| Visto che Ale aveva accennato al branetto scritto da Margot, ve lo posto io (Ale spero che tu non ti sia offeso ^^")
«La fortuna, non consentendo agli esseri umani una felicità ininterrotta, presto tramutò questa gioiosa atmosfera nuziale in qualcosa di assolutamente opposto. Ciò perché il ferimento dell’ammiraglio aveva reso furibondi tutti coloro che appartenevano alla Religione [ugonotta], gettandoli in uno stato di profonda costernazione. Il più anziano dei Pardaillan e gli altri capi ugonotti parlarono dell’accaduto con la regina mia madre in tono abbastanza violento da farle intendere che volevano vendicarsi. Fu avviso del duca di Guisa e di mio fratello [Enrico d’Anjou] re di Polonia, successivamente re di Francia, che era indispensabile prevenirli. Parere che non piacque affatto a re Carlo che particolarmente amava Monsieur de La Rochefoucault, Teligny, la Noue e altri capi della Religione, che sperava anzi lo seguissero nelle Fiandre. E come più tardi sentii dire, fu molto difficile persuaderlo a permettere ciò che dopo accadde e che egli non avrebbe mai permesso se non gli fosse stato assicurato che vi andava della sua vita e del suo stato. Saputo che l’ammiraglio aveva ricevuto un attentato da Maurevert, che gli aveva sparato un colpo di pistola da una finestra e credendo d’averlo ucciso in realtà l’aveva solo ferito alla spalla, re Carlo sospettò che fosse stato Monsignor di Guisa, come vendetta per la morte del padre ucciso nello stesso modo a Poltrot su ordine dell’ammiraglio, e si infuriò così tanto con il duca che giurò di farlo giustiziare. Se il Guisa non si fosse nascosto, il re l’avrebbe fatto arrestare. Né mai si vide la regina madre più impacciata mentre dava ad intendere al re Carlo che ciò era stato fatto per il bene del suo stato, per l’accertato affetto che lui provava per l’ammiraglio, per la Noue e per Teligny; dei quali apprezzava lo spirito e il valore, come principe generoso che si affeziona solo a coloro nei quali riconosceva qualità simili. E quantunque fossero stati perniciosi al suo stato, gli astuti avevano così ben saputo fingere, che si erano guadagnati il cuore di questo valoroso principe con la speranza di rendersi utili all’accrescimento del suo stato, proponendogli diverse gloriose e belle imprese in Fiandra, degne solo di quest’anima grande e reale. Di maniera che sebbene la regina madre gli facesse notare che la morte del Guisa padre, causata dall’ammiraglio, scusava il figlio, il quale aveva voluto vendicarsi da solo dal momento che non gli avevano reso giustizia. Anche l’uccisione voluta dall’ammiraglio, di Charry, mastro di campo della guardia reale, persona valorosa che aveva servito fedelmente sia lei durante la reggenza, sia lo stesso re Carlo durante l’infanzia, lo rendeva degno di un simile vendetta. E benché queste parole potessero far capire a re Carlo che la vendetta per la morte di Charry non era uscita dal cuore della regina madre, la sua anima era nondimeno affranta dal dolore per la perdita di persone che stimava (come ho detto) essergli un giorno utili. Ciò offuscò il suo giudizio che non poté, né moderare, né mutare il suo appassionato desiderio di far giustizia, comandando ugualmente che si cercasse Monsignor di Guisa, che lo si arrestasse e che non voleva affatto che un simile gesto restasse impunito. Infine alla tavola della regina madre, Pardaillan, con le sue minacce, scoprì la malvagia intenzione degli ugonotti. Vedendo che questo attentato aveva ridotto al termine i negoziati e che se non si fosse prevenuto il loro disegno gli ugonotti avrebbero attentato, quella medesima notte, contro il re e contro di lei; la regina prese la decisione di far intendere apertamente al re Carlo la verità su tutto e del pericolo in cui si trovava, grazie al maresciallo di Retz del quale sapeva essere il più adatto di chiunque a comunicargli ogni cosa, essendo a lui il più vicino e da lui tenuto in gran considerazione.
