domizio Enobarbo, che visse e morì come un personaggio Euripedeo, risulta emblematica delle regole, che ancora oggi governano la politica, e non solo perché essa dimostra quanto potere abbia la così detta “intellighenzia” a distruggere, a volte a ragione, ma più spesso a torto, la reputazione dei personaggi non in linea con i loro interessi.

 
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view post Posted on 11/10/2010, 20:54
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qui devo concordare, purtroppo nella famiglia Giulio-Claudia sembra esservi una vena di follia, che ha risparmiato in pochi, e inoltre pochi di loro sono morti di morte naturale
 
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view post Posted on 11/10/2010, 20:59

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Proprio oggi a scuola parlavamo della pazzia che colpì Nerone nel corso del suo Assolutismo dispotico. Vogliamo parlare della Tourneè poetica che organizzo lui? XD
Era proprio incorregibile!
 
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view post Posted on 11/10/2010, 21:02
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Quello fu il massimo!! Ma anche lo zio caligola none ra da meno in quanto a follia
 
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raffaelemambella
view post Posted on 11/10/2010, 22:29




Lasciamo perdere le pur numerose follie di Caligola.
Ecco come regnò e come morì.
Bisogna però subito dire che la nostra conoscenza di Caligola è limitata in quanto gli scritti di Tacito relativi a questo imperatore sono andati perduti.
Le nostre informazioni derivano principalmente da due fonti, entrambe ostili, che hanno preferito raccontare anedddoti piuttosto che le reali azioni di Caligola: Svetonio e Dione Cassio.
Svetonio Tranquillo (70-140 circa), originario della provincia d'Africa dove era nato agli inizi del principato di Vespasiano, cavaliere, capo del dipartimento della corrispondenza imperiale. Rimosso da Adriano nel 121, si mise a scrivere biografie degli imperatori accentuando gli aspetti aneddotici e scandalistici. Caligola fu un soggetto perfetto per questo scopo.
Dione Cassio Cocceiano (Nicea 155 - Nicea 235 circa), proveniente dalla Bitinia, un padre senatore, fu due volte console e nel 229 collega dell'imperatore Severo Alessandro. Scrisse una storia romana in 80 libri. Trattando di Caligola travisa addirittura gli eventi che Svetonio poneva a merito dell'imperatore.
Altre informazioni su Caligola si hanno da Seneca (1-65), Filone di Alessandria (circa 30 a.C - 45 d.C.) e Giuseppe Flavio (37-dopo il 100 d.C.).
È noto che Seneca fece carriera adulando le autorità del momento e denigrando le precedenti. La sua attendibilità è molto scarsa.
L'ebreo Filone, scrittore apologetico, scrisse per mettere in buona luce il suo popolo e per attaccare i greci di Alessandria. Era profondamente ostile a Caligola.
L'ebreo Giuseppe Flavio scrisse che l'assassinio di Caligola era un episodio conforme al fine etico di rendere felici gli uomini e di salvare gli ebrei dalla distruzione. I riferimenti a Caligola nei suoi scritti servono solo a dimostrare questo assunto teologico.
Caligola regnò per 4 anni. Si trovò contro, come Nerone, il senato e le classi più ricche. Fu molto amato dal popolo e dai militari, che ricordavano le grandi imprese di suo padre Germanico.
Venne ucciso, a 29 anni, in una congiura di palazzo, che dopo 24 ore era terminata con la sconfitta dei senatori e la condanna del suo assassino.
La tradizione narra che, per molto tempo, lo spirito di Caligola rimase a vagare inquieto sull'Esquilino, dove era stato frettolosamente sepolto dall'amico Erode Agrippa, nipote di Erode il Grande.
Caligola nasce il 31 agosto del 12 d.C..
Suo padre era il generale Gaio Giulio Cesare Germanico (15 a.C. - Antiochia di Siria [odierna Antakya di Turchia] 19 d.C.), figlio di Antonia Minore, figlia di Marco Antonio e di Ottavia, sorella di Augusto. Fu adottato da Tiberio ed era destinato a divenire imperatore.
