Gli Italiani in Russia, il dramma della Ritirata

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Fede Tere
view post Posted on 14/10/2010, 20:00




Visto che Manu mi vuole tanto bene, mi ha concesso l'onore di aprire questa parte del forum.
Lo so, è un argomeno un po'..."palloso" stando alle mie compagne, ma fa parte della Storia d'Italia.

Il Corpo di Spedizione Italiano in Russia, spesso abbreviato come CSIR, e l'8ª Armata Italiana in Russia, o ARMIR, furono le formazioni del Regio Esercito inviate sul fronte orientale tra il luglio del 1941 e il gennaio del 1943. La partecipazione alla guerra contro l'Unione Sovietica rappresentò uno sforzo notevole per le forze armate italiane, già duramente impiegate nei Balcani e in Africa settentrionale, e le ingenti perdite subite rappresentarono un duro colpo per le capacità militari dell'Italia.
Nonostante la comunicazione dell'intenzione tedesca di invadere l'Unione Sovietica fosse stata data da Hitler a Mussolini solo il giorno stesso dell'invasione (22 giugno 1941), già dal 30 maggio il dittatore italiano, dando per scontato l'attacco tedesco, aveva espresso l'intenzione di inviare un corpo di spedizione in appoggio all'alleato.
Circa le ragioni strategiche delle spedizioni, si suppone che il principale desiderio di Mussolini fosse quello di "riequilibrare" lo stato dell'alleanza con la Germania, in quel momento fortemente sbilanciato in favore dei tedeschi; in tale ottica, la partecipazione italiana alla campagna di Russia avrebbe pareggiato l'intervento dell'Afrika Korps tedesco in Libia. Vi erano anche considerazioni economiche, ovvero il timore di arrivare in ritardo alla spartizione delle risorse di un nemico considerato ormai sconfitto. Del tutto secondarie erano invece le considerazioni ideologiche (la partecipazione dell'Italia fascista alla lotta contro il comunismo), che pure ebbero ampio risalto nella propaganda degli opposti schieramenti.
Il CSIR (Corpo di Spedizione Italiana in Russia)
Nel complesso 2 900 ufficiali, 58 800 uomini, 220 pezzi d'artiglieria, 83 aerei (51 da caccia, 22 da ricognizione, 10 da trasporto), 5 500 automezzi, 4 600 quadrupedi, 61 carri L3
A partire dal 10 luglio le truppe vennero trasportate da Roma (divisione Torino), Cremona (comando CSIR) e Verona (divisioni Pasubio e Celere) tramite 225 treni fino alla città ungherese di Borsa (il trasferimento di tutti i reparti si concluse solo il 5 agosto), da lì raggiunsero il teatro delle operazioni con una marcia di centinaia di chilometri attraverso le pessime strade di Romania, Moldavia, Bessarabia e Ucraina. Questa lunga marcia, che molti reparti non dotati di automezzi dovettero compiere a piedi, causò una certa dispersione, tanto che il CSIR raggiunse il fronte a scaglioni distanziati di giorni interi uno dall'altro (la prima a entrare in combattimento, l'11 agosto, fu la divisione Pasubio).
Comandante di questa forza, sulla carta, era il generale di corpo d'armata Giovanni Messe (che aveva sostituito il generale di corpo d'armata Francesco Zingales, colto da malore durante il viaggio in treno), ma in realtà il CSIR, fin dal suo arrivo in zona di operazioni, fu posto alle dipendenze dell' 11ª Armata tedesca del generale Eugen Ritter von Schobert, schierata in Ucraina meridionale nel settore operativo del Gruppo di Armate Sud guidato dal feldmaresciallo Gerd von Rundstedt.

Agosto 1941: primi scontri della divisione Pasubio presso il fiume Bug
Il CSIR entrò in azione per la prima volta nell'agosto del 1941. Dopo aver superato il Dniestr in più punti, stabilendo diverse teste di ponte, i tedeschi stavano tentando di chiudere in una morsa le forze sovietiche attestate tra il Dniestr e il Bug. In alcuni punti però i russi stavano opponendo una forte resistenza e servivano nuove forze per alimentare l'offensiva. A fine luglio, con il Csir ancora in fase di organizzazione, il generale Eberhard von Mackensen, comandante del III° Corpo germanico, richiese quindi al generale Messe almeno una divisione da utilizzare subito in battaglia e due gruppi di artiglieria per appoggiare il suo attacco alle forze sovietiche.
 Il 30 luglio venne così inviata urgentemente al fronte la divisione Pasubio, rinforzata da una compagnia motociclisti e dal 30º Raggruppamento artiglieria.

