I Medici, da banchieri a Granduchi di toscana

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view post Posted on 23/10/2010, 14:08
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siccome si è parlato di Margherita, e siccome lei aveva sangue Medici nelle vene....

I Medici sono una delle più note famiglie principesche di Firenze, protagonisti della storia italiana ed europea dal XV al XVIII secolo.
Oltre ad aver retto le sorti della città di Firenze prima e della Toscana poi, dal 1434 fino al 1737, ed oltre ad aver dato i natali a tre papi e due regine di Francia, essi godono tutt'oggi di una straordinaria fama per aver promosso in misura fuori del comune e per diverse generazioni la vita artistica, culturale, spirituale e scientifica del loro tempo. Le loro straordinarie collezioni d'arte, di oggetti preziosi, di libri e manoscritti, di rarità e di curiosità si sono conservate praticamente integre fino ai giorni nostri e sono alla base del patrimonio di molte delle più importanti istituzioni culturali di Firenze.
I Medici, provenienti dal Mugello, seguirono la consuetudine affermatasi a partire dal XIII secolo, che vedeva lo spostamento delle famiglie più in vista dai feudi di campagna alla città. Inizialmente avviarono un'attività commerciale e bancaria, fortunata sì, ma alla pari di altre importanti famiglie di Firenze, dalla quale seppero costruire una duratura preminenza politica, grazie a numerosi esponenti che, con carisma e astuzia, di generazione in generazione consolidarono il prestigio e il peso politico familiare.
Un primo esponente che fu anche un uomo politico di successo fu Salvestro de' Medici, che durante il Tumulto dei Ciompi (1378), in carica come gonfaloniere di giustizia, appoggiò le rivendicazioni popolari contro l'oligarchia cittadina: una linea politica che venne mantenuta anche nel secolo successivo. Giovanni di Bicci, fondando il Banco dei Medici e riuscendo a farsi affidare la gestione delle finanze pontificie, assicurò alla famiglia una solida ricchezza e prosperità. Suo figlio Cosimo il Vecchio, fu un esponente politico di primissimo piano, che suscitò le invidie di altri potenti fiorentini: la sua vittoria nelle lotte contro Rinaldo degli Albizi e Palla Strozzi (1434) viene indicata come la fondazione di una Signoria de facto a Firenze, sebbene restassero apparentemente immutate le istituzioni repubblicane.
Con suo nipote Lorenzo il Magnifico la Signoria raggiunse l'apogeo per ricchezza, vitalità culturale e appoggio popolare, anche se le libertà comunali erano venute sempre meno, soprattutto dopo la repressione in seguito alla Congiura dei Pazzi. Subito dopo la sua morte (1492) si manifestarono però gravi spinte disgregatrici sia a livello fiorentino (con la presa del potere di Savonarola) che italiano (con la discesa di Carlo VIII di Francia) che la sua opera di mediatore aveva saputo evitare.
Durante un momento difficile per la famiglia (le cosiddette seconda e terza cacciata) fu fondamentale l'attività dei due papi medicei, Leone X (pontefice dal 1513 al 1521) e Clemente VII (pontefice dal 1523 al 1534), le cui truppe, coadiuvate da quelle della Spagna ed altri stati, ripresero due volte la città di Firenze ai ribelli repubblicani.
Gradualmente la stretta medicea si era fatta sempre più forte sulla città e culminò con l'abolizione della Repubblica, ormai puramente simbolica, e la creazione di un ducato, prima nelle mani di Alessandro poi in quelle più salde di Cosimo I de' Medici. Divenuto poi Granduca (1569), la sua dinastia regnò senza interruzioni fino all'estinzione nel 1737. L'ultima esponente della famiglia, Anna Maria Luisa, chiuse la storia del ramo principale dei Medici con un atto straordinario: la donazione degli sterminati tesori del patrimonio familiare alla città di Firenze, vincolando per sempre la loro presenza in città e gettando così le basi dei più famosi musei cittadini.
Nel 1512, inoltre, i Medici furono nominati patrizi a titolo onorifico della Repubblica di Venezia.
Il primo documento circa un componente della famiglia Medici a Firenze risale al 1201 con Chiarissimo di Giambuono che compare fra i componenti del Consiglio del Comune.
La famiglia proveniva dal contado del Mugello e trae origine da un certo Medico di Potrone, nato intorno al 1046. Alcuni esponenti della famiglia, tutti discendenti di Medico di Potrone, tra il Duecento e il Trecento si guadagnarono una ricchezza ragionevole con le manifatture laniere che in quel tempo videro un periodo di boom nelle richieste, in Italia e all'estero, soprattutto in Francia e Spagna. Agli inizi del Trecento i Medici avevano già avuto due gonfalonieri di Giustizia (la massima carica della Repubblica fiorentina). Per tutta la prima metà del Trecento i Medici fecero parte dell'oligarchia che dominava la città. I Medici si distinsero particolarmente durante le faide tra guelfi Neri e Bianchi per la particolare ferocia con cui saccheggiarono le case dei nemici di fazione. Numerose le teste calde nella loro storia, con ben cinque sentenze di morte soltanto fra il 1343 ed il 1360.
I fallimenti delle grandi case mercantili e bancarie fiorentine, la caduta del Duca di Atene e la peste nera del 1348 determinarono una fibrillante situazione politica ed un periodo di grandi lotte sociali e politiche
Fra le personalità più significative di questo periodo di lotte vi fu Salvestro de' Medici, eletto gonfaloniere di Giustizia, che sostenne le richieste degli operai della lana durante il tumulto dei Ciompi (1378). Fu in questo momento che i Medici con Salvestro iniziarono ad essere identificati come "popolari".
Nel 1382 pose fine a questo irrequieto periodo della politica il consolidarsi del potere degli oligarchi della "Parte Guelfa" che avevano in Maso degli Albizzi il più significativo rappresentante.
Nell'anno 1400 poi vi furono due altri complotti orditi contro il governo statale, nei quali fu coinvolto anche il Duca di Milano, ai quali seguirono un maggior numero di esili e l'interdizione per venti anni a ricoprire qualsiasi incarico pubblico per tutta la famiglia. Furono esclusi da questo provvedimento due soli rami rimasti in ombra, rispetto alle altre "teste calde" familiari: quello di Vieri de' Medici e quello di Averardo (detto Bicci) de' Medici. Proprio dai figli di Bicci ebbe origine la dinastia medicea.
Per quanto riguarda la ricchezza dei Medici a quell'epoca si deve dire che se qualcuno di loro era mediamente benestante, la maggior parte aveva un tenore di vita pari a quello di un artigiano o di un negoziante. A suffragio della stima delle ricchezze, esiste il registro di una tassazione chiamata prestanza, un prestito forzoso richiesto a tutte le famiglie della città nel 1343: se gli Strozzi vennero tassati per 2.063 fiorini, tutta la famiglia Medici dovette sborsarne "solo" 304, dei quali 220 dalla famiglia di Vieri e soltanto 12 da quella di Averardo. In seguito Averardo seppe arricchirsi maggiormente, aiutato dalla favorevole congiuntura economica cittadina, ma alla sua morte (1363) il suo patrimonio venne diviso tra i suoi 5 figli: per questo suo figlio, Giovanni di Bicci de' Medici, dovette costruire con il suo lavoro e la sua abilità la propria fortuna, che fu la vera base della ricchezza medicea.
Giovanni di Bicci (1360-1429) fu un uomo molto ricco e, grazie alla sua benevolenza, ben amato dalla cittadinanza. Poco si sa della parte iniziale della sua vita, perché uomo assai modesto e prudente evitò di mettersi in evidenza sulla scena politica ma si dedicò solamente ad aumentare il suo patrimonio che divenne in breve tempo ingentissimo. Nonostante questa riservatezza fu Priore nel 1402, nel 1408, nel 1411 e infine nel 1421 fu gonfaloniere di Giustizia (questo dimostrerebbe che non fu mai perseguitato dal governo aristocratico, che anzi cercò di assimilarlo).