Sua madre era Agrippina Maggiore (14 a.C. - Pandataria [odierna Ventotene] 18/10/33 d.C.), figlia di Giulia, figlia di Augusto, nipote di Giulio Cesare.
Agrippina ebbe 9 figli, dei quali sei superarono l'infanzia: Caligola, Nerone (nato intorno al 6), Druso (nato il 7 o 8), Agrippina Minore (nata nel 15), Drusilla (nata nel 16) e Livilla (nata nel 17 o 18). Agrippina Minore sarebbe diventata moglie dell'imperatore Claudio e madre dell'imperatore Nerone.
Il piccolo Gaio visse nell'accampamento militare e divenne il favorito delle truppe. Indossò l'uniforme dei legionari e ricevette il soprannome di Caligola, diminutivo di caliga, il sandalo militare. Da grande avrebbe odiato il soprannome.
Il padre Germanico morì il 10 ottobre del 19 ad Antiochia, all'età di 33 anni, forse vittima di un avvelenamento. Gaio aveva 7 anni.
Nel 27 Tiberio esiliò Agrippina ad Ercolano. Il quindicenne Caligola venne affidato alla bisavola Livia, la moglie di Augusto. Ma Livia morì nel 29 all'età di 86 anni. Caligola venne affidato alla nonna paterna Antonia Minore.
Tiberio inviò Agrippina, la madre di Caligola, in esilio a Pantadaria (odierna Ventotene) e Nerone, il fratello maggiore, a Ponza.
La casa di Antonia Minore, sorellastra di Selene Cleopatra, moglie di Giuba II di Mauretania, era frequentata da numerosi monarchi orientali. Antonia era amica dei familiari di Erode il Grande.
Caligola conobbe i tre figli di Antonia Trifena e di Coti di Tracia: Roemetalce, Coti e Polemone. Divenne amico di Antonio Asiatico e di Lucio Vitellio, il cui figlio sarebbe divenuto imperatore.
Tiberio fece arrestare Druso, l'altro fratello di Caligola, e lo fece rinchiudere in un sotterraneo della residenza imperiale sul Palatino.
Nel 31 Tiberio chiamò Caligola a Capri, che era diventata la residenza dell'imperatore. Caligola iniziò a ricevere le prime cariche pubbliche.
Nel 31 il fratello Nerone morì a Ponza, apparentemente suicida.
Nel 33 il fratello Druso venne lasciato morire d'inedia da Tiberio. Il 18 ottobre dello stesso anno moriva la madre Agrippina anch'essa d'inedia, ma suicida.
Nel 33 Caligola si sposò ad Anzio con Giunia Claudia, figlia di Marco Giunio Silano. La sposa sarebbe morta durante la gravidanza.
A Capri Caligola divenne molto amico di Marco Giulio Agrippa (10 a.C. - 44 d.C.), figlio di Aristobulo, figlio di Erode il Grande. Giulio Agrippa era stato portato a Roma dalla madre Berenice ed affidato ad Antonia Minore. Berenice era figlia della celebre Salomè, amica di Livia. Agrippa è passato alla storia con il nome di Erode Agrippa I, re di Giudea dal 41 al 44.
Il 16 marzo del 37 Tiberio morì a Miseno, in una villa costruita dal generale Mario. Aveva 79 anni. Credo proprio Tacito nella vita di Tiberio ci dica che fu Caligola ad ucciderlo, soffocandolo con un cuscino, vendicando così l'assassino di suo padre e di sua madre.
Macrone, prefetto del pretorio, prese il controllo della situazione e organizzò l'ascesa di Caligola, che venne acclamato imperatore dai pretoriani e dalle truppe di stanza a Miseno.
Il 28 marzo Caligola arrivò a Roma, accolto da una folla festante, e si presentò davanti al senato che gli conferì la massima autorità sullo stato. Caligola aveva 25 anni.
Agrippa ebbe il tetrarcato della Giudea settentrionale, il titolo di re e forse anche il tetrarcato di Abilene.
Antioco, figlio dell'ex re della Commagene, riebbe i territori paterni.