La pioggia abbondante, che aveva trasformato le già disastrose piste russe in enormi pantani, ritardò la marcia della Pasubio, che raggiunse le rive del Bug a nord di Voznesens'k solo il 10 agosto. Nei due giorni successivi la Pasubio, marciando lungo la riva destra del Bug in direzione sud-est per tagliare ai russi la ritirata verso la strategica città di Nikolayev, finì per entrare in contatto con il nemico, partecipando così alla cosiddetta “Battaglia dei due fiumi”, ovvero la grande manovra effettuata dall'esercito tedesco per intrappolare le forze sovietiche tra i fiumi Dniestr a ovest e Bug a est. Nei due giorni di scontri presso i villaggi di Pokrovskoje e Yasna Poliana, la divisione Pasubio ebbe la meglio su un reggimento sovietico, che si ritirò lasciando sul campo centinaia di caduti e prigionieri.
Il 14 agosto il CSIR venne assegnato al Gruppo corazzato von Kleist, con il compito di proteggere il fianco sinistro dell'avanzata dei panzer tedeschi verso il fiume Dniepr. Dal 15 al 20 agosto, rallentate dal maltempo e dalle incursioni aeree dei sovietici, vennero attuate quindi le operazioni di trasferimento della divisione Pasubio sulla riva destra del Dniepr. Per il 21 agosto i reggimenti della Pasubio erano attestati sul Dniepr, nella zona di Verkhnodniprovsk, a circa 50 km a nord-ovest della città di Dniepropetrovsk. I gruppi d'aviazione si stabilirono invece a Krivoy Rog, a distanza utile per proteggere i ponti e le unità sul Dniepr. Nei giorni seguenti raggiunsero il Dniepr anche i reparti motorizzati della Celere, l'artiglieria della Torino e le altre unità motorizzate del CSIR. Il 28 agosto Benito Mussolini, dopo avere visitato con Hitler il quartier generale del Gruppo di Armate Sud, passò in rassegna i reparti del CSIR a Tekusha. Soltanto il 5 settembre, dopo avere percorso quasi mille chilometri a piedi, anche i reparti non motorizzati della Torino (divisione autotrasportabile più che altro soltanto sulla carta) riuscirono a essere finalmente in linea sul Dniepr con il resto del CSIR
Settembre 1941: traversata del Dniepr e battaglia di Petrikowka
Finalmente al completo, il compito del CSIR agli inizi di settembre era quello di difendere circa 150 chilometri di fronte a nord e a sud della città di Dnepropetrovsk, tra la 17ᵃ Armata tedesca di von Stülpnagel a nord ed il III° Corpo di von Mackensen a sud. Il 21 settembre l'intero CSIR passò all'offensiva. L'intento dei tedeschi era quello di sfondare la linea del Dniepr e quindi accerchiare ed annientare le forze sovietiche (i resti di cinque divisioni) attestate tra il Dniepr a ovest e i fiumi Orel a nord e Samara a sud. La Pasubio oltrepassò il Dniepr a Derivka, circa 80 km a nord-ovest di Dnepropetrovsk, per proteggere il fianco destro della 17ᵃ armata, che avanzava verso Poltava. Più a sud la Torino scattò verso nord-ovest dalla testa di ponte di Dnepropetrovsk e attraversò il Dniepr in vari punti sotto il fuoco dell'artiglieria e dell'aviazione nemiche (i soldati del genio lavorarono instancabilmente giorno e notte per riparare o costruire ponti di fortuna). All'alba del 23 settembre la Pasubio, coadiuvata dai carri della Celere e da panzer tedeschi, riuscì a stabilire una testa di ponte sul fiume Orel presso Tsarychanka. Dal 24 al 26 settembre le forze italo-tedesche riuscirono a resistere ai furiosi contrattacchi sovietici contro le teste di ponte sull'Orel. Il 28 settembre l'offensiva del CSIR riprese ed il 30 le truppe della Pasubio da nord-est, i bersaglieri della Celere da nord-ovest e i reggimenti della Torino da sud-est si incontrarono finalmente nel villaggio di Petrikowka, obiettivo della manovra a tenaglia, ponendo termine alla battaglia. In mano italiana restarono circa 10.000 prigionieri, mentre vennero distrutti 450 carri armati nemici. Nel suo piccolo la vittoria italiana a Petrikowka (costata quasi 90 morti e 200 feriti) contribuì all'occupazione tedesca di Poltava e di Kiev, ove i tedeschi catturarono 655.000 prigionieri sovietici.
Autunno 1941: avanzata nel bacino del Donetz
Agli inizi di ottobre il CSIR venne schierato come ala sinistra della 1ª Armata Corazzata di von Kleist che stava avanzando nella grande zona industriale del bacino del fiume Donetz. Le truppe italiane erano attestate su un fronte di cento chilometri lungo la riva occidentale del fiume Vovcha, a circa 60 km a est del Dniepr. Dal 9 all'11 ottobre il CSIR appoggiò con la Legione Tagliamento l'attacco di una divisione tedesca contro la città di Pavlohrad, sulla riva orientale del fiume Vovcha, che venne infine conquistata, aprendo così la strada per la corsa verso il Donetz. A guidare l'avanzata verso la città di Stalino (l'attuale Donec'k), a circa 100 chilometri a sud-est di Pavlohrad, fu la divisione Celere (la Pasubio era ancora bloccata a Pavlohrad in attesa della costruzione di un nuovo ponte sul fiume Vovcha) con i suoi reggimenti di cavalleria e bersaglieri. Il 20 ottobre il 3º Reggimento bersaglieri, nonostante la strenua resistenza dei sovietici, riuscì ad occupare l'importante stazione ferroviaria a nord-ovest, mentre i tedeschi conquistarono il resto della città. Il Comando tedesco, intenzionato a sfruttare al massimo l'avanzata verso il Donetz non dando tregua al nemico in ritirata, ordinò di riprendere immediatamente l'offensiva, occupando anche le città minerarie di Rykovo (attuale Yenakiieve) e Gorlovka (Horlivka), a una trentina di chilometri a nord-est di Stalino. Il 22 ottobre, quindi, l'avanzata della Celere riprese. Dopo aspri combattimenti contro le retroguardie sovietiche in ritirata, il 1º novembre il 3° bersaglieri riusciva ad occupare la città di Rykovo, scacciandone tre divisioni nemiche (la 74ª, la 262ª e la 296ª), mentre il giorno successivo furono i reggimenti della Pasubio, dopo una lotta casa per casa, a conquistare Gorlovka. Nell'abitato di Nikitovka, a qualche chilometro a nord di Gorlovka, invece, l'80º Reggimento della Pasubio si trovò circondato dal 6 al 12 novembre da preponderanti forze sovietiche (la 74ª divisione fucilieri) e riuscì a sganciarsi e rientrare a Gorlovka solo grazie all'aiuto di altri reparti della Pasubio e della Celere e dell'aviazione, che ora operava dal vicino aeroporto di Stalino: la "Battaglia di Nikitovka" costò al CSIR centinaia di vittime, tra morti e feriti. La divisione Torino fu invece impegnata il 19 novembre in un combattimento presso il villaggio di Ubeschischtsche.
Con l'approssimarsi del temibile inverno russo era giunta infine l'ora di consolidare il fronte raggiunto, calcolando anche che il CSIR era ormai stremato, essendo avanzato in territorio nemico in poco più di un mese per più di 200 chilometri dalla testa di ponte di Dnepropetrovsk, nonostante le avverse condizioni meteorologiche dell'autunno russo (freddo, pioggia costante, piste nella steppa diventate fango che bloccava continuamente il movimento degli automezzi)
Inverno 1941-42: battaglie difensive
Ormai bloccato dall'arrivo dell'inverno russo, con temperature che scendevano fino a venti, se non trenta gradi sotto zero, il CSIR utilizzò il resto del mese di novembre e le prime settimane di dicembre per attestarsi su una linea più corta e meglio difendibile. Le operazioni di rafforzamento del fronte durarono una decina di giorni, dal 5 al 14 dicembre, e furono chiamate la "Battaglia di Chazepetovka", dal nome di un villaggio ad alcuni chilometri da Rykovo. Gli italiani (in particolare la divisione Torino) affrontarono il 95º Reggimento della Guardia, una formazione speciale della NKVD, oltre a squadroni di cavalleria cosacca e battaglioni di fanti siberiani. Al termine della dura battaglia (costata 135 morti e più di 500 feriti) il CSIR si trovava ora schierato su una linea difensiva formata da capisaldi tra la città di Rykovo a ovest ed il fiume Mius a est, sul fianco sinistro, invece, a partire dal villaggio di Debaltseve, era attestata la 17ª Armata tedesca. Proprio su questa linea i sovietici, meglio abituati e più attrezzati a resistere ai rigori dell'inverno russo rispetto agli italo-tedeschi, il giorno di Natale scatenarono una pesante offensiva, poi denominata "La Battaglia di Natale", che investì in pieno il 3º Reggimento bersaglieri e la Legione Tagliamento. Un battaglione di bersaglieri fu accerchiato per dieci ore prima di riuscire a ritirarsi. Il CSIR comunque riuscì a riorganizzarsi e tra il 26 ed il 28 dicembre le divisioni Pasubio e Celere insieme a un reggimento e una formazione di panzer tedeschi fecero scattare la controffensiva, che consentì di riprendere le posizioni perse nel corso dell'attacco sovietico di Natale (la battaglia costò 168 morti, 715 feriti e quasi 210 dispersi). A fine gennaio il CSIR dovette invece soccorrere con alcuni reparti le truppe tedesche della 17ª Armata tedesca in difficoltà nell'area di Izium (cento chilometri a nord di Gorlovka), dove i sovietici avevano sfondato il fronte penetrando nelle retrovie per un centinaio di chilometri.
Da gennaio a marzo del 1942 il CSIR, scarsamente impegnato in azione fu potenziato con nuove unità giunte dall'Italia: Battaglione alpini sciatori Monte Cervino, 6º Reggimento bersaglieri, 120º Reggimento artiglieria. Il 4 giugno 1942 il CSIR passò alle dipendenze della 17ª Armata tedesca; dal 9 luglio, infine, il CSIR entrò a far parte dell'ARMIR con la denominazione di XXXV Corpo d'armata. Fino a quel momento il CSIR, su un totale di circa 62 000 uomini, aveva avuto oltre 1 600 morti, 5 300 feriti, più di 400 dispersi e oltre 3 600 colpiti da congelamento

Vi avverto con me non avrete pace su questo argomento, essendo un'appassionata da quando a 12anni ho letto "Centomila gavette di ghiaccio" di Giulio Bedeschi

FedeTere
 
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view post Posted on 14/10/2010, 20:02
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davvero un post interessante, si si, hai anche foto dell'epoca da poter postare???
 