La sua solida ricchezza era nata dalla sua attività di banchiere, attraverso la creazione di una rete di compagnie d'affari, che aveva un'importantissima filiale a Roma, dove appaltava le entrate delle decime papali, un mercato ricchissimo e di grande prestigio che gradualmente riuscì a avere sgombro da altri concorrenti. Erroneamente si ritenne nell'Ottocento che Giovanni di Bicci appoggiasse l'istituzione del catasto, un sistema di tassazione che per la prima volta colpiva in maniera proporzionale in base al reddito e ai possedimenti delle singole famiglie. Una misura che colpì tutta la classe dei più abbienti a Firenze, ma che sollevò i ceti minori e i piccoli-medi imprenditori da una tassazione sempre più gravosa, in seguito alle numerose guerre contro i Visconti di Milano. Questo errore era basato su quanto era detto da Giovanni Cavalcanti nelle sue Storie fiorentine ma in realtà contraddetto dai documenti che dimostrano in modo inoppugnabile che la legge del catasto fu proposta e difesa e fatta approvare da Rinaldo degli Albizzi e da Niccolò da Uzzano, i due massimi esponenti del partito aristocratico.
La sua fortuna venne ereditata solo dal figlio primogenito, Cosimo de' Medici, poi detto "il Vecchio", per non frammentare il patrimonio familiare, come era usanza del tempo.
Cosimo (1389-1464) ebbe un carattere energico, nel segno del padre, anche se in sostanza molto diverso. Aveva infatti una tempra da dominatore che lo portò ad essere ancora più potente e ricco del genitore. Oltre alla notevole abilità come uomo d'affari, oltre ad essere un appassionato uomo di cultura e un grande mecenate, fu soprattutto uno dei più importanti politici del Quattrocento italiano.
Si accorse ben presto che la ricchezza familiare era ormai troppo grande per essere tutelata senza copertura politica, per via delle operazioni finanziarie di entità sempre più ragguardevoli e quindi rischiose. Perciò iniziò la sua ascesa verso le leve del potere della Repubblica fiorentina. Si manifestò subito la sua proverbiale prudenza: egli non mirava a diventare signore della città, magari con un colpo di mano o cercando di essere eletto nei ruoli più prestigiosi di governo, ma la sua figura restò in ombra, vero burattinaio di una serie di personaggi fidati che per lui ricoprivano incarichi chiave nelle istituzioni.
Il potere era in quel momento detenuto in particolare dagli Albizi, da Niccolò da Uzzano, da alcuni Strozzi, Peruzzi, Castellani, ecc.
Crescendo la popolarità di Cosimo ed il numero dei suoi amici, gli uomini che detenevano il potere iniziarono a vedere in lui una minaccia. Il 1º settembre 1433 venne estratto come Gonfaloniere di Giustizia Bernardo Guadagni ed una Signoria profondamente legata agli Albizi ed ai suoi adepti. Fu fatta cosi la volontà di Rinaldo degli Albizi. La nuova Signoria fece imprigionare Cosimo nel settembre 1433 con l'accusa di aver fomentato cospirazioni e complotti all'interno della città e di aver operato scientemente e con dolo perché Firenze entrasse in guerra con Lucca. Erano accuse confuse e false che dovevano condurre Cosimo a morte.
Mancò a Rinaldo degli Albizi la fredda determinazione di condurre le cose all'estremo. Una serie di "bustarelle" abilmente distribuite da Cosimo gli evitarono la condanna a morte con la conversione della pena in esilio, fu la cosiddetta prima cacciata dei Medici. Dopo la partenza di Cosimo per Padova e Venezia, le istituzioni repubblicane ebbero una continua instabilità.
Rinaldo degli Albizi non era uomo della stessa tempra del padre e nella situazione che precipitava non ebbe il coraggio o la forza di esercitare un controllo sulle estrazioni, errore che non ripeté invece Cosimo, che una volta al potere condizionò in maniera totale i nomi degli imborsati e di fatto evitò le avventurose estrazioni a sorte. Cosi nel settembre 1434 fu estratta una Signoria completamente favorevole ai Medici. Cosimo fu quindi richiamato a Firenze appena un anno dopo la sua partenza e furono mandati in esilio i suoi oppositori.
L'entrata trionfale di Cosimo, acclamato dal popolo, che preferiva i tolleranti Medici agli oligarchici e aristocratici Albizi e Strozzi, segnò il primo grande trionfo della casata medicea.
Cosimo, abilissimo politico, continuò a mantenere intatte le libere istituzioni, favorì industrie e commerci, attirandosi sempre più le simpatie del popolo e mantenendo la pace a Firenze. Nel 1458 creò il Consiglio dei Cento.
Cosimo, nominato pater patriae per l'abbellimento e lo sviluppo notevoli che diede alla città, morì lasciando lo stato nelle mani del figlio Piero (1416-1469). Questi fu un saggio regnante, ma la malattia che gli valse l'appellativo de il Gottoso, gli permise di guidare il governo della città solo per cinque anni.
La figura di Lorenzo il Magnifico (1449-1492), figlio di Piero è stata alternativamente nel tempo oggetto di glorificazione o di ridimensionamento. Educato come un principe, era nato con il destino già segnato dalla sua blasonatura; salì al potere alla morte del padre, senza grandi stravolgimenti. Sposato alla nobile romana Clarice Orsini fu il primo dei Medici a legare il proprio nome con un personaggio di sangue blu. A 29 anni, dopo nove anni di governo, subì il più grave attacco nella storia medicea, la cosiddetta Congiura dei Pazzi nella quale morì il fratello Giuliano e lui stesso venne ferito, ma uscendone eccezionalmente vivo. In seguito alla congiura, alla quale avevano partecipato alcuni suoi oppositori fiorentini con l'appoggio del papa e di altri stati italiani, il popolo di Firenze si schierò ancora più nettamente dalla sua parte. I suoi sostenitori (detti Palleschi in riferimento alle 'palle' presenti nello stemma mediceo) punirono duramente i responsabili, dando a Lorenzo l'occasione di accentrare ulteriormente il potere nelle sue mani, attraverso una riforma delle istituzione repubblicane, che divennero a lui subordinate.
Dal punto di vista della politica estera, Lorenzo ricucì i rapporti con gli altri stati italiani, recandovisi spesso di persona, creando la grande impresa diplomatica di una pace generale in Italia, attraverso il concetto di coesistenza pacifica.
Grande uomo di finanza e di politica, anche Lorenzo amava svagarsi con la poesia e la letteratura. Anzi la sua personalità letteraria fu di notevole levatura, tanto da offuscare anche il suo ruolo politico. Si occupò anche di filosofia, di collezionismo ed ebbe sempre l'amore appassionato per le arti in genere, delle quali aveva dopotutto appreso dai suoi predecessori il fondamentale ruolo quale strumento di prestigio e fama. È infatti grazie al suo interessamento che la Cappella Sistina, già affidata ad artisti umbri come il Perugino, viene poi affrescata dai migliori pittori fiorentini, esportando verso Roma quelle novità insigni del Rinascimento fiorentino. Sempre nella stessa ottica si può inquadrare la partenza di Leonardo da Vinci per Milano.
Nemico dichiarato di Lorenzo fu Girolamo Savonarola, che nella sua convinzione ultrareligiosa, non poteva che scontrarsi con il clima culturale di recupero dell'antico (visto dal frate come un neo-paganesimo), della centralità dell'uomo, del libero pensiero promosso da Lorenzo. Il Magnifico lo tollerava come se fosse un male minore, mantenendo con lui comunque un rispetto reciproco, tanto che tra i due non ci fu mai un aperto scontro diretto.
Con la morte di Lorenzo, salì al comando di Firenze suo figlio Piero (1472-1503), educato fin dall'infanzia a ricoprire tale ruolo. Tutti gli occhi della città erano puntati su di lui, ed è chiaro come tutti cercassero di capire se avesse la stoffa o meno per essere all'altezza dell'incarico che ricopriva. La pace mantenuta da Lorenzo se ne andò con la sua morte e già due anni dopo Carlo VIII di Francia scendeva in Italia con il suo esercito. La crisi travolse Piero: intimorito dal sovrano e dall'esercito francese acconsentì a qualsiasi richiesta, regalando quattro piazzeforti sui confini di Toscana e spalancando le porte del regno (i cronisti più a lui avversi diffusero anche la notizia che avesse baciato le babbucce del re inginocchiandosi). Accusato di viltà e debolezza venne cacciato dalla città con una sentenza datata 9 novembre 1494. La città allora divenne uno stato "teocratico" governato da Savonarola. Il trionfo del frate domenicano però fu di breve durata: travolto dalle lotte tra le fazioni e soprattutto sopraffatto dall'opposizione con Papa Alessandro VI, venne scomunicato e condannato al rogo. Intanto la Repubblica navigò in cattive acque per la difficile situazione internazionale.
