MUZIO ATTENDOLO detto SFORZA, L'avventurosa vita da film di un venturiero quattrocentesco.

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view post Posted on 25/1/2013, 18:35
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MUZIO ATTENDOLO, detto SFORZA.



La figura di Muzio Attendolo mi ha sempre affascinato, mi risulta difficile immaginare una vita piu avventurosa della sua, degna di centinaia di romanzi e decine di film, che naturalmente noi italiani, maestri nel cinema d'autore introspettivo e sociale o in quello dei panettoni triviali non abbiamo mai realizzato.
Nel racconto che mi accingo a fare non ho avuto difficoltà a reperire episodi che normalmente in tanti romanzacci pseudostorici vengono inventati, ma in questo caso mi sono trovato davanti a una tal massa di questi avvenimenti che se avessi dovuto raccontarli tutti per filo e per segno non sarebbe bastato un tomo della Treccani.
Quindi ho sfrondato parecchio, per dare un'idea della sua sola attività militare nei suoi 54 anni di vita indicherò nelle fonti un sito che può dare l'idea, con i soli freddi dati, di che attività fosse stato capace.

Stendardo di Muzio Attendolo

Giacomo (o Jacopo) Attendolo è più famoso come Muzio Attendolo Sforza (Cotignola 28 Maggio 1369 – fiume Pescara 4 Gennaio 1424), con questo nome passò alla storia, ma ai suoi tempi veniva chiamato Muzzo, da Giacomuzzo, furono i cronisti posteriori che, nel tentativo di nobilitarne la stirpe, ormai arrivata al potere, trasformarono il popolare soprannome di Muzzo nel romano, togato e nobile Muzio, nel mio racconto per evitare confusioni lo chiamerò così.

Muzio Attendolo Sforza 2

Nacque a Cotignola, in Romagna, figlio di Giovanni Attendolo ed Elisa Petracini (o Petrascini). Cotignola al tempo faceva parte dei feudi di John Hawkwood(Essex 1320 – Firenze 1394), nome italianizzato Giovanni Acuto , condottiero di ventura di grande successo, aveva servito Edoardo III d'Inghilterra nella guerra dei cent'anni ma, alla prima tregua si ritrovò senza lavoro e si mise al soldo di vari feudatari del sud della Francia arrivando infine in Italia, che al tempo rappresentava il paradiso per chi sapeva menar le mani a pagamento e proprio grazie a questa proficua attività era venuto in possesso di quei feudi per investitura di Papa Gregorio XI.
Certo l'Acuto rappresentò un buon esempio per Muzio, figlio di una vasta famiglia di contadini benestanti in eterna rivalità con un'altra famiglia simile, i Pasolini, pare che nessuno ricordasse ormai le origini della lite ma l'astio sfociava spesso in risse violente che in passato avevano provocato il versamento di non poco sangue.
Nel 1384 entra in scena il nostro “eroe”, mentre stà zappando un campo di famiglia vede passare una compagnia di soldati, guidati da Boldrino da Panigale, il loro capitano, che gli rivolge la parola, dicendo che con quel fisico invece di maneggiar la zappa avrebbe fatto meglio a maneggiar la lancia e ad unirsi a loro, Muzio fù alquanto lusingato dalla proposta e disse che, se lanciando la zappa tra i rami di un albero questa non fosse ricaduta a terra, ne avrebbe dedotto che non fosse destino quello di restare contadino, così fece, e la zappa restò impigliata nei rami, se questo fatto sia Storia o leggenda non so dire, ma è sicuro che quell'anno Muzio, preso un cavallo dalla stalla del padre, lasciò la famiglia ed entrò nella compagnia del capitano spoletino Scorruccio, come mozzo di stalla, promosso presto domatore di cavalli e si guadagnò il primo soprannome, per la corporatura e le spalle larghe lo chiamarono Laterone, certo il futuro soprannome Sforza suonerà meglio, ma dovranno passare anni prima che gli venga assegnato.
Rimase poco in posizione subalterna, presto acquistò diritto al soldo pieno e passò nella compagnia di Alberico da Barbiano col grado di uomo d'arme, il che lo poneva al comando di 3 o 4 uomini suoi, che doveva arruolare e armare in proprio, fù per questo che tornò a casa dal padre, occorreva un finanziamento, pare inoltre che avesse ucciso durante una rissa un caposquadra della compagnia del Panicale.
Quindi quattro anni dopo il suo arruolamento lo ritroviamo a Cotignola, il padre, nonostante dovesse provvedere a molti figli (un cronista dice venti, un altro 22, ma mi pare esagerato) , vide l'investimento e gli fornì il denaro.