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Fede Tere
view post Posted on 14/10/2010, 20:05




Dopo il CSIR si venne subito a formare l'ARMIR (l'Armata Italiana in Russia, quella che sostenne la famosa Ritirata)

All'autunno del 1942 l'8ª Armata, guidata dal generale Italo Gariboldi, metteva quindi in campo 230 000 uomini (di cui circa 150 000 schierati in prima linea e 4 130 Carabinieri Reali, quest'ultimi inquadrati in 2 battaglioni, 1 compagnia autonoma, 45 sezioni addette alle varie unità dell'esercito, 15 nuclei postali e 8 squadre presso l'Ufficio I; 777 di loro non tornarono a casa), 16 700 automezzi, 1 150 trattori d'artiglieria, 4 500 motomezzi, 25 000 quadrupedi, 940 cannoni (di cui 356 controcarro e 52 contraerei), 31 carri leggeri L6/40 e 19 semoventi L40, 64 aerei (di cui 41 caccia Macchi M.C.200 o Macchi M.C.202 e 23 aerei da ricognizione). Aggregate all'8ª Armata vi erano anche alcune unità tedesche, come la 294ª divisione di fanteria, poi sostituita dalla 298ª divisione fanteria, ed elementi della 62ª divisione fanteria e della 22ª divisione corazzata

Estate 1942: avanzata e posizionamento sul Don
A inizio luglio l'ARMIR, i cui primi reparti erano ormai operativi, prese parte all'offensiva estiva tedesca denominata Operazione Blu. Dopo due settimane di lotta, il 14 luglio le forze italiane occuparono il bacino minerario del fiume Mius, conquistando la città di Krasnyi Luch, e il 31 luglio venne superato il fiume Donetz. L'ARMIR venne proprio in questo periodo posta alle dipendenze del Gruppo di Armate B tedesco e venne destinata alla protezione del fianco sinistro delle truppe impegnate nella battaglia di Stalingrado. Tra l'inizio e la metà di agosto l'ARMIR si schierò, infine, lungo il bacino del Don, tra la 2ª Armata ungherese a nord e la 6ª Armata tedesca, sostituita a fine settembre dalla 3ª Armata romena, a sud. La prima avvisaglia che quello degli italiani non sarà un settore facile avvenne tra il 30 luglio e il 13 agosto a Serafimovich (a circa 150 chilometri a nord-ovest di Stalingrado): qui, a un primo tentativo dei russi di oltrepassare il Don, si opposero tenacemente i bersaglieri della Celere (i sovietici persero la testa di ponte, ma il prezzo in vite umane per gli italiani sarà alto).

Prima battaglia difensiva del Don e carica di Izbušenskij
Settembre e ottobre trascorsero tranquillamente, con le truppe italiane disposte a difesa di un tratto di fronte lungo circa 270 km(da Belegore a nord-ovest fino a Veshenskaya a sud-est): l'ampiezza era tale che tutte le divisioni erano schierate in prima linea, con l'eccezione della Vicenza (impegnata a contrastare i partigiani nelle retrovie) e del Raggruppamento Barbò (giudicato inadatto al ruolo di difesa statica). A partire da nord-ovest, il fianco sinistro da Belegore a Novo Kalitva era costituito dal Corpo d'Armata alpino (divisioni Tridentina, Julia e Cuneense con alle spalle la Vicenza), al centro da Novo Kalitva a Sukhoy Donets c'erano il II Corpo d'Armata (divisioni Cosseria e Ravenna) ed il XXXV Corpo d'Armata (ex CSIR, ora formato dalla divisione Pasubio e dalla 298ª divisione tedesca), all'ala destra da Sukhoy Donets fino a Veschenskaya si trovava il XXIX Corpo d'Armata tedesco (divisioni Torino, Celere, Legione Croata, 62ª divisione tedesca e divisione Sforzesca, ancora in fase di riorganizzazione dopo la disastrosa battaglia di fine agosto). Alle estremità dello schieramento italiano si trovavano, invece, due armate molto diverse: a nord l'ancora efficiente 2ª Armata ungherese, sul fianco destro la 3ª Armata rumena, duramente provata, priva di armamenti validi e ormai prossima al collasso.

Dicembre 1942: primo sfondamento della linea italiana
Già il 19 novembre, l’Armata Rossa aveva lanciato una massiccia offensiva volta ad accerchiare le truppe tedesche della 6ª Armata di Paulus bloccate a Stalingrado. L'azione aveva portato all'annientamento della 3ª Armata romena, schierata a sud-est dell'ARMIR. All'alba del 16 dicembre l'offensiva sovietica (Operazione Piccolo Saturno, prima fase della "Seconda battaglia difensiva del Don") si scatenava anche contro le linee tenute dal II Corpo dell'ARMIR, che custodiva il settore centrale del fronte italiano; l'attacco sovietico non colse di sorpresa i reparti italiani, visto che già dall'11 dicembre erano in corso scaramucce e piccoli scontri lungo il fronte. Il primo attacco russo, proveniente dal saliente di Verchnij Mamon, fu respinto, ma il 17 dicembre i sovietici impiegarono le loro truppe corazzate e l'aviazione, travolgendo le linee della Ravenna e obbligandola alla ritirata. Nello stesso tempo, a sud-est, vennero distrutti anche i resti della 3ª Armata rumena. L'obiettivo della grande manovra era congiungere le due braccia della tenaglia, costituite da gruppi corazzati, alle spalle dello schieramento italo-tedesco-rumeno tra Nova Kalitva e Veshenskaya. Gariboldi tentò di tappare le varie falle come meglio poté, spostando reparti da una posizione all'altra, ma il ripiegamento senza preavviso della 298ª divisione germanica, schierata tra la Ravenna a sinistra e la Pasubio a destra, finì per mettere ancora più in crisi il già traballante fronte. Il 19 dicembre le avanguardie corazzate sovietiche avevano già raggiunto Kantemirovka, a 40 chilometri all'interno della linea italiana del Don, trenta chilometri più a sud raggiunsero Chertkovo, e il 21 dicembre le due colonne russe provenienti da nord e da est si incontrarono a Degtevo, a circa settanta chilometri a sud di Sukhoy Donets, chiudendo di fatto il XXXV Corpo d'armata italiano e il XXIX Corpo d'Armata tedesco in un'immensa sacca.

Quasi prive di mezzi di trasporto e di carburante (anche i carri leggeri L6/40 andarono quasi tutti persi sotto la forza dell'attacco sovietico), costrette a vagare a piedi in cerca di una via di scampo dall'accerchiamento, le divisioni di fanteria dell'ARMIR, composte da decine di migliaia di uomini ormai difficilmente controllabili, finirono in gran parte annientate, falcidiate dalla fame e dal freddo micidiale (30 gradi sotto zero) e sottoposte non solo agli attacchi delle colonne corazzate nemiche, ma anche dei reparti partigiani che agivano alle loro spalle.

Elementi delle divisioni Torino e Pasubio, insieme ai tedeschi della 298ª, riuscirono a resistere a Chertkovo, circondati dai russi. Nella conca di Arbuzovka, invece, si consumò un dramma: 20-25 000 perdite tra morti, dispersi e prigionieri, solo pochi gruppi riuscirono a sfuggire all'accerchiamento. L'offensiva sovietica non coinvolse il Corpo d'Armata alpino, che continuò a tenere le sue posizioni sul Don. La Divisione Julia, sostituita sulla linea del fronte dalla Divisione Vicenza, fu schierata, insieme al XXIV Corpo d'Armata tedesco, sul fianco destro, lasciato scoperto dalla disfatta del II Corpo. La Julia si attestò sul fiume Kalitva, dove si dissanguò in continui combattimenti per mantenere il fronte. Intanto sul Don, ormai coperto di ghiaccio resistente e quindi transitabile anche per i carri armati, i sovietici apprestavano la seconda fase dello sfondamento.