Dopo la morte di Piero, annegato nel Garigliano nel 1503, l'autorità di capo della famiglia passò al cardinale Giovanni de' Medici, che rientrò a Firenze nel 1512 dopo aver sconfitto i francesi di Luigi XII, alleati di Firenze. Con Giovanni rientrano a Firenze suo fratello Giuliano e il figlio dello sfortunato Piero, Lorenzo, che, ora ventenne, non vedeva la sua città da quando era poco più che in fasce
Giovanni, grazie anche al sostegno del partito orsinesco al quale era appartenuta sua madre Clarice, fu eletto papa con il nome di Leone X nel 1513. Il governo di Firenze ormai avveniva nel Palazzo Vaticano invece che in Palazzo Vecchio. Leone, ricordato tra i papi più magnificenti della curia romana (o più dispendiosi, secondo i detrattori), fu un grande mecenate di artisti (soprattutto di Raffaello Sanzio e Michelangelo Buonarroti) e un nepotista senza remore. Mentre con grande soddisfazione Giuliano veniva inviato dal Re di Francia, dove, grazie ai suoi servigi, otteneva il primo titolo nobiliare, il "Ducato di Nemours", Lorenzo veniva spedito dallo zio papa in una costosa e inutile guerra contro Francesco della Rovere, signore di Urbino, al termine della quale lo incoronò "Duca di Urbino". Entrambi ebbero spose di alto lignaggio e portarono nel Palazzo Medici di Firenze un'etichetta principesca e quei modi altamente sofisticati dell'alta nobiltà che ben poco avevano a che fare con la semplicità solenne di Cosimo il Vecchio. Ma il trionfo di Leone durò ben poco, perché sia Giuliano che Lorenzo morirono poco più che trentenni di malattie, aggravate dalla predisposizione ereditaria alla gotta tipica del ramo principale della famiglia. Per i due rampolli da lui tanto amati Leone X fece costruire la Sagrestia Nuova in San Lorenzo da Michelangelo. Anche Leone morì improvvisamente ad appena 46 anni.
Dopo l'iniziale momento antimediceo, a Roma si scelse un papa riformatore, il fiammingo Adriano VI, che potesse combattere e ricomporre la frattura nata al tempo di Leone X con lo scisma della Riforma protestante. Ma la sua condotta, forse troppo estremista, non piacque all'ambiente della curia, che dopo la sua repentina morte, dopo appena un anno di pontificato, scelse di eleggere di nuovo un Medici, il cardinale Giulio de' Medici, già tra i più fidati consiglieri del cugino Leone X.
Clemente VII, questo il nome scelto, delegò l'amministrazione di Firenze al cardinale Silvio Passerini, mentre si questionava su chi doveva diventare il nuovo signore della città: Ippolito, figlio illegittimo di Giuliano di Nemours, o Alessandro, figlio di Lorenzo, nato da una passione con una schiava mulatta? La predilezione del papa per Alessandro, additato da molti come figlio dello stesso papa, nato quando era ancora cardinale, fu tale da far propendere la scelta su quest'ultimo, nonostante la sua pessima reputazione e la scarsa stima che i fiorentini avevano per lui.
Clemente ebbe uno dei papati più difficili della storia: scelta l'alleanza con i francesi piuttosto che con il nuovo imperatore Carlo V, con la consueta opzione di ribaltare le alleanze secondo il maggior profitto, non piacque per niente all'Imperatore, che organizzò un esercito tedesco-spagnolo, i tremendi Lanzichenecchi e marciò verso Roma, in una specie di crociata protestante contro la corruzione del papato. Tentò di bloccare i Lanzichenecchi Giovanni dalle Bande Nere, l'unico condottiero di valore della famiglia, che però morì tra grandi sofferenze dopo essere stato colpito da un archibugio in una battaglia presso il Po. Con la notizia del Sacco di Roma (1527) i fiorentini stessi si ribellarono ad Alessandro, cacciando lui e tutti i Medici dalla città (Terza cacciata).
Clemente subì il tremendo saccheggio della città e l'affronto della prigionia ad Orvieto, dopo di che l'imperatore, pentito dalla piega che avevano preso gli eventi, offrì la sua mano al papa organizzando una riconciliazione nell'occasione della sua incoronazione ufficiale a Bologna.
In cambio Clemente VII ebbe l'aiuto nella riconquista di Firenze, con il famoso assedio del 1529-1530 e l'investitura di Alessandro come Duca, che sanciva definitivamente il dominio dei Medici sulla città.
Ma mentre una tempesta si placava, ecco che il rifiuto di concedere l'annullamento del matrimonio al re Enrico VIII d'Inghilterra si trasformò in un ulteriore contrasto con il papa, e l'inizio dello scisma anglicano.
Alessandro de' Medici, detto il Moro per il colore scuro della sua pelle, per via delle sue origini "bastarde", era stato nominato Duca da Carlo V, chiudendo definitivamente la stagione plurisecolare della Repubblica fiorentina e della sua libertas. Il governo venne accentrato nelle sue sole mani e la sua ascesa venne sancita anche dalla promessa di matrimonio con Margherita, figlia naturale dell'Imperatore Carlo V.
Il nuovo Duca però era tristemente noto per il suo carattere vizioso e crudele, improntato agli eccessi: era sempre accompagnato da un picchetto di guardie imperiali che erano abituate a terrorizzare i cittadini con improvvise e sconcertanti azioni.
Suo cugino Lorenzino de' Medici, abituato a vivere alla pari con Alessandro, fu sorpreso dal doversi sottomettere al suo nuovo rango, ma questa era solo la "punta dell'iceberg": i rapporti di complicità/odio e invidie reciproche tra i due, dal simile carattere "maledetto", sono stati di volta in volta mistificati o sminuiti dagli storici e probabilmente non si sapranno mai per la mancanza di documentazione.
Fatto sta che nel gennaio del 1537 Lorenzino, poi detto Lorenzaccio, tende un tranello al super-protetto cugino, che si presenta a lui senza le guardie, finendo accoltellato da un sicario pagato da Lorenzino. Morì così a 26 anni lasciando solo un figlio e una figlia illegittimi di pochissimi anni: anche se fossero stati accettati per la successione (cosa improbabile perché figli naturali di un illegittimo) si sarebbe aperto un difficile contenzioso per la reggenza.
Ma anche Lorenzino subì una sorte simile: profugo nel nord-Italia e poi in Francia da Caterina de' Medici, tornò e si stabilì poi a Venezia, dove lo raggiunsero i sicari di Cosimo I che lo accoltellarono appena fuori dalla casa della sua amante (1548).
Con la morte di Alessandro il ramo principale dei Medici, quello di Cosimo il Vecchio, era esaurito nelle ramificazioni legittime e illegittime. Nell'incertezza generale, tra le proposte di ripristinare la Repubblica o far venire a Firenze un emissario imperiale, saltò il nome di un ragazzo di diciotto anni, Cosimo (1519-1574), figlio di Giovanni delle Bande Nere e di Maria Salviati, la quale a sua volta era nipote di Lorenzo il Magnifico, quindi di recente e diretta parentela con il vecchio ramo familiare. Si dice che gli stessi fiorentini furono affascinati dal carattere mite e ossequioso del giovane fino ad allora cresciuto nell'ombra, per cui rinunciarono a quella che fu di fatto l'ultima occasione per riottenere la libertà repubblicana. Con l'investitura imperiale (unica clausola, lasciare il potere al Consiglio), la successione venne confermata. Non passò molto che il giovane mostrò il suo volto di sovrano forte (con la battaglia di Montemurlo, contro i Repubblicani guidati da Filippo Strozzi), a tratti tirannico e spietato, che tenne lo stato per 37 anni ricorrendo spesso all'uso dittatoriale del terrore: tra le pagine più nere del suo governo si ricorda la soppressione della Repubblica di Siena. Secondo le varie fonti il giudizio comunque oscilla anche parecchio: per Franco Cardini per esempio fu un sovrano saggio e lungimirante, che innegabilmente fece una oculata gestione dello Stato, abile finanziariamente e promotore delle attività economiche, e delle arti (con la nascita di una vera e propria scuola di "artisti di corte" come il Bronzino, il Vasari, eccetera).