Armatura-medievale

Ma a casa trovò anche la famiglia in armi, la vecchia faida con i Pasolini si era riaccesa, un fratello di Muzio aveva chiesto in sposa una certa Giovanna col consenso del padre di lei, ma altrettanto aveva fatto uno dei figli di Martino Pasolini, stranamente il capofamiglia degli Attendolo, per evitare nuove violenze aveva ordinato al figlio di rinunciare alle sue pur buone ragioni e di lasciare che il Pasolini sposasse la ragazza, ancor più stranamente i Pasolini presero questo fatto come un' offesa a loro e alla dignità di Giovanna, senza pensarci troppo attaccarono gli Attendolo di sorpresa e ne ammazzarono due, Marco e Teoduzzo.
A questo punto la faida era inevitabile, le donne furono mandate da parenti lontani e gli uomini si organizzarono come in guerra, per tutto l'inverno ci furono provocazioni e scontri tra le due fazioni, la situazione migliorò in primavera, dati i lavori dei campi, e Muzio riprese servizio dal da Barbiano.
Tornato l'inverno successivo a casa, per svernare (le operazioni militari in inverno si fermavano) , trovò che la faida era ripresa, anzi, fù sorpreso dai Pasolini che lo ridussero quasi in fin di vita.
A questo punto la reazione militare di Muzio fù tale che i Pasolini, parecchio ridotti di numero si ritrovarono asserragliati in casa.
La faccenda si concluse alcuni anni dopo, Muzio si trovava a Pisa quando si vide davanti Martino Pasolini che implorò pietà per sé e per i suoi, fosse stato per l'Attendolo avrebbe perdonato, ma la sua famiglia non si mostrò altrettanto benevola, il risultato fu che il Pasolini venne riaccompagnato a Cotignola sotto scorta degli uomini di Muzio e la pace venne imposta.
Nel frattempo gli uomini al suo comando sono aumentati ed ora dispone di una piccola compagnia, con lui sono i fratelli Bortolo, Bosio e Francesco, detto Boccaletto ed i cugini da parte di padre Bosio, Lorenzo, Micheletto e Foschino ed il cugino da parte di madre Santoparente dei Pieracini.
Sono ancora parte della compagnia di Alberico da Barbiano, ma ormai in posizione autonoma, val la pena di accennare a come erano organizzati questi eserciti privati.

Armatura

Organizzazione di una compagnia di ventura e del suo ingaggio
.


Una grande compagnia militare di quei tempi era organizzata in modo piramidale, “l'uomo d'arme”, o “la lancia” ne erano le basi, 3 o 4 uomini che obbedivano al loro “caporale” che li pagava, il quale obbediva ad un capitano che controllava diverse di queste formazioni e così via, fino ad arrivare al capitano della grande compagnia, che praticamente stipulava con tutti un contratto a tempo di cui erano responsabili i sottoposti, dal singolo capitano fino all'ultimo soldato, in tempo di pace, finito il tempo del contratto ogni singola componente della compagnia poteva andarsene, magari passando a quello che pochi giorni prima era il nemico.
A quel tempo le compagnie venivano assunte con varie forme di contratto d'ingaggio:
Erano a “SOLDO DISTESO” con paga piena e premi stabiliti quando operavano agli ordini di un signore, impegnandosi ad eseguire solo ed unicamente gli ordini di quel signore secondo i suoi piani e le sue volontà.
Erano a “MEZZO SOLDO” quando combattevano per chi li pagava, ma liberi di comportarsi come meglio credessero, con diritto di saccheggio ed ampia libertà d'azione.
Erano “IN ASPETTO” con una paga modesta, ma che gli permetteva di vivere, quando, in tempo di pace, si impegnavano ad accorrere alla chiamata di chi aveva stipulato il contratto.
Erano “IN RACCOMANDATIGIA” quando si impegnavano, in pace e in guerra, a non toccare, per chiunque combattessero, le proprietà ed i territori di colui che stipulava il contratto, era insomma, una specie di assicurazione.

Ma torniamo al nostro Sforza, ormai tutti lo chiamano così, fu il da Barbiano, che intervenuto per sedare una discussione troppo accesa sulla spartizione di un bottino tra Muzio, il Tarantola e lo Scorpione (suppongo soprannomi consoni ai personaggi), gli affibbiò quel soprannome, secondo il linguaggio paludato del Ricotti, per farlo tacere gli disse così:Pretendi tu dunque, di sforzare anche me ai tuoi voleri come sforzi i tuoi compagni?Ebbene, abbiti il nome di Sforza.
Francamente penso che Alberico abbia usato un linguaggio piu colorito, pieno di fulmini e saette, comunque la lite finì e il soprannome rimase.
Durante la militanza col da Barbiano conobbe e collaborò con Braccio da Montone, allora amico, ma che in seguito diventerà il suo maggior rivale.