Gennaio 1943: secondo sfondamento e ritirata del Corpo d'Armata alpino
Il 12 gennaio 1943 i sovietici diedero il via all' offensiva Ostrogorzk-Rossoš (seconda fase della "Seconda battaglia difensiva del Don"), travolgendo la 2ª Armata ungherese, schierata a nord del Corpo d'Armata alpino. Il giorno seguente investirono i resti delle fanterie italiane schierate insieme al XXIV Corpo d'Armata tedesco sull'esile fronte di circa 40 chilometri tra la confluenza Kalitva-Don a nord e Kantemirovka a sud, puntando a ovest su Rovenki, dove erano trincerati i resti della Cosseria, e a nord-ovest sulla città di Rossoš, dove c'era il comando del generale Nasci. Ormai il Corpo d'Armata alpino era chiuso in una sacca che includeva le divisioni Julia, Cuneense, Tridentina e Vicenza.

L'ordine di ripiegare dal Don venne dato (con molto ritardo) solo il 17 gennaio. A Podgornoje, venti chilometri a nord di Rossoš, dove il 18 gennaio confluirono sbandati italiani, ungheresi e tedeschi, il caos divenne indescrivibile.In testa alle colonne in ritirata si misero i reparti della Tridentina in grado di affrontare la battaglia. Anche i resti della Vicenza riuscirono in qualche modo ad aprirsi la strada verso ovest. Più a sud, invece, Julia e Cuneense dovettero sacrificarsi contro le forze corazzate sovietiche per evitare che il fianco sinistro della ritirata crollasse, mettendo in crisi l'intera operazione di sganciamento. Il 21 gennaio Gariboldi avvertì il generale Nasci che Valuyki era caduta in mano russa e ordinò di puntare venti chilometri più a nord su Nikolajevka, che si trovava a circa 50 chilometri a ovest delle avanguardie italiane. Tale segnalazione però non arrivò mai ai reparti superstiti della Julia e della Cuneense, che continuavano a combattere battaglie di retroguardia sul fianco sinistro della Tridentina.Il 22 gennaio vennero annientati gli ultimi superstiti della Julia, tra il 25 e il 26 fu la volta dei resti della Cuneense e della Vicenza, catturati dai russi presso Valuyki. La Tridentina, invece, dovette affrontare gli ultimi due ostacoli per uscire dalla sacca: i villaggi di Arnautovo e Nikolajevka (Nikolajevka ora si chiama Livenka). A mezzogiorno del 26 gennaio, finalmente, dopo un'ultima sanguinosa battaglia, dopo aver lasciato sul campo morti e feriti in grande quantità, la Tridentina riuscì a rompere l'accerchiamento sovietico.

In dieci giorni, le tre divisioni alpine, la Divisione Vicenza, alcune unità tedesche del XXIV Corpo e una gran massa di sbandati italiani, rumeni ed ungheresi, avevano coperto più di 120 km in condizioni climatiche proibitive (neve alta e temperature tra i −35° e i −42°), con pochi mezzi di trasporto e vestiario insufficiente, sottoposte ad incessanti attacchi di truppe regolari e di partigiani sovietici. Il 30 gennaio i sopravvissuti del Corpo d'Armata alpino (insieme a 16 000 tra tedeschi ed ungheresi) si raccolsero a Schebekino, dove poterono finalmente riposare dopo 350 chilometri di marce estenuanti e dopo tredici battaglie. Gravissime in particolare le perdite delle divisioni alpine: dei 57 000 alpini partiti per la Russia, ne ritornano solo 11 000.

Con la sostanziale distruzione dell'ARMIR ebbe di fatto termine la partecipazione italiana alla campagna sul fronte orientale. A partire dal 6 marzo, i sopravvissuti delle divisioni italiane verranno progressivamente rimpatriati. Alcune unità italiane continuarono comunque ad operare sul fronte orientale: cinque battaglioni di truppe chimiche addette alla creazione di nebbia artificiale operarono nei porti del Baltico fino alla fine della guerra, come pure l'834º ospedale da campo, attivo in Russia. Singoli soldati o ufficiali italiani si offrirono volontari e combatterono all'interno di unità della Wermacht sul fronte orientale, anche se non ci sono dati precisi sul loro numero.

FedeTere
 
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view post Posted on 16/3/2011, 20:07
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FoCus storia ha dedicato un numero alla campagna di Russia del '40, precisamente quello del dicembre 2008, che ho ritrovato a casa mia sepolto sotto i numeri di Martin Mystère, ma questa è un'altra storia:P

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Fede Tere
view post Posted on 16/3/2011, 21:31




CITAZIONE (Diana92 @ 16/3/2011, 20:07) 
FoCus storia ha dedicato un numero alla campagna di Russia del '40, precisamente quello del dicembre 2008, che ho ritrovato a casa mia sepolto sotto i numeri di Martin Mystère, ma questa è un'altra storia:P

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lo presi quel fascicolino ed è davvero interessante e ben fatto *-*
ammetto che comprai anche il dvd che era allegato *-*

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view post Posted on 16/3/2011, 21:33
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essendo abbonata non ho il DVd, sai dirci com'è?? e farci 1 piccolo riassunto * fa occhi pucciosi*
 
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Fede Tere
view post Posted on 16/3/2011, 22:36




Beh io sono di parte ma è molto bello e ben fatto.
Non dice molto di più di quello che narrano i libri di storia. E' la narrazione dell'epopea degli Italiani in Russia, soprattutto nella Ritirata con anche delle interviste a chi la ritirata la vissuta sulla sua pelle.

FedeTere
 
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view post Posted on 29/7/2011, 11:00
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sabato su History Channel alle 14:20 ci sarà " La campagna di Russia", che evrrà mandata in replica domenica alle 02:30
 
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Fede Tere
view post Posted on 30/7/2011, 13:05




I componenti del CSIR

Il Corpo di Spedizione Italiano in Russia, inviato sul fronte russo nel luglio del 1941, era così composto:
9ª Divisione fanteria "Pasubio" (divisione autotrasportabile), generale di divisione Vittorio Giovanelli
79º Reggimento di fanteria
80º Reggimento di fanteria Roma
8º Reggimento di artiglieria
52ª Divisione fanteria "Torino" (divisione autotrasportabile), generale di divisione Luigi Manzi
81º Reggimento fanteria
82º Reggimento fanteria
52º Reggimento artiglieria
3ª Divisione Celere "Principe Amedeo Duca d'Aosta", generale di brigata Mario Marazzani
Reggimento "Savoia Cavalleria" (3°)
Reggimento ''Lancieri di Novara'' (5°)
3° Reggimento Bersaglieri
Reggimento Artiglieria a Cavallo (3°) "Voloire"
3º Gruppo carri San Giorgio
Camicie Nere Legione Tagliamento, console Niccolò Nicchiarelli
30º Raggruppamento artiglieria di corpo d'armata, generale di brigata Mario Tirelli
Nel complesso 2 900 ufficiali, 58 800 uomini, 220 pezzi d'artiglieria, 83 aerei (51 da caccia, 22 da ricognizione, 10 da trasporto), 5 500 automezzi, 4 600 quadrupedi, 61 carri L3[3].
A partire dal 10 luglio le truppe vennero trasportate da Roma (divisione Torino), Cremona (comando CSIR) e Verona (divisioni Pasubio e Celere) tramite 225 treni fino alla città ungherese di Borsa (il trasferimento di tutti i reparti si concluse solo il 5 agosto), da lì raggiunsero il teatro delle operazioni con una marcia di centinaia di chilometri attraverso le pessime strade di Romania, Moldavia, Bessarabia e Ucraina. Questa lunga marcia, che molti reparti non dotati di automezzi dovettero compiere a piedi, causò una certa dispersione, tanto che il CSIR raggiunse il fronte a scaglioni distanziati di giorni interi uno dall'altro[4] (la prima a entrare in combattimento, l'11 agosto, fu la divisione Pasubio).
Comandante di questa forza, sulla carta, era il generale di corpo d'armata Giovanni Messe (che aveva sostituito il generale di corpo d'armata Francesco Zingales, colto da malore durante il viaggio in treno[5] e ricoverato a Vienna), ma in realtà il CSIR, fin dal suo arrivo in zona di operazioni, fu posto alle dipendenze dell'11ª Armata tedesca del generale Eugen Ritter von Schobert, schierata in Ucraina meridionale nel settore operativo del Gruppo di Armate Sud guidato dal feldmaresciallo Gerd von Rundstedt.