Egli venne dunque a trovare il re nel suo gabinetto di lavoro verso le nove o le dieci di sera e gli disse che essendo un suo fedelissimo servitore non poteva celargli il pericolo in cui si sarebbe trovato se avesse continuato a voler giustiziare Monsignor di Guisa; bisognava sapesse che l’attentato all’ammiraglio non era stato organizzato solo dal Guisa, ma vi avevano preso parte sia mio fratello (poi re di Polonia e di Francia) e la regina mia madre della quale conosceva l’estremo dolore all’assassinio di Charry e di come ne avesse grandissima ragione, poiché non aveva trovato servitori simili che fossero fedeli solo a lei. Essendo com’egli sapeva, al tempo della sua giovinezza, la Francia divisa: i cattolici schierati con Monsignor di Guisa e gli ugonotti con il principe di Condé, ed entrambi volevano privarlo della corona, quella corona salvata e preservata per lui grazie alla volontà di Dio e grazie alla prudenza e alla vigilanza della regina madre e che in queste difficoltà ella non s’era trovata più ben protetta che dal fedele Charry. Fin d’allora si sapeva che lei aveva giurato di vendicarne l’omicidio e che lei ben vedeva che l’ammiraglio sarebbe stato solo pernicioso allo stato e che nonostante qual si voglia apparenza, cioè mostrare affetto e voglia di servire sua maestà in Fiandra, non aveva che idea di turbare la Francia e che la mira [della regina madre] in questo affare era stata solo quella di togliere dal regno solamente quella peste dell’ammiraglio; solamente lui. Ma sfortuna volle che Maurevert fallisse il colpo e che gli ugonotti, entrati in tal disperazione, oltre al duca di Guisa minacciarono di uccidere anche la regina madre e mio fratello [il re di Polonia] quella stessa notte. Perciò ella vedeva il re in gravissimo pericolo: o minacciato dai cattolici che difendevano il duca di Guisa o dagli ugonotti per le ragioni sudette. Il prudentissimo re Carlo, che era sempre stato ubbidientissimo alla regina madre e che era un principe molto cattolico, vedendo ciò che succedeva, prese la decisione d’unirsi alla regina madre e di conformarsi alla sua volontà, salvando la sua persona dagli ugonotti grazie ai cattolici; non senza però estremo disgusto di non poter salvare Teligny, la Noue e Monsignor de La Rochefoucault. Allora andando a trovare la regina madre, mandò a chiamare Monsignor di Guisa e tutti gli altri principi e capi cattolici, e fu allora deciso di dar luogo, la medesima notte, al “Massacro di San Bartolomeo”. E iniziata l’opera, vennero subito messe le catene [cioè sbarrate e barricate le strade di Parigi, per impedire l’entrata o l’uscita delle vittime] e, suonato il segnale, ognuno s’affrettò al quartiere (conforme all’ordine dato) sia dell’ammiraglio che di tutti gli altri ugonotti. Monsignor di Guisa assalì la casa dell’ammiraglio, nella cui camera entrò Besme, un gentiluomo tedesco, che dopo averlo ucciso a pugnalate lo gettò dalla finestra al suo padrone il Monsignor di Guisa.
Per quanto mi riguarda, nessuno mi metteva a parte di ciò che stava avvenendo. Vedevo che tutti erano indaffarati, e che gli ugonotti, disperati per la ferita inferta all'ammiraglio, parlottavano fra loro a voce bassa, col terrore che non si volesse far giustizia dei Guisa. Essi diffidavano di me in quanto cattolica, e i cattolici [diffidavano di me] perché avevo sposato il re di Navarra che era ugonotto. Fui tenuta all'oscuro di tutto, finché la sera, mentre mi trovavo al coricarsi della regina mia madre, ed ero seduta su una cassapanca accanto a mia sorella la duchessa di Lorena, che aveva un'aria assai triste. La regina mia madre, che stava parlando con altre persone, mi vide lì e mi disse di andare a letto. Mentre facevo la riverenza, mia sorella mi trattenne prendendomi per un braccio, e piangendo disperatamente mi disse: "Mio Dio, sorella mia non andate". La cosa mi riempì di terrore. La regina mia madre se ne accorse, chiamò a sé mia sorella, la rimproverò aspramente e le proibì di parlarmi. Mia sorella le disse che non c'era motivo di mandarmi allo sbaraglio e che se si fossero accorti di qualcosa si sarebbero