Braccio da Montone con stemma.

Verso il 1399, lo Sforza fu mandato a difendere il castello di Marsciano, e qui conobbe Lucia da Torsano (o Torsani, o Trezani) , una popolana che divenne la madre del futuro primo signore Sforza di Milano, su cui i cronisti posteriori si sbizzarrirono, qualcuno raccontò che fu rapita da Muzio con l'aiuto di Braccio da Montone in un vero assalto all'arma bianca alla casa della fanciulla. Probabilmente le cose andarono in modo più tranquillo, Lucia seguì il suo capitano nelle continue peregrinazioni tra un accampamento e l'altro, finchè, il 23 Luglio 1401, a San Miniato, partorì un maschietto cui fu dato il nome di Francesco (il futuro duca di Milano).

Muzio, che non pensò mai di sposare la ragazza, di umili origini e spiantata, sistemò lei e il piccolo presso la corte estense a Ferrara, con cui probabilmente aveva stipulato un contratto in “raccomandatigia”, il bimbo restò alla corte degli Este fino all'età di 13 anni, fin quando il padre lo richiamò ai suoi accampamenti per avviarlo alla carriera delle armi.
Per altro lo Sforza fu sempre affezionato a Lucia, che andava a trovare quando poteva, prova ne fu che in quel periodo gli nacquero a Ferrara altri 5 figli maschi e 2 femmine, tutti avviati alla carriera militare e tutti, tranne uno, di cui si perdono le tracce, ebbero una buona carriera, ebbe anche altri figli da altre donne, uno di questi, tal Mansueto, di cui si ignora il nome materno, fu abate di S. Lorenzo a Cremona.

Cavaliere

Nel frattempo Muzio aveva continuato a far carriera, ormai aveva una vera compagnia tutta sua, passa al servizio di Perugia, poi di Firenze, dove gli fu ordinato di unirsi alle truppe di Roberto di Baviera, sceso in Italia per aiutare Firenze a contrastare l'espansionismo visconteo, esperimento fallito, Roberto fu sconfitto nel bresciano e ritornò di filato in Germania, simile sorte ebbero i Bolognesi, ultimi alleati di Firenze, che mandò lo Sforza in aiuto, ma fu sconfitto dalle truppe superiori per numero di Jacopo dal Verme, capitano visconteo.
Alla battaglia di Casalecchio di Reno ha il comando di 2000 cavalli contro le truppe di Francesco Gonzaga, le cose si mettono male e interviene in suo soccorso la Compagnia della Rosa di Tommasino Crivelli.
Muzio spinge la sua cavalcatura contro un drappello di fuoriusciti bolognesi, con la lancia uccide un uomo di Giovanni Gozzadini, attaccato da Facino Cane, è sbalzato da cavallo rimanendo privo di sensi, alla fine, è catturato dai viscontei, a suo dire per colpa del Tartaglia, e nasce una forte inimicizia con tale condottiero che durerà tutta la vita.
Liberato dal Barbiano, viene spogliato di armi e calcature con i suoi uomini, deve rientrare a Firenze con 300 cavalieri appiedati.
Nonostante questa sconfitta Firenze lo riconfermò nella ferma, perchè era riuscito a ricondurre l'esercito, pur sconfitto, a Firenze, alla morte di Gian Galeazzo Visconti (1402) gli affidarono le operazioni contro Pisa e in quell'occasione riuscì a battere per due volte il nemico, che dovette arrendersi ai fiorentini.
l'ascesa.
Scaduto il contratto tornò a Ferrara, dove Nicolò III lo assunse a soldo pieno contro Ottobono Terzi, capitano dei Visconti che, dopo la morte di Gian Galeazzo cercava di conquistarsi una sua signoria personale su Parma, Modena e Reggio.
Vi furono diversi scontri, in cui gli estensi parvero prevalere, ma Ottobono applicò una tattica di guerriglia che ebbe notevole successo, riuscirono persino a catturare Micheletto Attendolo, cugino dello Sforza, che riuscì a fuggire alla prigionia dopo qualche mese, finchè l'Ottobono e l'Este decisero di incontrarsi per parlamentare sulla strada di Rubiera, accompagnati solo da due uomini per parte e disarmati.
Il Terzi si presentò accompagnato da due valorosi capitani, Guido Torelli e Antognaccio dall'Aquila, Nicolò III d'este era con Muzio e Micheletto Attendolo.
Ma lo Sforza aveva ben preparato l'agguato, improvvisamente dalla sopravveste estrasse uno stocco e passò Ottobono da parte a parte, Micheletto balzò dal cavallo e lo finì tagliandogli la gola, subito un drappello di sforzeschi apparve da un boschetto vicino e, prima che la scorta del Tezi, che secondo gli accordi attendeva a un miglio, potesse intervenire, la faccenda poteva considerarsi conclusa.
Fù semplice poi fare avanzare le truppe in una “guerra lampo”, le milizie del Terzi, sgomente si sbandarono e il figlio di Ottobono dovette rifugiarsi nella rocca di Parma e poco dopo si arrese, ne ebbe in cambio un castello nel parmigiano e uno stendardo con l'insegna di un diamante (chissà poi perchè).