Lucio Vitellio, governatore della Siria, raggiunse un accordo con Artabano, re dei Parti. Suo figlio Dario venne dato in ostaggio ai Romani. Mitridate, re filoromano dell'Armenia venne rimosso, richiamato a Roma e imprigionato. L'imperatore Claudio lo avrebbe rimesso sul trono.
Caligola abolì il reato di lesa maestà, un crimine dai contorni incerti.
Bruciò pubblicamente tutti i documenti e le lettere di coloro che avevano contribuito alla rovina dei suoi familiari.
Sospese tutti i processi per lesa maestà e graziò tutti i condannati all'esilio. Tra i beneficiati: il letterato Publio Pomponio Secondo, Annio pollione, Viniciano, Mamerco Scauro, Gneo Domizio, Vibio Marso.
Rimise in circolazione tutti gli scritti distrutti per ordine senatorio. In particolare tornarono in circolazione gli scritti dell'oratore Tito Labieno, del retore Cremuzio Cordo e dello storico Cassio Severo.
Caligola divenne console, insieme allo zio Claudio, il 1° luglio del 37. Lasciò la carica il 1° settembre.
Tiberio Gemello, nipote di Tiberio, venne adottato da Caligola.
Il senato annullò il testamento di Tiberio che lasciava l'eredità dei suoi beni a Caligola e a Tiberio Gemello. Unico erede divenne Caligola.
Nell'autunno del 37 Caligola si ammalò. Si sparse la voce che stesse per morire.
Caligola durante la malattia nominò sua sorella Drusilla erede dei beni e del potere. Marco Emilio Lepido, marito di Drusilla, divenne consigliere di Caligola.
Ma in ottobre o novembre Caligola si riprese.
Alla fine del 37 Tiberio Gemello, sospettato di aver tramato contro Caligola durante la sua malattia, si suicidò. Fu sepolto nel mausoleo di Augusto.
Anche Silano, il suocero di Caligola, sospettato di complicità con Tiberio Gemello, si suicidò.
All'inizio del 38 Macrone, il prefetto del pretorio, anch'egli sospettato, si suicidò.
Verso la fine dell'anno 37 Caligola fece il suo secondo matrimonio con Livia Orestilla, ex moglie di Gaio Calpurnio Pisone, che nel 65 sarà a capo della congiura contro Nerone. Il matrimonio durò poco e Orestilla venne presto ripudiata.
Nel 38 Erode Agrippa partì per raggiungere il suo regno. Caligola gli consigliò di passare da Alessandria per controllare il comportamento di Flacco, prefetto dell'Egitto, sospettato di essere stato un partigiano di Tiberio Gemello.
Verso la fine del 38 Flacco, accusato dai greci alessandrini Isidoro e Lampone, venne arrestato e condannato all'esilio a Giaro. Marco Emilio Lepido intercedette a favore di Flacco che venne esiliato ad Andros, una sede meno tetra della precedente destinazione. Sarebbe stato ucciso nel 39.
Il 18 giugno del 38 la sorella Drusilla morì. Furono decretate le stesse onoranze che erano state concesse a Livia.
Nell'autunno del 38 Caligola si sposò con Lollia Paolina, precedentemente sposata a Pubblio Memmio Regolo, governatore della Mesia, della Macedonia e dell'Acaia. Per Caligola era il terzo matrimonio.
Il 1° gennaio 39 Caligola divenne console per la seconda volta. Fu suo collega Lucio Apronio Cesanio, figlio di Lucio Apronio legato di Germanico. Dopo 30 giorni Caligola si dimise. Gli successe Sanquinio Massimo, prefetto di Roma.
Nella sua orazione accusò i senatori di ipocrisia perchè imputavano a Tiberio molte colpe solo per compiacere Caligola stesso. Inoltre disse che molte delle persone che avevano perso la vita al tempo di Tiberio, erano state accusate in realtà proprio dai senatori; Tiberio si era solo fidato del senato. Infine affermò che i senatori erano molto volubili in quanto prima avevano decretato infiniti onori a Tiberio e persino a Seiano, ora decretavano onori per Caligola. Non erano questi onori poco sinceri e non potevano nascondere un odio profondo?