certo vendicati su di me. La regina mia madre rispose che, a Dio piacendo, non mi sarebbe successo niente di male ma che, comunque andassero le cose, bisognava che io mi ritirassi nei miei appartamenti per non destare sospetti che potevano pregiudicare il successo dell'impresa. M’accorgevo che stavano discutendo, ma non riuscivo a sentire cosa stessero dicendo. Di nuovo ella mi ordinò rudemente di andare a letto. Mia sorella in lacrime, mi augurò la buonanotte senza osare dirmi altro, e io me ne andai, colma di ansia e di sgomento, senza riuscire a immaginare che cosa dovessi temere. Appena entrai nella mia stanza da letto, pregai Dio di prendermi sotto la sua protezione e di aiutarmi non sapevo contro chi o che cosa. Mio marito già coricato, mi disse di coricarmi anch’io, ed obbedii. Il letto era circondato da trenta o quaranta ugonotti che ancora non conoscevo, essendo sposata da pochi giorni soltanto. Essi per tutta la notte non fecero che parlare dell’incidente incorso all’ammiraglio, stabilendo che, appena si fosse fatto giorno, avrebbero chiesto al re giustizia contro il Guisa, e che si sarebbero fatta giustizia da soli se il re non gliela avesse accordata. Col cuore ancora angustiato dalle lacrime di mia sorella, non riuscivo a prender sonno, impaurita senza sapere perché. Trascorse così la notte senza che potessi chiudere occhio. All’alba il re mio marito mi disse che sarebbe andato a giocare a palèo in attesa che re Carlo si svegliasse. Aggiunse subito: per chiedergli giustizia. Lasciò la stanza, e tutti i gentiluomini lo seguirono. Appena vidi che l’alba era già spuntata, supponendo che fosse già passato il pericolo accennatomi da mia sorella, vinta dal sonno, pregai la mia nutrice di chiudere la porta per poter riposare. Un'ora più tardi, mentre ero profondamente addormentata, qualcuno venne a tempestare coi piedi e con le mani alla porta gridando. "Navarra! Navarra!". La nutrice, pensando che fosse il re mio marito corse ad aprire. Era un gentiluomo, il signore di Léran, ferito a un gomito da un colpo di spada e da un colpo di alabarda al braccio. Era inseguito da quattro arcieri che si precipitarono dietro di lui nella stanza. Volendo salvarsi, Léran si gettò nel mio letto. Io sentendo quest'uomo che mi aveva afferrato, balzai sull’altra sponda, ma egli continuava a stringermi per la vita. Non conoscevo quell'uomo, e non sapevo se era venuto per uccidermi, oppure se gli arcieri volevano fare del male a lui o a me. Gridavamo tutti e due, ed eravamo ambedue ugualmente terrorizzati. Infine, volle Iddio che sopraggiungesse il signor di Nançay, capitano delle guardie, il quale, trovandomi in quello stato, pur provando compassione per me, non riuscì a trattenersi dal ridere e si indignò tremendamente con gli arcieri per tanta indiscrezione, li fece uscire e affidò alla nostra benevolenza quel poveretto che mi stava aggrappato addosso. Lo feci condurre nel mio gabinetto dove fu messo a letto e medicato. Io mi cambiai la camicia, perché mi aveva sporcata di sangue. Mentre mi stavo cambiando, il signore di Nançay mi narrò quanto stava avvenendo, e mi assicurò che il re mio marito si trovava nella stanza del re e che non gli sarebbe stato fatto alcun male. E fattomi indossare un mantello da notte, mi condusse nella camera di mia sorella, la duchessa di Lorena, dove giunsi più morta che viva. Entrando nell'anticamera, che aveva tutte le porte spalancate, un gentiluomo di nome Bourse, che fuggiva braccato dagli arcieri, fu trafitto da un'alabarda a soli tre passi da me. Io mi accasciai dall'altra parte, semisvenuta, tra le braccia del signore di Nançay, pensando che il colpo avesse trapassato entrambi. Ripresami in parte, entrai nella cameretta dove dormiva mia sorella. Mentre ero lì, i signori di Miossans ed Armagnac, l’uno primo gentiluomo del re mio marito e l’altro suo primo valletto, vennero e mi chiesero di intercedere per le loro vite. Andai dal re e dalla regina mia madre e mi gettai ai loro piedi, implorando la grazia che infine mi concessero.»
FedeTere
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