E dell'ARMIR

L'Armata Italiana in Russia[12] (la denominazione ufficiale del Corpo di spedizione inviato sul Fronte Orientale) venne costituita nel luglio 1942[13] e designata come 8ª Armata. Essa era così strutturata:
Raggruppamento a cavallo Barbò
3º Reggimento cavalleria Savoia Cavalleria
5º Reggimento cavalleria Lancieri di Novara
3º Reggimento artiglieria a cavallo
9º Raggruppamento artiglieria d'Armata
201º Reggimento artiglieria motorizzato
Battaglione alpini sciatori ''Monte Cervino''
Legione croata
156ª Divisione fanteria Vicenza
277º Reggimento fanteria
278º Reggimento fanteria
Corpo d'Armata alpino[14] (generale di corpo d'armata Gabriele Nasci)
2ª Divisione alpina "Tridentina" (generale Luigi Reverberi)
5º Reggimento alpini (colonnello Giuseppe Adami)
Battaglione Morbegno
Battaglione Tirano
Battaglione Edolo
6º Reggimento alpini (colonnello Paolo Signorini)
Battaglione Vestone
Battaglione Val Chiese
Battaglione Verona
2º Reggimento artiglieria alpina (colonnello Federico Moro)
Gruppo Bergamo
Gruppo Vicenza
Gruppo Val Camonica
3ª Divisione alpina "Julia" (generale Umberto Ricagno)
8º Reggimento alpini (colonnello Armando Cimolino)
Battaglione Tolmezzo
Battaglione Gemona
Battaglione Cividale
9º Reggimento alpini (colonnello Fausto Lavizzari)
Battaglione Vicenza
Battaglione L'Aquila
Battaglione Val Cismon
3º Reggimento artiglieria alpina (colonnello Pietro Gay)
Gruppo Conegliano
Gruppo Udine
Gruppo Val Piave
4ª Divisione alpina "Cuneense" (generale Emilio Battisti)
1º Reggimento alpini (colonnello Luigi Manfredi)
Battaglione Ceva
Battaglione Pieve di Teco
Battaglione Mondovì
2º Reggimento alpini (colonnello Luigi Scrimin)
Battaglione Borgo San Dalmazzo
Battaglione Dronero
Battaglione Saluzzo
4º Reggimento artiglieria alpina (colonnello Enrico Orlandi)
Gruppo Pinerolo
Gruppo Mondovì
Gruppo Val Po
11º Raggruppamento artiglieria di Corpo d'Armata (colonnello Giovanni Giua)
II Corpo d'Armata (generale di corpo d'armata Giovanni Zanghieri)
2ª Divisione fanteria "Sforzesca" (generale Carlo Pellegrini)
53º Reggimento fanteria (colonnello Massimo Contini)
54º Reggimento fanteria (colonnello Mario Viale)
17º Reggimento artiglieria (colonnello Achille Tirindelli)
3ª Divisione fanteria "Ravenna"
37º Reggimento fanteria
38º Reggimento fanteria
121º Reggimento artiglieria
5ª Divisione fanteria "Cosseria"
89º Reggimento fanteria
90º Reggimento fanteria
108º Reggimento artiglieria
2º Raggruppamento artiglieria di Corpo d'Armata
Raggruppamento Camicie Nere 23 marzo
Legione Valle Scrivia
Legione Leonessa
XXXV Corpo d'Armata (l'ex CSIR) (generale di corpo d'armata Giovanni Messe)
9ª Divisione fanteria "Pasubio"
79º Reggimento fanteria
80º Reggimento fanteria
8º Reggimento artiglieria
52ª Divisione fanteria "Torino"
81º Reggimento fanteria
82º Reggimento fanteria
52º Reggimento artiglieria
3ª Divisione Celere "Principe Amedeo Duca d'Aosta"
3º Reggimento bersaglieri
6º Reggimento bersaglieri
120º Reggimento artiglieria motorizzato
30º Raggruppamento artiglieria di Corpo d'Armata
Raggruppamento Camicie Nere 3 gennaio
Legione Tagliamento
Legione Montebello
All'autunno del 1942 l'8ª Armata, guidata dal generale Italo Gariboldi, metteva quindi in campo 230 000 uomini (di cui circa 150 000 schierati in prima linea), 16 700 automezzi, 1 150 trattori d'artiglieria, 4 500 motomezzi, 25 000 quadrupedi, 940 cannoni (di cui 356 controcarro e 52 contraerei), 31 carri leggeri L6/40 e 19 semoventi L40[15], 64 aerei (di cui 41 caccia Macchi M.C.200 o Macchi M.C.202 e 23 aerei da ricognizione)[16]. Aggregate all'8ª Armata vi erano anche alcune unità tedesche, come la 294ª divisione di fanteria, poi sostituita dalla 298ª divisione fanteria, ed elementi della 62ª divisione fanteria e della 22ª divisione corazzata[17].

FedeTere
 
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view post Posted on 30/7/2011, 13:08
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alla faccia socia, certo che è un elenco interessante, sono sorpresa sia dalla cavalleria, che mi sa era legegrmente in ritardo sui tempi, che dagli alpini... ma si sa, in guerra non si discute.
sai se ci sono dei film sulla campagna di Russia?
:*I*: :*R*:
 
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Fede Tere
view post Posted on 31/7/2011, 13:49




Gli Alpini in teoria dovevano essere sulle montagne del Caucaso, infatti avevano tutte munizioni e artiglierie da montagna. Poi sono stati costretti a rimanere nella pianura del Don. Un vero suicidio per loro.
Per la Cavalleria onestamente ne sono rimasta stupita anche io...
il Gruppo Conegliano è il gruppo a cui apparteneva la famosa ventisei del libro "Centomila gavette di ghiaccio" di Bedeschi.

Isbuscenskij: la carica della gloria
le gesta del Savoia cavalleria

Il Reggimento “Savoia Cavalleria” agli ordini del colonnello (1) Weiss Poccetti, partecipa alla campagna di Russia inquadrato nella III Divisione Celere “Principe Amedeo d’Aosta” (comandante generale Mario Marazzini) che, insieme alle divisioni Torino e Pasubio, costituisce il Corpo di Spedizione Italiano in Russia, CSIR , agli ordini del generale Giovanni Messe.
Nell’estate del 1941 avrebbe avuto inizio quell’avventura che per sempre accompagnerà i cavalieri di Savoia Cavalleria nell’immortalità con quella carica che per molti anni sarà considerata l’ultima della cavalleria italiana (2). Questo episodio può essere collocato a pieno titolo nella galleria delle grandi imprese compiute dai nostri reparti nella Seconda Guerra Mondiale, spesso a costo di ingenti perdite e con l’ausilio di mezzi obsoleti. Nella steppa russa i cavalieri italiani, con una carica alla sciabola degna della migliore tradizione risorgimentale, riescono nell’impresa di sconfiggere alcuni reparti siberiani, armati di artiglieria e dei temuti parabellum, impedendo così che le truppe di fanteria della Divisione Sforzesca, ormai in rotta, siano accerchiate e catturate.
Proprio questa azione consentirà di rivalutare la presenza della nostra cavalleria in un teatro in cui il nemico galoppava su “purosangue” da 40 tonnellate. E’ necessario sottolineare infatti che nei due inverni in cui le nostre truppe a cavallo (3) si trovano a combattere in Russia sono proprio i loro destrieri a consentire di operare a temperature spaventose che, spesso, impediscono ai mezzi meccanici e corazzati di accendersi e percorrere le piste ghiacciate della steppa russa. Questa loro duttilità fa si che siano impegnate in continue operazioni di ricognizione, fiancheggiamento e collegamento mobile ad altre unità di combattimento.
Nonostante la scarsità di mezzi a disposizione dell’esercito italiano nei primi mesi del 1942 l’opinione di Hitler nei confronti delle nostre truppe che partecipano alla “crociata antibolscevica” è radicalmente mutata. La conquista di Stalino e del bacino del Donez, in Settembre, ma soprattutto la “battaglia di Natale” hanno fatto aumentare la considerazione dell’alleato nei nostri confronti. Per questo motivo il Furher chiede e pretende che il contingente italiano venga aumentato.
Il Duce si sente in debito verso i Tedeschi per l’aiuto ricevuto in Grecia e per il continuo supporto in Africa Settentrionale. Vede in questa occasione l’ennesima possibilità di riscatto agli occhi di un alleato sempre più padrone. Sono questi i motivi che inducono Mussolini ad esagerare inviando in Russia un’intera armata che sarebbe, invece, risultata decisiva per le sorti della guerra in Africa settentrionale.
Il generale Messe infatti è fortemente contrario: il 2 Giugno 1942 in un colloquio privato a Palazzo Venezia espone le ragioni del proprio dissenso. Alle parole del generale, Mussolini contrappone una delle sue frasi ad effetto: “ Caro Messe, al tavolo della pace peseranno molto di più i 200 mila dell’ARMIR che i 60 mila del CSIR” (4).
La decisione è presa, l’ARMIR deve prepararsi alla partenza verso la Russia.