Trasferitosi nel Palazzo della Signoria (come a sottolineare che il potere governativo e la sua persona sono la stessa cosa), fu il primo nobile della famiglia a poter godere durevolmente di questo status: ebbe una moglie di alto rango, la bella e sofisticata Eleonora di Toledo, figlia del Viceré di Napoli, e una vera e propria reggia, quella di Palazzo Pitti, appositamente ampliato per lui e la sua corte. Dal 1569 ebbe dal papa il titolo di granduca, per il suo acquisito dominio sulla Toscana.
Il secondo Granduca di Toscana fu il figlio primogenito di Cosimo, Francesco I de' Medici (1541-1587). A tratti simile al padre, talvolta dissoluto e dispotico, ed ebbe una vena però più crepuscolare, che lo portava a passare periodi di solitudine, con una sfrenata passione per tutto ciò che di misterioso ed occulto vi era nello scibile dell'epoca. Non a caso fu proprio lui a far costruire l'emblematico Studiolo di Palazzo Vecchio, permeato della cultura iniziatica e alchemica dell'epoca, o la magnifica Villa di Pratolino, dove tutto era sorpresa e meraviglia per i cinque sensi.
La sua casata era ormai alla pari delle altre casate regnanti europee, infatti ricevette come sposa niente meno che una sorella dell'Imperatore Massimiliano II, Giovanna d'Austria. Il matrimonio tra i due non si rivelò però felice: mentre nascevano solo figlie femmine (ben sei e un maschio morto in tenera età), Francesco si invaghì fatalmente di un'altra donna, la veneziana Bianca Cappello, con la quale visse una sfrontata storia d'amore, nonostante ella stessa fosse già maritata. Oltre all'inevitabile scandalo, tenuto a freno solo dalla sua posizione di capo di stato, la Cappello era malvista dai fiorentini, accusata addirittura di stregoneria, per non parlare della famiglia granducale che la odiò profondamente. Dopo anni di clandestinità, i due rimasero entrambi vedovi (anche questa una vicenda dai molti punti oscuri) e poterono sposarsi nel 1579, anche se il loro idillio durò fino alla notte di ottobre del 1587 quando entrambi morirono a poche ore di distanza tra lancinanti spasmi della febbre terzana... o di veleno del cardinale Ferdinando? Questo enigma secolare è stato risolto solo nel dicembre 2006, quando studiosi tossicologi dell'Università di Firenze hanno trovato resti dei tessuti epatici di Bianca e Francesco che contenevano tracce di arsenico, somministrato loro in dose letale ma non massiccia, tanto che essi patirono undici giorni di agonia.
Il cardinale Ferdinando de' Medici (1549-1609), secondogenito di Cosimo I, rinunciò alla porpora cardinalizia con dispensa papale quando l'improvvisa morte del fratello rese necessaria la sua salita al governo del granducato, col nome di Ferdinando I.
Se si esclude la cattiva luce gettata solo recentemente circa l'assassinio del fratello, Ferdinando fu l'unico granduca a riuscire a guadagnarsi una fama duratura: restituì ordine al paese e ripristinò l'integrità del governo; promosse una riforma fiscale e sostenne il commercio; incoraggiò il progresso tecnico-scientifico e realizzò grandiose opere pubbliche come la bonifica della Val di Chiana e il potenziamento del porto e delle fortificazioni di Livorno. In quello che allora era un modesto villaggio di pescatori egli realizzò importanti sovrastrutture, ma fu soprattutto la legge che lo dichiarava porto franco ad attirare profughi e perseguitati da tutti i paesi del Mediterraneo, facendo crescere rapidamente la popolazione e facendo così arrivare la manodopera necessaria allo sviluppo di quello che sarebbe presto diventato uno dei più attivi porti commerciali del mare nostrum.
Alla morte di Ferdinando gli successe il figlio Cosimo II (1590-1621). Personaggio di intelligenza brillante e di vasta cultura, era purtroppo ammalato di tisi, che lo portò a una morte prematura appena passata la soglia di trent'anni.
La sua figura è ricordata per due eventi principali:
La liquidazione e chiusura del Banco Medici, che aveva permesso l'ascesa familiare, ma che ormai era visto dal granduca come un'attività "indegna di un sovrano regnante";
La calorosa accoglienza e protezione offerta a Galileo Galilei, al quale egli donò la Villa il Gioiello a Arcetri, dove il grande scienziato poté continuare in pace i suoi studi ed esperimenti.
Dal Seicento il Granducato visse quel periodo di lenta decadenza che contraddistinse tutto il resto della penisola italiana, con la stagnazione dei commerci, le pestilenze, il provincialismo. La casa regnante non solo non seppe porre rimedio a questi problemi, ma anzi ne accelerò l'impatto con un governo mediocre. Fu un'epoca di continue interferenze femminili di reggenti, madri e mogli con matrimoni mai azzeccati, con i granduchi maschi che sembrano scivolare tutti in una bisessualità sempre meno celata. La madre di Cosimo II, Cristina di Lorena, sua moglie Maria Maddalena d'Austria e la moglie di Ferdinando II, Vittoria della Rovere, diedero vita a specie di matriarcati: influenzate da consiglieri ecclesiastici diedero vita a uno Stato sempre più marcatamente religioso, con una malintesa severità, che sfociò via via nel conformismo e nella bigotta ipocrisia.
Non mancarono degli isolati sprazzi di luce nella generale inerzia dei governanti, soprattutto per merito dei cardinali di casa Medici: la fondazione dell'Accademia del Cimento del cardinale Leopoldo de' Medici, istituzione che continuò la ricerca scientifica secondo il metodo sperimentale di Galileo, o l'Accademia degli Immobili tramite il cardinale Giovan Carlo de' Medici, che fu all'origine del primo teatro "all'italiana", La Pergola, culla del melodramma.
resto fu caratterizzato da un'amministrazione sempre più apatica, ormai lontana dalle glorie del passato, come il lungo governo di Cosimo III, sordo alle richieste di un popolo sempre più affamato e in miseria per l'ingiusto gravare delle imposte, alle quali rispose ironicamente con la pompa quasi spagnolesca della corte. Già alla sua epoca si presentò drammaticamente il problema della successione: dei suoi tre figli il maggiore (il Gran Principe Ferdinando) morì di sifilide a cinquant'anni senza eredi, sua sorella Anna Maria Luisa era sterile e suo fratello Gian Gastone era manifestamente omosessuale. Mentre il destino del Granducato di Toscana veniva deciso a tavolino dagli altri sovrani europei, il sipario stava per calare sulla famiglia Medici.
L'ultimo atto della casata fu però degno della loro fama: nel 1737 Anna Maria Luisa stipulò con i nuovi successori, i Lorena (ramo della casa di Asburgo), il cosiddetto "Patto di Famiglia" che stabiliva che essi non potessero trasportare « o levare fuori della Capitale e dello Stato del Granducato... Gallerie, Quadri, Statue, Biblioteche, Gioje ed altre cose preziose... affinché esse rimanessero per ornamento dello Stato, per utilità del Pubblico e per attirare la curiosità dei Forestieri ».
Questo patto, scrupolosamente rispettato dai nuovi granduchi, permise che Firenze non perdesse nessuna opera d'arte e che non subisse la sorte, ad esempio, di Mantova o di Urbino, che all'estinzione della casata dei Gonzaga o dei Della Rovere erano state letteralmente svuotate dei tesori artistici e culturali. Se oggi i capolavori degli Uffizi, di Palazzo Pitti, della Biblioteca Medicea Laurenziana - solo per citare alcuni esempi più illustri - si possono ancora ammirare a Firenze e non a Vienna o in qualche altra città, lo si deve sicuramente alla saggezza, alla fermezza e alla lungimiranza di Anna Maria Luisa de' Medici