I senatori, sempre ossequienti, approvarono immediatamente la richiesta di Caligola di reintrodurre il reato di lesa maestà e decretarono cerimonie annuali per celebrarare la Clementia di Caligola.
Nella seconda metà del 39 Caligola divorziò da Lollia Paolina, accusata di sterilità, e si sposò con Milonia Cesonia. Era il quarto matrimonio. Pochi giorni dopo la cerimonia Cesonia partorì Giulia Drusilla.
A settembre Caligola destituì i consoli suffraganei entrati in carica il 1° luglio. Vennero nominati nuovi consoli: Aulo Didio Gallo, sovraintendente alle acque, e l'oratore Gneo Domizio Afro.
Il controllo della legione residente nella provincia di Africa fu tolto al governatore di nomina senatoria e affidato ad un legato imperiale.
Caligola partì da Mevania, nei pressi del Clitumno, per iniziare la campagna militare contro i britanni e i germani nell'autunno del 39.
Cornelio Lentulo Getulico era legato della Germania Superiore dal 29. Controllava quattro legioni. Lucio Apronio, suocero di Getulico e legato della Germania inferiore dal 24, controllava 4 legioni. Altre due legioni erano in via di formazione. Complessivamente Getulico aveva ai suoi ordini diretti o indiretti 10 legioni.
Getulico per avere l'appoggio dei soldati aveva allentato la disciplina e fatto molte concessioni. Era diventato un pericolo per l'imperatore. Inoltre i legionari avevano subito notevoli rovesci negli ultimi tempi.
Il 27 ottobre 39 giunse a Roma la notizia della condanna a morte di Getulico. La sua morte fu messa in relazione con la congiura di Lepido.
Lepido, che era stato marito di Drusilla, fu accusato di cospirazione insieme alle cognate Agrippina e Giulia Livilla. Venne ucciso da un tribuno di nome Destro. Le sorelle di Caligola furono mandate in esilio nelle isole pontine.
Caligola aveva sventato una pericolosa congiura politico-militare proprio nel momento in cui si accingeva ad una impresa di importanza storica: la conquista della Britannia.
All'inizio dell'impero Roma aveva, oltre all'Egitto, due province nel Nord-Africa: la Cirenaica (odierna Libia) e l'Africa Vetus (odierna Tunisia). A sud di quest'ultima si estendeva il regno di Numidia che venne annesso con il nome di Africa Nova. Augusto riunì le due province nella Africa proconsularis.
Nel 33 a.C., alla morte del re Bocco, il regno di Mauretania (odierno Marocco e Algeria) passò sotto controllo romano ma rimase formalmente un regno indipendente. Nel 23 salì al trono Tolomeo, figlio di Giuba II, che aveva sposato Cleopatra Selene, la figlia di Antonio e Cleopatra.
Nel 40 Caligola convocò a Roma Tolomeo, sospettato di un complotto. Il padre di Tolomeo, Giuba II, aveva combattuto a lungo insieme a Getulico e forse l'ultimo re di Mauretania era stato coinvolto nella congiura di Getulico. Tolomeo venne imprigionato e dopo qualche tempo ucciso. La Mauretania venne annessa a Roma. Furono create due province: la Mauretania Tingitana, con capitale Tingis (odierna Tangeri), e la Mauretania Caesariensis, con capitale Iol-Cesarea (odierna Cherchel).
La Britannia era stata invasa nel 55 e 54 a.C. da Cesare, che aveva tuttavia abbandonato l'isola dopo aver concluso degli accordi con le popolazioni locali, sottomesse a tributo.
Tra il 20 e il 15 a.C. Tascioviano diventò re dei catuvellauni (abitanti nella zona dell'attuale Hertfordshire), non rispettò i trattati con Roma, iniziò a coniare monete e avviò una politica aggressiva verso i vicini. Alla sua morte tra il 5 e il 10 aveva esteso il regno dal Northamptonshire fino al Tamigi. Gli successe il figlio Cinobellino (Cimbelino), che conquistò le terre dei filoromani trinovanti e la loro capitale Camulodunum.