L’Armata Italiana in Russia è composta da:
· Corpo d’Armata alpino formato da tre Divisioni: Julia, Tridentina e Cuneense
· II Corpo d’armata con le Divisioni Ravenna, Cosseria e Sforzesca a cui si aggiungerà la Vicenza
· XXXV Corpo d’Armata ( ex CSIR ) con le Divisioni Torino, Pasubio e Celere

Il comando della nostra Armata viene affidato al generale Italo Gariboldi che il 29 Giugno decora presso Nikolaiewka lo stendardo di Savoia Cavalleria con la medaglia di bronzo5. “Il Reggimento” si legge nell’Ordine del Giorno, “ durante un lungo ciclo di operazioni di guerra anche nelle situazioni più aspre ed incerte per insidiosità d’ambiente e avversità del clima, con la fierezza del suo antico nome ha fatto sventolare vittorioso il suo vecchio stendardo imponendo ovunque al nemico la sua aggressività e il suo coraggio. Dopo aver inseguito alle reni per 250 Km forti retroguardie avversarie , dava nuova prova della sua abilità e irruenza nell’occupazione di importante capoluogo minerario fortemente difeso dai bolscevichi”.

Il 28 Giugno Hitler ordina la ripresa dell’offensiva tedesca interrotta nei mesi invernali: i nuovi obiettivi sono la città di Stalingrado che sorge sul Volga e i monti del Caucaso. Il 5 Luglio il Don, nella zona di Voronesch, è raggiunto. Contemporaneamente altre truppe della Wermacht, costeggiando il fiume Donez, dirigono verso il Caucaso. Proprio l’avanzata dell’ Armata di Paulus su Stalingrado e l’offensiva a sud – est di Rostov lasciano il fianco sinistro scoperto al dispositivo offensivo tedesco. Nell’ansa del fiume Don si concentrano i maggiori sforzi delle truppe russe per cercare di arginare l’avanzata tedesca. Questo è il motivo che spinge i comandi germanici a destinare l’VIII Armata italiana a copertura di quel tratto di fronte in cui le nostre truppe, soprattutto quelle alpine, devono combattere una guerra inadatta alle proprie possibilità. L’idea originaria di inviare il Corpo d’Armata alpino sui monti del Caucaso tramonta così come le possibilità delle truppe dell’Asse di concludere entro l’inverno la conquista dell’Unione Sovietica. Proprio lungo il corso del Don i Russi riusciranno a ribaltare una situazione che, in alcuni frangenti, sembra disperata. In attesa che l’intero contingente dell’ VIII Armata giunga nel bacino del Don vengono schierate le truppe del XXXV Corpo d’ Armata ormai provate da un anno di combattimenti. L’unica Divisione giunta dall’Italia, per il momento, è la Sforzesca che presto pagherà la sua inesperienza e la stanchezza del lungo trasferimento.

Il 13 Luglio il Savoia Cavalleria lascia Koursuni6 e dopo dieci ore di marcia forzata giunge a Ivanowka dove sono ancora molte le tombe dei bersaglieri che nel periodo invernale si sono battuti eroicamente. Il nuovo fronte delle operazioni si avvicina: il 16 raggiunge Fatschewka dove quattro giorni prima c’erano ancora i soldati dell’Armata Rossa. Il nemico ha deciso di non opporre resistenza all’avanzata delle truppe dell’Asse tanto che le nostre divisioni7 lo inseguono verso Krasnij Lutsch. Le prime truppe che entrano nella città mineraria sono i cavalieri del 3° squadrone con i fanti della divisione Pasubio. Sotto una pioggia torrenziale i guastatori del reggimento liberarono un passaggio per gli altri reparti che transitano entro poche ore.
Gli spostamenti del Reggimento 8 continuano regolari: il 26 giunge a Voroscilovgrad finché il 18 Agosto termina il suo trasferimento arrivando a Bolschoj dopo due settimane di estenuanti entrando, così, nel dispositivo difensivo sul fiume Don. Proprio in questa zona, nei pressi di Serafimovich, tra il 30 Luglio e il 13 Agosto, i Russi hanno tentato di sfondare le nostre linee. I bersaglieri della Divisione Celere si sono immolati pagando un caro prezzo in vite umane.
Questo sacrificio è, però, solo il primo di una lunga serie. Presto anche i cavalieri di Savoia Cavalleria dovranno constatare che l’Armata Rossa dispone di mezzi e uomini per ribaltare le sorti di una guerra che ai più appare conclusa.

Il Corpo d’Armata italiano si schiera sulla linea del Don con la divisione Pasubio a sinistra e la Sforzesca a destra. Alla sua destra si trova la 79.ima divisione germanica davanti alla quale i primi reparti russi hanno costituito una “testa di ponte” occupando i villaggi di Kremenshkija e Bobrowskij.
Il generale Messe, conscio del pericolo, decide di disporre il Reggimento a Cavallo e le Camice Nere della Tagliamento a protezione della Sforzesca da poco giunta in linea e non attrezzata ad affrontare l’urto delle più esperte divisioni russe.
Il vecchio militare non si sbaglia, le previsioni di un possibile attacco si avverano alle 2.30 del 20 Agosto quando inizia la cosiddetta “prima battaglia difensiva del Don”. La Sforzesca sostiene l’urto maggiore dell’attacco nemico ma la sua scarsa preparazione e il “ridicolo” armamento fanno il resto. Dopo due giorni di combattimenti la divisione cede di schianto mettendo in pericolo tutto il fronte.

Cinque ore dopo l’inizio dell’attacco, alle 7.30 del 20 Agosto , giunge improvviso l’ordine del generale Messe, comandante il XXXV Corpo d’Armata, di costituire un gruppo di formazione che dovrà essere messo a disposizione della Sforzesca. Il maggiore Conforti raduna il 1° gruppo squadroni, il 1° e il 3° plotone mitraglieri e la 3.a batteria di artiglieria del capitano Bodo. Il gruppo dirige verso quota 213 presso Tschebotarewskij con il compito di esplorare il fianco ed eventualmente compiere alcune azioni verso Bobrowskij. Alle 13.30 il generale Vaccaro, comandante la Sforzesca, decide di far proseguire la colonna verso il Don per proteggere il fianco dei fanti durante l’imminente contrattacco in direzione di Sesimowskij. Giunti a quota 213.5 il 2° squadrone appiedato inizia la sua marcia di copertura del fianco della fanteria, mentre il 1° ha il compito di esplorare la zona. La sorpresa, però, non tarda ad arrivare: a Bobrowskij il 54° reggimento fanteria non c’è. Ad attenderli i cavalieri trovano il fuoco del nemico che non lascia dubbi sul fatto che i fanti della Sforzesca si siano ritirati. Per alcune ore i due squadroni si muovono nell’oscurità nel tentativo di rintracciare le colonne della divisione di fanteria. L’unico caposaldo ancora a tenere è “Fontanelle” dove un battaglione di Camice Nere della Tagliamento, seppur ridotto alla metà degli effettivi, continua a resistere.