personalmente adoro questa dinastia, con poche eccezioni, la loro storia è piena di enigmi che ancora non sono stati risolti...
 
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raffaelemambella
view post Posted on 23/10/2010, 21:18




Francesco I de' Medici e Bianca Cappello non furono assassinati: ultime ricerche scientifiche smentiscono l'avvelenamento

L’ipotesi dell'avvelenamento da arsenico di Francesco I de’ Medici (Firenze 1541 - Poggio a Caiano 1587) e della moglie Bianca Cappello da parte del fratello Ferdinando, cardinale e suo successore al Granducato di Toscana, è stata riproposta tempo fa in un articolo scientifico (Mari F. e coll., The mysterious death of Francesco I de’ Medici and Bianca Cappello: an arsenic murder? «British Medicai Journal, 2006, n. 333), ripreso trionfalmente dai media, e successivamente in ben due volumi a carattere divulgativo (Mari E, Bertol E., Polettini A., La morte di Francesco I de' Medici e della sua sposa Bianca Cappello, Le lettere, Firenze 2007; Ferri M., Lippi D., I Medici. La dinastia dei misteri, Giunti, Firenze 2007).
In sintesi, i tossicologi Francesco Mari, Elisabetta Berto!, 1}ldo Polettini e la storica della medicina Donatella Lippi hanno sostenuto di avere le prove dell' avvelenamento. L'ipotesi era basata su analisi condotte su alcune formazioni pilifere ritrovate sull' osso mascellare di Francesco I (i cui resti sono stati riesumati nel 2004 da Gino Fornaciari nell'ambito del "Progetto Medici") e su due campioni biologici rinvenuti all'interno di un sacello pavimentale della chiesa di S. Maria a Buonistallo, parrocchiale della villa medicea di Poggio a Caiano (Po), dove - secondo un documento di archivio - furono portati dopo l'autopsia i vasi con le viscere di Francesco I e Bianca Cappello (ricordiamo qui che il corpo di Francesco fu sepolto nella basilica di San Lorenzo a Firenze, mentre il cadavere di Bianca non è mai stato ritrovato).
I reperti biologici di Buonistallo, interpretati come frammenti di fegato umano appartenenti a individui di sesso opposto, sono stati attribuiti ai due coniugi anche grazie alla presenza, nella cripta, di frammenti ceramici e di due crocifissi bronzei ritenuti tardocinquecenteschi (ma risultati poi del Settecento e dell'Ottocento).
Una prima considerazione a proposito di questi fortunosi ritrovamenti nella chiesa di S. Maria a Buonistallo è che la cripta, dove nei secoli sono stati collocati centinaia di corpi, non è stata scavata con tecniche archeologiche; inoltre - come dichiarano gli Autori dello studio il recupero dei frammenti di vasi e del materiale organico fu effettuato direttamente dai muratori... Ciononostante, gli stessi Autori hanno sostenuto che l’ipotesi dell’avvelenamento poteva essere non solo plausibile, ma anche dimostrabile. L'analisi chimica ha infatti rivelato la presenza, in questi resti, di arsenico in dosi tossiche; al tempo stesso i ricercatori fiorentini affermano - senza peraltro rendere nota né la metodologia né i dati molecolari ottenuti - che il DNA di uno dei due campioni organici sarebbe compatibile con quello delle formazioni pilifere ritrovate in corrispondenza del mascellare di Francesco I, nella cassetta di zinco dove le ossa del granduca erano state rideposte nel 1955 al termine dello studio antropologico effettuato da Gaetano Pieraccini e Giuseppe Genna. È un dato di fatto però che nella cassetta di zinco di Francesco I, riaperta nel 2004, non c'era traccia di materiali organici, né di cute né di barba, ma solo resti dei tessili che avvolgevano le ossa, peraltro accuratamente ripulite dagli antropologi degli anni Cinquanta per effettuare lo studio antropologico e per ricavare un calco in gesso del cranio del granduca. Quindi appare assai plausibile che il DNA ritrovato - e confrontato con quello dei resti organici della chiesa di Buonistallo non sia il DNA originale di Francesco l, ma sia dovuto - come succede spesso in laboratori non dedicati allo studio del DNA antico - a inquinamento da DNA moderno. Quanto alla presenza di arsenico, era consuetudine dopo l'autopsia trattare i visceri asportati con composti arsenicali, per favorirne la conservazione. In conclusione, già al momento della pubblicazione del lavoro sull'avvelenamento di Francesco I e Bianca Cappello permanevano forti dubbi sull’attendibilità dei risultati (Fornaciari G., The mystery of beard hairs, British Medical Journal, 2006, n. 333).
La documentazione lasciataci dai medici di corte Pietro Cappelli, Giulio Cini e Baccio Baldini (gli archiatri che assistettero Francesco I) riporta il decorso della malattia. Nei giorni 6, 7 e 8 ottobre 1587 il granduca si strapazzò moltissimo andando a caccia nella tenuta circostante la sua villa di Poggio a Caiano, un’area agricola coltivata a risaia, ambiente malarico per eccellenza. La sera dell’8 Francesco si sentì male: febbre violenta accompagnata da vomito incoercibile, seguiti da insonnia e irrequietezza. La febbre persistette tutto il giorno 9 innalzandosi verso sera. Il 10 i medici diagnosticano una febbre malarica terzana, pertanto Francesco viene sottoposto a un primo salasso. Nella notte tra il 10 e l’11 il granduca si sentì meglio e riprese le sue attività. Il 12, 13 e 14 ottobre Francesco fu nuovamente in preda a violenti brividi causati da febbre elevata, cui si accompagnò un'intensa sudorazione per tutta la notte. Le sue condizioni migliorarono leggermente il giorno dopo. Il 16 e 17 ottobre il granduca si aggravò: ancora febbre alta, sudorazione profusa, vomito incoercibile, secchezza delle fauci, stitichezza e irrequietezza crescente. Miglioramento il 18 e gli vengono praticati due salassi. La mattina del 19 ottobre Francesco I si confessò e dettò le ultime volontà; nel pomeriggio la febbre s'innalzò di nuovo, accompagnata da grande irrequietezza, cui seguirono una forte astenia e la perdita di coscienza due ore prima della morte. Correva l'anno 1587 e Francesco aveva 46 anni. Quasi in contemporanea si era ammalata anche Bianca Cappello e i medici di corte, seppur in modo meno dettagliato, ne descrivono la malattia come molto simile a quella del coniuge: la stessa notte del 9 ottobre la granduchessa si sentì male, colta da un violentissimo attacco di febbre, e da allora fu febbrile con una sintomatologia uguale a quella del marito. Morì il 20 ottobre 1587 a 39 anni.