A sud del Tamigi si estendeva il regno dei belgici atrebani, che con il re Tincommio erano divenuti amici dei romani e ostili ai catuvellauni. Ma Tincommio fu costretto a rifugiarsi a Roma. Gli successe il fratello Eppilo e poi Verica.
I catuvellauni invasero le terre degli atrebati. Verica fu costretto a fuggire a Roma dove si trovava al tempo di Claudio. I catuvellauni erano divenuti una potenza e potevano addirittura minacciare la Gallia.
Dopo la sconfitta delle legioni di Publio Quintilio Varo nella foresta di Teutoburgo nel 9 d.C., i romani avevano ripreso l'avanzata in Germania con Germanico nel 14-16.
Nel 39 Caligola, figlio di Germanico, decise di riprendere l'opera del padre. In autunno sostituì Getulico con Servio Sulpicio Galba nella Germania Superiore e nominò Publio Gabinio Secondo nella Germania Inferiore. Entrambi erano dei valenti generali. Galba sarebbe diventato imperatore.
L'arrivo di Galba trasformò l'esercito. Si diffuse un motto:"Disce milites militare. Galba est, non Gaetulicus" (Impara soldato a militare. Ora c'è Galba, non Getulico).
Caligola arrivò a Lione, la capitale della Gallia, e vi rimase finchè Galba non riportò l'ordine sulla frontiera renana.
All'inizio del 40 Caligola fu console per la terza volta, ma si dimise il 12 gennaio. Poi si recò a Magonza dove si trovava Galba in piena zona di operazioni militari.
Le vittoriose, anche se non decisive vittorie militari di Galba, consentirono a Caligola di spostarsi a nord verso il canale della Manica, probabilmente a Gesoriacum (Boulogne). Si era in pieno inverno. Non era assolutamente il tempo adatto per attraversare la Manica con un esercito. Si aspettava la primavera.
Ma dal fronte orientale non arrivarono notizie confortanti. I Germani pur parzialmente sconfitti rimanevano un pericolo. Era impossibile distogliere le legioni dal confine del Reno.
A marzo del 40 Caligola rinviò l'invasione della Britannia.
Unica vittoria morale sulla Britannia fu la visita che Adminio, il figlio di Cinobellino, compì attraversando la Manica per rendere omaggio a Caligola che gli andò incontro con la sua triremi.
Sarebbe stato Claudio a portare a compimento l'invasione della Britannia nel 43-44.
Caligola non rientrò immediatamente a Roma, ma si recò in Campania, dove rimase fino alla fine di agosto, quando rientrò a Roma in occasione del suo compleanno.
Erode Antipa (circa 20 a.C.- 40 d.C.), figlio di Erode il Grande, era tetrarca della Galilea e della Perea. Aveva sposato sua nipote Erodiade, sorella di Erode Agrippa. Nel 40 chiese di essere ricevuto da Caligola sperando di ricevere il titolo di sovrano. Invece venne accusato, probabilmente da Erode Agrippa, di aver congiurato con il re dei Parti Artabano. Erode Antipa venne inviato in esilio in Gallia. Erodiade lo seguì volontariamente. Il tetrarcato e i beni di Erode Antipa passarono a Erode Agrippa.
I senatori continuarono a cospirare contro Caligola. Ci furono alcuni attentati. Caligola fu costretto ad entrare in senato con un corpo di guardia e a sedere su di uno scranno alto e ben protetto.
Venne rafforzato anche il numero delle coorti pretorie portate da nove a dodici.
Caligola affidò la sua sicurezza ad un corpo speciale composto da Germani.
Il 17 gennaio del 41 ebbero inizio i ludi palatini. Di fronte al palazzo imperiale venne allestito un teatro mobile. Gli spettatori erano migliaia. Il luogo molto angusto. Difficile per le guardie del corpo controllare e intervenire.
Caligola arrivò in teatro quando questo era già pieno. Verso l'ora settima (intorno all'una), secondo la sua abitudine si allontanò per fare un bagno e un leggero pasto. Con Caligola erano lo zio Claudio, il cognato Marco Vinicio e l'amico Valerio Asiatico.
I congiurati riuscirono a far cambiare percorso a Caligola isolandolo dalla scorta che lo perse di vista.