Improvvisamente il giorno 22 il resto del Reggimento riceve l’ordine di lasciare Kotowskij, dove è acquartierato, per raggiungere in un primo tempo Tschebotarewskij ed in seguito quota 232,2. Ormai è chiaro che il fronte sia stato forzato. Le sentinelle che rientrano dalle esplorazioni confermano che la zona nei pressi del Don è in mano ai Russi.
Il generale Barbò, al quale viene affidato il compito di coordinare le azioni in questo settore, ordina ai fanti del 34° battaglione della Sforzesca di resistere a quota 232,2 e 193.7 in attesa dei battaglioni di CC.NN che saranno inviati di rinforzo. Quello che il generale ignora è che il 34° della Sforzesca è ormai in rotta. “Prima di arrivare a Tschebotarewskij c’è il caos più totale: il panico ha preso tutti, soldati e ufficiali, si cerca solo una via di scampo…” (5)
A quota 232 continuano a resistere i “leoni” della Tagliamento che aspettano i rinforzi per poter proseguire nella difesa della preziosa quota. Gli ordini però sono diversi: il Reggimento Savoia deve dirigere verso Tschebotarewskij ormai minacciata dall’arrivo delle truppe dell’Armata Rossa. Il gruppo Conforti intanto continua a combattere nel caposaldo “Fontanelle” con le CC.NN della Tagliamento fino a notte, quando giunge l’ordine di dirigere verso Tschebotarewskij. Nel pomeriggio del 22 sono ormai chiare le intenzioni del nemico: questi ha passato il Don con tre divisioni e tenta di entrare nelle valli, parallele l’una all’altra, formate dai fiumi Zuzkan e Kriuska. Per cercare di arginare l’impeto delle truppe sovietiche il generale Messe costituisce due pilastri difensivi che si spera possano in un primo tempo contenere l’ “ondata di piena nemica” e in un secondo tempo essere utilizzati come punto di partenza per una controffensiva. Il primo caposaldo viene costituito presso Jagodnij dove nella notte del 22 vengono radunati il 53° battaglione della Sforzesca, il XV battaglione guastatori e la 3.a compagnia lanciafiamme. A Tschebotarewskij, invece affluiscono i resti del 54° battaglione Sforzesca e i due battaglioni di CC.NN. già indeboliti dalla lotta precedente10.
Tra le due valli corre la steppa completamente sguarnita ed occupata dalla 14.ima Divisione della Guardia che la può sfruttare come trampolino di lancio per quelle azioni aggiranti che sarebbero fatali per il XXXV Corpo d’ Armata.
Per cercare di arginare eventuali azioni nemiche la cavalleria, con la sua mobilità, è destinata a questo settore.
Nel pomeriggio il Reggimento si trova a quota 236.1 sulla sinistra di Tschebotarewskij, mentre il 79° Battaglione CC.NN combatte a quota 193.7. La 14.ima Divisione Guardie sorprende le truppe italiane sul fianco tanto che cavalieri sono costretti ad accorrere se non vogliono vedere il paese cadere.
In zona dovrebbe trovarsi anche il 54° della Sforzesca. Anche in questa occasione i fanti non si trovano. Senza il loro appoggio il fianco sinistro della Tagliamento è sguarnito. Arrivata la sere il Reggimento Savoia riesce ad entrare in paese che non è caduto grazie alla strenua resistenza del 79°.