La prova più sicura al riguardo è il riconoscimento I
immunologico della malaria da Plasmodium falciparium nel tessuto osseo di Franceso I de' Medici. Gli esami sono stati effettuati presso il Laboratorio di Parassitologia e Malattie parassiarie, Facoltà di Medicina veterinaria, Università di Torino.
I tossicologi fiorentini hanno sostenuto che la sintomatologia manifestata da Francesco I (vomito incoercibile, secchezza delle fauci, dolori e bruciori di stomaco, continua irrequietezza, ingrossamento del fegato, lesioni polmonari ed edema diffuso) è tipica dell' avvelenamento da arsenico e ben diversa da quella dell'infezione malarica. A questo proposito è opportuno sottolineare che, nelle popolazioni dei paesi dove la malaria persiste in forma endemica, l’insieme dei sintomi riferiti per la malattia di Francesco I è invece tipico della febbre malarica da Plasmodium falciparum. Infatti, uno degli apparati maggiormente colpiti durante l'attacco malarico acuto è proprio quello gastro-intestinale. Il vomito incoercibile, sempre accompagnato da stato febbrile, è il sintomo principale, solitamente con una frequenza elevata all'insorgere della malattia. La conseguente perdita di liquidi e di elettroliti causa una disidratazione accompagnata da secchezza delle fauci e conduce, infine, al collasso cardio-circolatorio. La malaria acuta, accompagnata o meno dalla sintomatologia gastro-enterica, include anche edema polmonare nonché disturbi di tipo neurologico quali agitazione, turbe del comportamento e perdita di coscienza. Ebbene, l'ingestione orale di triossido di arsenico in elevate concentrazioni è certamente associata a sintomi gastro-intestinali (dolori gastritici acuti, salivazione abbondante, vomito, secchezza delle fauci, sete, difficoltà di parola, diarrea, tenesmo) e neurologici (convulsioni, turbe del comportamento, coma), ma attenzione: non è mai accompagnata da febbre. A parte il vomito incoercibile e la sete inestinguibile, Francesco I nella sua agonia durata undici giorni non manifestò nessun altro sintomo riconducibile ad avvelenamento acuto da arsenico.
Su richiesta del cardinale Ferdinando, i corpi di Francesco e Bianca furono sottoposti a esame autoptico e i medici confermarono che una forma perniciosa di malaria (terzana maligna) era stata la causa dell'improvviso e simultaneo decesso della coppia granducale. Tuttavia, subito dopo la morte dei due, cominciarono a diffondersi voci insistenti secondo cui Ferdinando avrebbe assassinato fratello e cognata con l'arsenico. Ma non mancarono altre versioni dell'accaduto. Addirittura si disse che Bianca avrebbe preparato una torta avvelenata da offrire al cognato Ferdinando: per sbaglio ne assaggiò anche Francesco e la donna, disperata, ne mangiò lei stessa per non sopravvivere al suo amato.
Recentemente, nel Laboratorio di Parassitologia della Facoltà di Medicina veterinaria dell'Università di Torino, estratti di campioni di osso spugnoso di Francesco I sono stati sottoposti ad analisi, per verificare la presenza di due proteine tipiche del Plasmodium falciparum, la proteina di tipo 2 ricca in istidina (P.f. HRP-2) e la lattato deidrogenasi (pLDH), usando due metodi qualitativi di determinazione tramite anticorpi a elevata sensibilità: il Malaria Antigen RAPYDTEST® e il MalariaDetect™ RAPYDTEST® (DiaSys, Connecticut, USA). Quest'ultimo test viene utilizzato per la diagnosi differenziale fra il P. falciparum e le altre tre specie di Plasmodium (P. vivax, P. ovale e P. malariae). I risultati hanno accertato la presenza della proteina di tipo 2 ricca in istidina di Plasmodium falciparum e della lattato deidrogenasi di P. falciparum non solo nel tessuto osseo spugnoso di Francesco I de’ Medici, ma anche in quello di altri tre membri della famiglia Medici, cioè il cardinale Giovanni, don Garzia e la loro madre Eleonora di Toledo, deceduti per “febbre terzana” nel 1562 dopo un viaggio nella Maremma grossetana (Bianucci R. e coll., Immunological Identification of Plasmodium falciparum and Leishmania infantum in the skeletal remains of the Medici family, in Atti del XVIII congresso dell'Associazione Antropologica Italiana, Firenze, 1-4 ottobre 2009). Il Detect™ RAPYDTEST® non ha evidenziato la presenza d’infezioni non-falciparum o miste. Invece i campioni ossei di Cosimo I, deceduto per polmonite, e di Giovanna d'Austria, morta di parto, utilizzati come controllo interno, e due campioni esterni di controllo, di epoca medievale, provenienti da aree non malariche della Francia e della Germania, sono risultati negativi per l'infezione malarica.
La teoria dell'avvelenamento da arsenico di Francesco I e Bianca Cappello ha suscitato un dibattito che dura da oltre quattro secoli. Due anni orsono lo studio effettuato dal professor Francesco Mari e colleghi aveva rilanciato !'ipotesi. I risultati della ricerca attuale, fornendo la prova sicura della presenza di proteine di Plasmodium falciparum nei resti scheletrici di Francesco I, confermano invece le fonti storiche, secondo le quali il granduca morì di malaria acuta. Ora la teoria dell'avvelenamento dovrà essere ricollocata fra le tante leggende che hanno circondato la dinastia granducale dei Medici, mentre il cardinale Ferdinando viene assolto da un'accusa infamante.