Muzio_Attendolo_Sforza

Il fatto appena narrato, diciamolo francamente, alla nostra sensibilità moderna fa orrore, ma a quei tempi fruttò allo Sforza una notorieta e un prestigio grandissimo, altri capitani si unirono a lui e la compagnia divenne una delle piu grandi e reputate.

A questo punto, conteso da diverse signorie, Muzio pensò fosse tempo di mettere a frutto la posizione raggiunta, il primo passo fu quello di sposarsi, ovviamente non per amore, solo per convenienza economica e politica, sposa Antonia dei Salimbeni, vedova del signore di Cortona, che gli porta in dote la cittadella di Chiusi con 4 castelli e terre varie.
Prima del matrimonio però deve liberarsi di Lucia, che si trova a Ferrara con i figli, le fornisce una grossa dote e la fa sposare ad un nobile spiantato di Reggio, Marco Fogliani, alla nostra morale sembrerà strano, ma la soluzione accontentò tutti, nessuno si lamentò mai, anzi, nemmeno si sorprese.
Il matrimonio comunque durò poco, Antonia morì nel 1411, l'anno prima aveva dato alla luce un bambino, di nome Bosio, anche lui iniziato alla carriera delle armi, sarà il capostipite degli Sforza di Santa Fiora, famiglia ancora esistente col nome di Cesarini Sforza (quelli dello spumante omonimo).

Stemma Cesarini Sforza

Nello stesso 1411 veniva assoldato da Luigi II d'Angiò, che, appoggiato dall'antipapa Giovanni XXIII e da Firenze mirava al regno di Napoli, sul quale sedeva Ladislao d'Angiò Durazzo, accusato dal francese di avergli usurpato il trono, come compenso il Papa lo creò conte di Cotignola, ma Ladislao rilanciò l'offerta e Muzio, in capo a un anno passò dalla sua parte, truppe e bagagli, divenne così primo barone del regno di Napoli, con feudi in Italia centrale e in Puglia.
Per Ladislao dovette combattere parecchio, soprattutto contro Braccio da Montone, assoldato dall'angioino, ottenne parecchi successi ma, nell'Agosto 1414 all'improvviso Re Ladislao moriva (si mormora avvelenato da agenti fiorentini) e a lui succedeva la sorella Giovanna, di 41 anni, donna fatua, dai trascorsi burrascosi e boccacceschi, e assolutamente inadatta al ruolo che doveva ricoprire, non trovò di meglio che nominare gran camerario del regno (qualcosa di simile ad un primo ministro con pieni poteri) il suo amante, Pandolfello Piscopo, detto Alopo, un popolano che aveva il solo merito di sollazzare la regina.
Muzio, appena ricevuta la notizia della morte del Re, affidate le truppe ai suoi luogotenenti, Micheletto Attendolo e Santo Parente, si precipitò a Napoli.
Giunse nella capitale quando Pandolfello era già in carica e si ritrovò agli arresti col figlio Franceso, che aveva 13 anni e aveva accompagnato il padre.

combattimento medievale

Non ci volle molto all'Alopo per capire che le uniche truppe efficenti del regno erano le sforzesche e venne a più miti consigli, liberò padre e figlio e chiese un accordo, Muzio, che non era un ingenuo e non voleva ritrovarsi solo con Pandolfello contro tutti, disse che l'accordo ci poteva essere solo consultando prima i baroni del regno, con cui intratteneva cordiali rapporti, questi imposero alla Regina un matrimonio, sia pure di facciata, l'Alopo poteva anche restare al suo posto, controllato dai baroni e dallo Sforza, ma ci voleva un principe consorte di nobile stirpe, che godesse i vantaggi del ruolo rinunciando al potere effettivo.