Il 23 Savoia è ancora destinato al pattugliamento della zona tra le due valli. Gli alti comandi ritengono necessaria la presenza della cavalleria in questa zona e la sua presenza non è più necessaria a Tschebotarewskij dato che sono giunti i rinforzi alla Tagliamento. Anche in questo frangente, però, la pressione delle truppe russe non accenna a diminuire: per tutto il corso della mattina attacchi frontali vengono respinti.
Proprio per cercare di alleggerire, almeno in parte, la stretta nemica il comando decide di organizzare un attacco sul fianco delle truppe bolsceviche.
Il Reggimento viene inviato verso il Don nella zona di Isbuscenskij dove avrebbe dovuto, dalla quota che presto diventerà mitica 213.5, disturbare le colonne di rifornimento russe. Il colonnello Bettoni si dirige verso la gloria accompagnato dal 1° gruppo artiglieria a cavallo del maggiore Albini.
Poco prima di giungere sulla sommità dell’altura il comandante del Reggimento decide di fermarsi. La quota è bombardata da colpi di mortaio e ormai si sta facendo sera.
Bettoni decide, quindi, di schierare il quadrato anche se questo ordine incontra le vivaci proteste degli ufficiali Abba e Manusardi11 che ritengono la posizione troppo esposta e a rischio di imboscate. Seguendo le indicazioni riportate sui manuali di guerra, il Reggimento dispone il quadrato con le armi automatiche e l’artiglieria rivolte verso la quota che la mattina seguente sarebbe stata occupata. Gli uomini, dopo una giornata logorante, crollano addormentati e neanche le sentinelle si avvedono che a circa un chilometro di distanza tre battaglioni di siberiani supportati da artiglierie e mortai si trincerano pronti a cogliere di sorpresa l’intero Reggimento. I 2000 Russi occupano un semicerchio di circa un Km davanti al quadrato di Savoia Cavalleria.
Sono le 3.30 del 24 Agosto quando la pattuglia12 agli ordini del sergente Comolli esce per esplorare la zona circostante. La sera precedente è stato individuato un carro agricolo dal quale sembra spuntare qualcosa di metallico e il colonnello Bettoni che teme eventuali agguati preferisce scoprire di cosa si tratta. Proprio durante la perlustrazione gli uomini della pattuglia scorgono nei campi di girasole circostanti un elmetto che il caporal maggiore Bottini riconosce come tedesco. In realtà appartiene ad un soldato russo che, appena vede la pattuglia avvicinarsi, lancia l’allarme. Il povero soldato è centrato da un colpo sparato da Petroso ma ormai la sorpresa è svelata e i Russi investono i cavalieri di Savoia Cavalleria con una pioggia di pallottole.
La reazione delle truppe italiane è rabbiosa: le mitragliatrici iniziano a sgranare i loro proiettili mentre l’artiglieria del maggiore Albini e del capitano Solaroli di Briona inizia a bombardare gli oltre 2000 Russi. Il nemico è comunque in posizione favorevole: ha un numero maggiore di uomini e una potenza di fuoco nettamente superiore. Il colonnello Bettoni non ha dubbi: il Reggimento, che conta circa 700 elementi, deve caricare se vuole avere qualche possibilità di vittoria. In un primo tempo pensa di comandare personalmente la carica di tutto il Reggimento dopo, forse consigliato dall’aiutante maggiore Piscicelli, decide di non guidare personalmente la carica mandando all’attacco un solo squadrone.
L’ordine di attacco viene impartito al 2° squadrone comandato dal tenente De Leone, il cui compito è quello di attaccare il fianco sinistro dello schieramento avversario. L’eccitazione dei cavalieri è palpabile, per molti questa è e sarà l’unica possibilità di partecipare ad una carica. De Leone, seguito dai suoi sottoposti, ordina allo squadrone di montare a cavallo ed esce dal quadrato nella direzione opposta del nemico. Appena scompare dal campo visivo il 2° squadrone compie un’ampia conversione e l’ordine “Sciabl – mano” conferma a tutti che quella giornata sarebbe entrata nella storia. A questa scena partecipa anche il maggiore Manusardi che fino a pochi giorni prima comandava lo squadrone. Rimasto senza cavalcatura, si impossessa del cavallo del generale Barbò e segue i suoi uomini verso la gloria.
Al suo arrivo si leva alto il grido di gioia dei suoi cavalieri.
L’entusiasmo cresce insieme all’andatura dei cavalli: al grido “Caricat” tutti all’unisono urlano “Savoia” e si lanciano verso le linee nemiche. Una corsa inarrestabile in cui il rombo degli zoccoli di oltre 100 cavalli fa tremare il terreno riempiendo l’aria in questa mattina d’estate. I destrieri sono lanciati con un impeto travolgente. Molti sono feriti ma tanta è la loro eccitazione che continuano a caricare fino a franare senza vita sul terreno. Lo stesso De Leone si trova appiedato, mentre Manusardi continua la carica. Dalle loro buche i Russi iniziano a mitragliare con possente frequenza tanto che sono molti gli uomini a cadere. I soldati sovietici, non essendo impegnati da altre posizioni, appena superati dalla carica possono voltarsi e sparare alle spalle dei cavalieri che furiosi utilizzano le loro sciabole cosacche preda di guerra. Il caos è indescrivibile: molte donne sono uscite da chissà dove e incitano i propri soldati con alte grida inneggianti a Stalin.
Dopo aver superato la metà del fronte nemico Manusardi si rende conto che senza l’appoggio di altri reparti sarebbe stato impossibile continuare. Il suo squadrone è ridotto a circa la metà degli effettivi e per questo decide di tornare indietro effettuando un’altra carica. Questa volta anche le bombe a mano sono usate per aprirsi la strada. Lo schieramento nemico è nuovamente investito dai cavalieri di Savoia. Alcuni di loro riescono anche a salvare il comandante De Leone che sta continuando a combattere appiedato pur di evitare di cadere prigioniero in mano al nemico.
Il colonnello Bettoni si rende conto che l’azione del 2° deve essere supportata: decide quindi di inviare all’attacco il 4° squadrone appiedato per un’azione frontale. Nella pianura russa i plotoni di Abba, Rubino, Compagnoni e Toja avanzano supportati dai mitraglieri di Foresto. Circa 500 metri li separano dal nemico e bisogna percorrerli su un terreno piatto dove sono poche le zone in cui ripararsi. Dopo essere usciti da un campo di girasoli gli uomini del 4° sono investiti dalle prime raffiche di mitragliatrice. L’ordine impartito da Abba è di allargarsi e di avanzare strisciando, mentre il plotone di Rubino viene spostato all’estrema sinistra del fronte d’attacco. Proprio in queste prime fasi una raffica di parabellum ferisce il giovane ufficiale ad una gamba. In seguito un altro colpo lo raggiunge al polmone costringendolo a rimanere immobile. Nonostante le ferite riportate continuerà a dirigere l’azione dei suoi uomini da una posizione più riparata.
Anche in questa fase dell’attacco il nemico occupa una posizione dominante: Toja e il suo plotone cercano di avanzare sulla sinistra per cercare di raggiungere una zona in cui poter prendere d’infilata il fianco delle truppe russe. Intanto Abba con i suoi uomini cercano di sostenere l’azione sparando a più riprese con alcuni parabellum catturati al nemico.
Gli uomini del 2° intanto hanno completato la carica che è stata altrettanto violenta. Manusardi e i cavalieri superstiti rientrano nel quadrato e incitano Bettoni ad inviare un altro squadrone a sostenere l’azione del 4°.
Subito il colonnello decide di inviare il 3° del capitano Marchio all’attacco che punta diritto verso il fronte senza prendere quelle precauzioni necessarie per non farsi individuare dagli osservatori sovietici. Vedendo questo anche il maggiore Litta decide di partecipare alla carica con i pochi uomini rimasti. Lo stesso tenente Ragazzi, nonostante gli ordini contrari, partecipa all’azione del reparto.
Dopo essere giunti nella zona dove combatte il 4° squadrone il 3° deve attraversare un punto estremamente stretto in cui i Russi hanno piazzato numerose armi automatiche che falciano a decine i cavalieri. Un colpo di mortaio colpisce il tenente Ragazzi uccidendolo all’istante. Il comando di gruppo è quasi tutto falciato: muore Mentasti mentre Litta non può più montare per la ferita riportata alla gamba. Il maggiore raggiunge la postazione di un mitragliere e da lì partecipa all’attacco dei suoi finché un colpo non lo stronca. Tutti gli ufficiali del 3° sono fuori combattimento tanto che spetta al sergente Negri guidare l’ultimo assalto ai rimanenti centri di resistenza. I cavalieri li eliminano aprendosi la strada con l’aiuto delle bombe a mano e delle sciabole cosacche che si sono dimostrate, anche in questa carica, un’arma micidiale.
Lo stesso Abba viene falciato da un colpo al cuore nel tentativo di raggiungere gli uomini di Rubino rimasti senza una guida.
Mentre si continua a morire si levano alte le grida degli uomini del 3° che hanno messo in fuga le ultime truppe russe. Savoia è ormai padrone del campo grazie alle due cariche della cavalleria del 2° e 3° squadrone e all’ausilio delle forze a piedi del 4°. Il fumo si dirada sul campo di battaglia e i cavalieri rientrano alla spicciolata. Sono da poco passate le nove quando finalmente si possono contare i caduti della carica di Savoia Cavalleria. “Savoia ha caricato” è la frase che passa di bocca in bocca e che riempie di orgoglio i cuori dei sopravvissuti. Il bilancio finale è di 33 vittime e 53 feriti. Il prezzo più alto è pagato dai cavalli: 150 nobili destrieri non ci sono più.
Le truppe russe pagano un prezzo molto più alto: 150 morti, 300 feriti e 500 prigionieri13
Gli ingenti sacrifici del Reggimento vengono ripagati con la medaglia d’oro allo stendardo, medaglia d’oro alla memoria per Abba e Litta, 54 medaglie d’argento e 49 croci di guerra sul campo.
Proprio nel giorno del 250° compleanno del Reggimento si è consumata la più gloriosa pagina della storia delle “cravatte rosse”. L’unico tassello che manca è quello del nome da dare alla carica. Durante la sera gli ufficiali optano per Isbuscenskij, un paese che non è mai stato raggiunto dai cavalieri di Savoia, ma che grazie a questo episodio è entrato a pieno titolo nella storia delle forze armate italiane.

questo articolo è di Roberto Biagioni.

FedeTEre
 
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view post Posted on 31/7/2011, 20:54
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sempre più interessante socia
ho trovato anche questa:

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la carica di Isbuscenskij
 
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Fede Tere
view post Posted on 2/8/2011, 13:59






FedeTere
 
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grazie x il dipinto.
sai se ci sono film sulla campagna di Russia? sia italiani che stranieri???
 
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Fede Tere
view post Posted on 5/8/2011, 21:29




io so di questo
Titolo del Dvd: La campagna di Russia
Regia: Frank Capra Anatole Litvak
Produttore: Medusa Video
Data di Pubblicazione: 09 gennaio '08
Genere: Documentario
Durata: 83 '
Formato video: Full screen
Codice area: 2 (Europa/Giappone)
Colore: Sì
Sottotitoli: Italiano per non udenti
Contenuti: filmografie
ISBN: 8009833221110


Don Gnocchi, l’angelo dei bimbi mini serie in due puntate per Canale Cinque, diretta da Cinzia Th Torrini (2005): uno spezzato di vita di Don Carlo Gnocchi negli anni ’40 nella guerra di Albania e la Campagna di Russia e la sua opera per i bambini mutilati di guerra.Inoltre va segnalato lo spettacolo teatrale “Il Sergente” di Marco Paolini, ispirato al libro “Il sergente nella neve” di Mario Rigoni Stern e trasmesso su La7 nel 2007.

FedeTere
 
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17 replies since 14/10/2010, 20:00   4114 views
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