 
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view post Posted on 23/10/2010, 21:20
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sapevano che avevano dimostrato che non erano stati assassinati, ma sulla morte di Giovanna d'Austra c'è ancora il mistero... quello probabilmente fu un omicidio
 
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Fede Tere
view post Posted on 24/10/2010, 14:22




A proposito di Medici, uno solo della famiglia Medici andò " a soldato" per così dire
Fu Giovanni delle Bande Nere

Giovanni dalle Bande Nere oppure delle Bande Nere al secolo Giovanni di Giovanni de' Medici (Forlì, 6 aprile 1498 – Mantova, 30 novembre 1526) è stato un condottiero italiano del Rinascimento.

Figlio del fiorentino Giovanni de' Medici (detto il Popolano) e di Caterina Sforza, la signora guerriera di Forlì e Imola, una delle donne più famose del Rinascimento, che si era strenuamente difesa da Cesare Borgia nella sua rocca forlivese. Venne chiamato Ludovico in onore dello zio Ludovico il Moro, duca di Milano, ma alla morte del padre, avvenuta quando aveva pochi mesi d'età, la madre gli cambiò il nome in Giovanni.

Fu ritenuto da Niccolò Machiavelli come la figura capace di unificare l'Italia. Giovanni passò la propria infanzia in un convento, poiché la madre era prigioniera di Cesare Borgia.

Nel 1509 Caterina Sforza morì, ed essendo morto anche Luffo Numai, primo tutore di Giovanni, la tutela del giovane passò al canonico Francesco Fortunati e al ricchissimo fiorentino Jacopo Salviati, marito di Lucrezia de' Medici, figlia di Lorenzo il Magnifico.

Jacopo Salviati dovette spesso rimediare con la propria autorità e fama alle numerose intemperanze del ragazzo, ma nel 1511 non poté evitargli il bando da Firenze, per l'uccisione di un suo coetaneo in una lite tra bande di ragazzi, bando ritirato l'anno successivo.

Quando il Salviati fu nominato ambasciatore a Roma nel 1513 Giovanni lo seguì, e qui fu iscritto nelle milizie pontificie grazie all'intercessione del Salviati presso papa Leone X, fratello di Lucrezia de' Medici.

Il suo battesimo del fuoco nel nuovo ruolo di soldato papale avvenne il 5 marzo 1516 nella guerra contro Urbino al seguito di Lorenzo de' Medici. La guerra durò solo ventidue giorni, dopo i quali Francesco Maria I della Rovere si arrese; nonostante la propria indole irrequieta, Giovanni riuscì a insegnare agli uomini della sua compagnia - indisciplinati, rozzi e individualisti - disciplina e obbedienza. Ebbe anche modo di osservare, con acume caratteristico, il declino della cavalleria pesante.

Al momento di crearsi una propria compagnia Giovanni scelse perciò di impiegare cavalli piccoli e leggeri, preferibilmente turchi o berberi, adatti a compiti tattici quali schermaglie d'avanguardia o imboscate; individuò nella mobilità l'arma più utile da usare. Un accento particolare fu messo sullo spirito di corpo, allora assai carente. I nuovi venuti ricevevano un addestramento particolare, spesso impartito da Giovanni personalmente; sovente i traditori erano condannati a morte.

Sposò Maria Salviati, figlia di Jacopo, che gli diede un figlio, Cosimo, destinato un giorno a diventare Granduca di Toscana.

Nel 1520 sconfisse diversi signorotti ribelli marchigiani, tra i quali Ludovico Uffreducci che restò ucciso in battaglia presso Falerone. Nel 1521 Leone X si allea con l'imperatore Carlo V contro Francesco I, per consentire agli Sforza di tornare padroni di Milano e per occupare le città perdute di Parma e Piacenza; Giovanni è assoldato e posto sotto il comando di Prospero Colonna. Partecipa in novembre alla battaglia di Vaprio d'Adda: oltrepassa il fiume controllato dai francesi e li mette in fuga, aprendo la strada per Pavia, Milano, Parma e Piacenza.

Il 1º dicembre muore Leone X, e Giovanni per manifestare il lutto fa annerire le insegne, che fino ad allora erano a righe bianche e viola, diventando così famoso presso i posteri come Giovanni dalle Bande Nere.

Nell'agosto 1523 Giovanni viene ingaggiato dagli imperiali, e nel gennaio del 1524 attacca di notte il campo del francese Cavalier Baiardo, mentre questi dormiva e lo mette in fuga, facendo prigionieri oltre trecento soldati. Successivamente affronta gli Svizzeri, la più temuta fanteria dell'epoca, che intanto sono calati dalla Valtellina in aiuto dei Francesi; Giovanni li sconfigge a Caprino Bergamasco, costringendo l'armata francese a lasciare l'Italia.

Intanto a Roma diviene papa Clemente VII, della famiglia Medici, cugino della madre di Giovanni, Caterina; il nuovo pontefice paga tutti i debiti di Giovanni, chiedendogli, però, in cambio, di passare con i Francesi. Questo accade nel novembre-dicembre 1524 quando Francesco I entra nuovamente in Italia per una campagna militare e ritorna in Lombardia schierandosi sotto Pavia, dove subirà la celebre cocente sconfitta e la prigionia.

La compagnia di Giovanni non partecipa alla battaglia: in una scaramuccia il 18 febbraio 1525 Giovanni "fu da uno archibuso in uno stinco di gamba gravemente ferito" (G. G. Rossi, Vita di Giovanni de' Medici). Spesso vengono confusi i fatti e gli "attrezzi" del febbraio 1525 con quelli del novembre 1526, quando, effettivamente, Giovanni verrà ferito ad una coscia da un colpo di falconetto. Anche Pietro Aretino, nella famosissima e suggestiva lettera (la n. 4 del primo libro) dà la medesima versione" "... ecco (oimè) un moschetto che gli percuote quella gamba già ferita d'archibuso..."). Allo stesso modo, nel descrivere i momenti ed i luoghi delle cure la storiografia corrente pare non aver tenuto più di tanto in considerazione i documenti e le testimonianze ufficiali. In effetti Giovanni viene subito trasportato a Piacenza, come relaziona Maestro Abramo, il medico inviato dal marchese di Mantova. Ma il 7 di marzo (in M. Tabanelli, Giovanni de' Medici dalle Bande Nere) Giovanni arriva nel parmense: "... si fece portare nel parmigiano a i castelli della sorella" (G.G. Rossi, cit.). Solo nel mese di maggio Giovanni si recherà a Venezia, dove potrà giovarsi, nell'ultima parte della convalescenza, dei benefici bagni termali della vicina Abano. Le sue Bande Nere in parte lo seguono, in parte si sciolgono.