All'interno di una stretta galleria Caligola incontrò degli attori e si intrattenne a parlare con loro.
Poi improvvisamente Cassio Cherea, tribuno delle coorti pretorie, lo colpì tra il collo e la spalla. Caligola cercò di fuggire ma Cornelio Sabino, anch'egli tribuno delle coorti pretorie, lo raggiunse e lo colpì a morte. Gli unici a reagire furono i lettighieri. Caligola fu colpito da non meno di trenta pugnalate.
Non aveva ancora 29 anni e aveva regnato per meno di 4 anni.
I sorveglianti e le guardie del corpo bloccarono la galleria verso il teatro. I congiurati fuggirono in direzione dei palazzi imperiali.
La scorta germanica accorse e uccise immediatamente alcuni dei cospiratori tra cui Asprenate, Norbano e Anteio.
I pretoriani arrestarono il senatore Annio Viniciano che fu condotto davanti a Marco Arrecino Clemente, prefetto del pretorio. Ma questi, che aveva aderito alla congiura, fece fuggire Viniciano.
Il medico Alcione, un altro congiurato, fece fuggire molti dei ricercati con la scusa di mandarli a prendere l'occorrente per curare i feriti.
Durante la fuga Cherea, non soddisfatto della morte di Caligola, mandò il tribuno Lupo nel palazzo imperiale ad uccidere Cesonia, la moglie dell'imperatore. Poi fu la volta della piccola Drusilla, la figlia di Caligola, che venne sfracellata contro una parete.
Il corpo di Caligola venne trasportato nei giardini Lamiani sull'Esquilino. Erode Agrippa, fedele oltre la morte all'amico, si occupò del funerale. Il corpo venne cremato in fretta e sepolto in forma provvisoria. Quando le sorelle tornarono dall'esilio diedero degna sepoltura al fratello, forse nel mausoleo di Augusto.
I consoli convocarono il senato. I senatori approvarono un decreto in cui si accusava Caligola di una serie di crimini.
Intanto il popolo, addolorato per la morte dell'imperatore, si assembrò nel foro e chiese di conoscere gli autori dell'assassinio.
I senatori fecero trasportare sul Campidoglio il tesoro pubblico, normalmente conservato nel tempio di Saturno sito nel foro.
I pretoriani si riunirono e decisero di nominare imperatore Claudio, lo zio di Caligola, trovato ancora in vita nel palazzo imperiale. Claudio venne trasferito sotto scorta a nord del Germalo. I senatori, riuniti sul Campidoglio, fraintesero il senso della scorta e continuarono nella loro riunione sicuri che la sorte di Claudio fosse segnata. Invece i pretoriani portarono Claudio in salvo nel loro campo nei pressi del Viminale.
Quando la notizia giunse in senato il console Saturnino consigliò di resistere fermamente a Claudio ed esaltò il gesto di Cherea.
Intanto Claudio aveva ricevuto la visita di Erode Agrippa, dopo che questi aveva sepolto sull'Esquilino Caligola. Agrippa rassicurò Claudio e poi si recò in senato facendo finta di provenire da un banchetto. Ormai si era fatta sera.
Agrippa dimostrò ai senatori l'impossibilità di resistere ai pretoriani. Venne costituita una ambasceria per andare a trattare con Claudio. Agrippa guidò il gruppo di alte personalità che tentò di trovare un compromesso. Si era fatta notte e la seduta del senato venne sospesa.
Alla seduta del giorno seguente non si presentarono che un centinaio di senatori, che cominciarono a discutere chi di loro dovesse succedere a Caligola. Si fecero avanti Marco Vinicio, il marito di Livilla, e Valerio Asiatico, la cui candidatura venne stroncata da Viniciano.
Intanto l'ambasceria inviata a Claudio aveva avuto modo di verificare la decisione e la forza dei pretoriani. Erode Agrippa informò Claudio della debolezza e divisione che c'era nel senato.
La volontà dei pretoriani era stata rafforzata da un donativo di 15.000 o 20.000 sesterzi per soldato. Agli ufficiali venne dato ancora di più. Vennero nominati due nuovi prefetti del pretorio: Rufrio Pollione e forse Catone Giusto.