A Venezia Giovanni potrebbe mettersi al servizio della Serenissima, ma è tipo troppo ribelle e declina con la frase: «Né a me si conviene per esser io troppo giovane, né ad essa perché troppo attempata».

Nel 1526 re Francesco I torna libero e in maggio, nasce la lega di Cognac contro l'Impero; papa Clemente si schiera con il re Francesco ed a Giovanni è affidato il comando delle truppe pontificie. Il 6 luglio il capitano generale Francesco Maria I della Rovere, di fronte alle soverchianti forze imperiali, abbandona Milano, ma Giovanni rifiuta l'ordine di fare la stessa cosa e attacca la retroguardia del nemico alla confluenza del Mincio col Po, sconfiggendo i lanzichenecchi, mercenari tedeschi capeggiati da Georg von Frundsberg. La sera del 25 novembre, nelle vicinanze di Governolo, Giovanni viene colpito allo stinco da un colpo di falconetto, (probabilmente fornito da Alfonso I d'Este) che gli procura una gravissima ferita.

« ... Giovanni de' Medici co' cavalli leggieri; e accostatosi più arditamente perché non sapeva che avessino avute artiglierie, avendo essi dato fuoco a uno de' falconetti, il secondo tiro roppe la gamba alquanto sopra al ginocchio a Giovanni de' Medici; del quale colpo, essendo stato portato a Mantova, morí pochi dí poi,... »
( Francesco Guicciardini - Storia d'Italia, lib. 17 cap. 16)

Viene subito trasportato a San Nicolò Po ma non si trova un medico perciò è trasportato a Mantova presso il palazzo di Luigi Gonzaga detto "Rodomonte", dove il chirurgo Abramo, che già lo aveva curato con successo due anni prima, gli amputa la gamba. Per effettuare l'operazione il medico chiede che 10 uomini tengano fermo Giovanni.

Pietro Aretino testimone oculare, descrive le sue ultime ore in una lettera a Francesco Albizi:

« «Neanco venti» disse sorridendo Giovanni «mi terrebbero», presa la candela in mano, nel far lume a sé medesimo, io me ne fuggii, e serratemi l'orecchie sentii due voci sole, e poi chiamarmi, e giunto a lui mi dice: «Io sono guarito», e voltandosi per tutto ne faceva una gran festa. »


La cancrena è però inarrestabile e nel giro di pochi giorni lo porta alla morte. Il valoroso condottiero si spegne il 30 novembre 1526, e viene sepolto tutto armato nella chiesa di San Francesco a Mantova. Giovanni, in agonia, aveva inizialmente pensato di affidare il comando delle truppe a Lucantonio Cupano, uno dei suoi più fidi soldati o al nipote Pier Maria III Rossi di San Secondo Parmense, figlio della sorella Bianca Riario, ma è tutto inutile: prive del loro capo e del suo carisma, le bande si sciolgono.

Sempre Pietro Aretino testimonia:

« Si mosse a ragionar meco, chiamando Lucantonio con estrema affezione; e dicendo io: «Noi manderemo per lui», «Vuoi tu», disse, «che un par suo lasci la guerra per veder amalati?». Si ricordò del conte di San Secondo, dicendo: «Almen fusse egli qui, che gli restarebbe il mio luogo». »


E anche Giovan Girolamo de' Rossi, nipote di Giovanni e fratello del Conte di San Secondo, conferma:

« Esso signore le raccomandò nella morte sua al conte Pietromaria Rosso di San Secondo, suo nipote, scrivendo a papa Clemente che non poteva darle più concenevolmente ad altri che a lui, il quale, per essere suo nipote e continovamente nutrito da lui nella guerra, sarebbe da i suoi soldati temuto e amato più d'ogni altro. »

FedeTere
 
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view post Posted on 24/10/2010, 14:28
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ecco un suo ritratto:


ed eccone uno di sua moglie, Maria Salviati, con il piccolo Cosimo I:
 
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view post Posted on 12/7/2011, 16:19
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ci sono due rami principali della famiglia Medici: che derivano dai due figli di Bicci: Cosimo e Lorenzo.
Il primo è detto dei Medici di Mugello, dal nome della loro residenza preferita, gli altri invice i medici di cafaggiolo, dove molti di loro adoravano risiedere.

Venivano anche detti i Popolari, per distinguirli dal ramo principale, di cui erano oggi l'equivalente dei cugini di campagna
 
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CosimodeMedici
view post Posted on 5/11/2011, 15:35




Dal ramo dei Popolani, chiamati così per le loro simpatie repubblicane, usciranno i Granduchi di Toscana
 
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view post Posted on 5/11/2011, 15:49
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In discendenza patrileare si, per discendenza matrileare appartengono al ramo principale, grazie a Maria salviati, nipote di Lorenzo il Magnifico

jacopopontormoportraito

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Maria Salviati
 
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CosimodeMedici
view post Posted on 5/11/2011, 15:57




In lui i due rami rivali della famiglia si riunirono
 
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view post Posted on 5/11/2011, 16:16
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Eccolo qui:
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un giovane Cosimo I, ritratto da Tiziano, per me è un ritratto inedito, anche perchè adoro Tiziano
 
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CosimodeMedici
view post Posted on 5/11/2011, 18:08




ritratto favoloso infatti
 
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view post Posted on 9/11/2011, 20:21
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Sui Medici in particolare e su Firenze in generale consiglio i libri di Marcello Vannucci, io ho:

-i Medici. una famiglia al potere:
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le donne di casa Medici. Da Contessina de'Bardi a ad Anna Maria Luisa, Elettrice Palatina, tutte le protagoniste della storia della grande famiglia italiana

ledonnedicasamedicidaco

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il primo mi è piaciuto molto, il secondo devo ancora iniziarlo ma promette bene finora
 
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CosimodeMedici
view post Posted on 10/11/2011, 15:09




io sto leggemndo quello su caterina de' medici di jean orieux, molto bello
 
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view post Posted on 10/11/2011, 15:15
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Ah, la bio di orieux, è scritta molto bene, peccato che riabiliti sia Caterina che Enrico III abbattendo Margot e Francesco d'Alençon. Per il resto è molto interessante e piena di particolare che prima non consocevo

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non è delle migliori, a quanto so quella migliore è quella di Clouas che però non sono mai riuscita a trovare
 
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view post Posted on 11/3/2012, 11:47
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Ricorre oggi l'anniversario dell'elezione di Leone X, il primo papa della famiglia de'Medici

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in un quadro di Raffaello, di cui fu mecenate, con il cugino Giuliano de'Medici, futuro Clemente VII, e il cardinale Luigi de'Rossi
 
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16 replies since 23/10/2010, 14:08   983 views
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