Tutte le truppe presenti a Roma si unirono ai pretoriani.
Il popolo circondò il senato invocando Claudio imperatore.
Quinto Pomponio Secondo, uno dei consoli, passò dalla parte di Claudio, che salì al Palatino.
I senatori compresero di aver perduto e, per salvarsi, decisero immediatamente di condannare Cassio Cherea, che si suicidò, e Lupo. Cornelio Sabino si suicidò poco dopo.
In ventiquattro ore il colpo di stato del senato era fallito.



Riguardo a Nerone e al suo amore per la poesia e la cultura greca.
Nerone giunto alla maggiore età, cominciò a dare pubblico e ampio sfogo alle sue passioni, le gare con le quadrighe, le declamazioni di poesie che egli stesso componeva, i giochi del circo. Passioni indegne di un imperatore agli occhi di molti senatori, ma anche pubbliche manifestazioni che suscitarono nella folla di Roma un grande entusiasmo e che accrebbero la popolarità dell’imperatore. Nerone organizzò dei giochi che presero il suo nome, i “Neronia”, gare ginniche, di eloquenza e di poesia. Inoltre diede vita agli “Iuvenilia”, una sorta di “Giochi della gioventù” accompagnati da grande sfrenatezza di costumi, ubriachezza, orge, violenze, e in cui l’imperatore fece la sua comparsa nelle vesti di Dioniso, il dio orgiastico del vino. In queste competizioni si cimentarono in veste di gladiatori anche parecchi tra senatori e cavalieri romani. Questa appariva a molti loro colleghi un’umiliazione perché di solito erano gli schiavi a combattere nel circo. Lo storico Tacito sostiene che l’imperatore scegliesse per combattere i più bisognosi di denaro tra questi “rispettabili membri” della società o li costringesse con il ricatto, ma il gran numero di senatori e cavalieri coinvolti ci fa sospettare che questa “umiliazione” fosse spesso scelta volontariamente.
E’ difficile valutare con chiarezza il significato di queste iniziative neroniane: per molti
storici antichi e moderni si tratterebbe di manifestazioni di un fortissimo esibizionismo, determinate dal fascino esercitato sull’imperatore dai modelli di monarchie orientali e da una sostanziale megalomania. Per altri, tuttavia, dietro questo esibizionismo quasi patologico si nasconderebbe un progetto politico – sociale che si potrebbe definire “neronismo”, un insieme di aspirazioni confuse di tipo religioso, estetico e politico, che chiaramente tendevano a mettere in discussione l’ordine tradizionale di Roma in modo da sottomettere lo Stato romano ad un principe artista, che univa il potere assoluto con i talenti di musicista, attore tragico e auriga. Inoltre molti senatori e cavalieri lo imitarono volontariamente o perché costretti o corrotti dal principe.
Probabilmente il desiderio di Nerone nel coinvolgere l’alta società nelle sue iniziative aveva l’obiettivo di rendere l’aristocrazia romana partecipe di un grande progetto, quello cioè di creare un’umanità nuova e nobile, capace di innalzarsi con i suoi talenti e le sue qualità fino alla divinità. In questo modo l’imperatore si ricollegava a uno degli aspetti principali della saggezza greca, che aveva sempre avuto il fine di mostrare agli uomini la strada verso la vera eccellenza chiamata dai greci “aretè”, e dai latini “virtus”. Secondo Nerone questa eccellenza si poteva ottenere soprattutto grazie alla pratica della poesia, della musica e delle attività sportive e alla competizioni in questi settori.
 
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view post Posted on 11/10/2010, 23:17

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Pur leggendo questa biografia fin troppo dettagliata di Caligola non riesco a trovarci nulla di buono. E' stato un uomo alquanto strano, alquanto stravagante e pazzo. Non si uccidono parenti e amici per averne solo l'eredità...

Per quanto riguarda Nerone e la poesia, sarebbe bello leggere qualcosa di suo e verificare se davvero era mediocre come dicevano.
 
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20 replies since 10/10/2010, 16:35   1819 views
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