Col regno praticamente assediato, l'accordo fu trovato rapidamente col consenso di tutti, i baroni proposero in tempi record Giovanni, figlio diciottenne del Re di Aragona, ma la navigatissima Giovanna, avanti d'età, si rifiutò di sposare un ragazzino, e alla fine nessuno potè darle torto.
Alla fine fù trovato un individuo di grande nome ma di nulla fortuna, il conte francese Giacomo de la Marche (più noto poi col nome italianizzato di Conte della Marca), un Borbone di nessun prestigio se non di sangue, che, pur di mettere piede in un trono si impegnò ad accettare la posizione di principe consorte, con tanto di contratto matrimoniale.
Attendendo la venuta del futuro sposo, a mò di assicurazione su eventuali sorprese, Pandolfello e la Regina stupularono un accordo con lo Sforza, questi si impegnava ad essere alleato e amico loro, in cambio la Regina gli confermava i titoli feudali e le cariche, con una congrua pensione di 8.000 ducati annui, i feudi di Benevento e Manfredonia e svariati titoli di corte, tra cui quello di conestabile, per suggellare l'alleanza Muzio si sposò la seconda volta, indovinate con chi?
Ovviamente con una sorella di Pandolfello, abbondantemente dotata di feudi e terre, Caterina, detta Catella, era l'anno 1414.
Giunge a Manfredonia Giacomo de la Marche, e si porta dietro tutta la corte di cui può disporre, trova una legazione di baroni guidata da Giulio Cesare di Capua e dal barone di Altavilla, grandi feudatari che avevano avuto un ruolo non irrilevante nella cernita dello sposo, vista l' occasione, hanno organizzato una “fronda”, praticamente un partito che, conservando le forme, si proponga di esautorare la Regina, usando Giacomo come Re fantoccio.
Gli dicono che la situazione del regno impone a loro e a lui di non tener conto del contratto sottoscritto e che la nobiltà intera lo sosterrà, basterà raggiungere Capua, dove è convocato ufficialmente un consiglio dei maggiori feudatari per accoglierlo.
Al conte della Marca la cosa piacque subito, tanto che, mentre erano in viaggio per Capua, incrociando un campo di truppe sforzesche ordinò di attaccarlo, i baroni cominciarono a dubitare della sua sanità mentale, gli fecero notare che, prima di tutto era un semplice accampamento, non era l'intero esercito sforzesco, secondo, lo Sforza era pur sempre il comandante dell'esercito napoletano che difendeva il regno da Firenze a dal Papa e attaccarlo li avrebbe messi subito dalla parte del torto, Terzo, ma politicamente ininfluente, non erano preparati per combattere ed erano inferiori di numero, nonostante la indubbia sorpresa, contro dei professionisti avrebbero perso.
Lo convinsero a proseguire e a raggiungere il consiglio del regno, dove l'azione era stata preparata, e non doveva essere un'azione militare ma altresì un'azione di astuzia politica.
A Capua, come grande feudatario si era presentato anche Muzio Attendolo, secondo prudenza, era arrivato accompagnato da parecchia scorta, ma al consiglio, come tutti gli altri feudatari, si presentò solo.
Secondo i piani, il Conte della Marca annunciò che intendeva prendere i pieni poteri, a ciò richiesto dalla situazione del regno e dall'invito dei maggiori baroni, la maggior parte dei quali restò sconcertata da quell'inaspettata affermazione, Muzio reagì violentemente, Giulio Cesare da Capua gli rispose e i due si avventarono l'uno sull'altro, il de la Marche ebbe gioco facile nel porli agli arresti tutti e due, e tutti e due furono presi e gettati in prigione, ma il da Capua ne usciva poco dopo alla chetichella, lo Sforza se lo dimenticò nelle segrete dove, ad uno ad uno lo raggiunsero, presi di sorpresa, tutti gli uomini della sua scorta.
Sistemata la faccenda, il conte è padrone del campo, è già marito di Giovanna, sposata per procura il 14 Luglio 1415, senza lo Sforza, Pandolfello è senza difese, e infatti viene subito arrestato, mentre si svolgono i festeggiamenti ufficiali per l'avvenuto matrimonio e, appena finiti, il povero Alopo sale sul patibolo, senza che la Regina voglia, o piu probabilmente possa, intervenire in suo favore.
Il popolo tentenna, l'Alopo in fondo aveva le sue simpatie, era uno di loro giunto in alto, per quali meriti aveva poca importanza, d'altronde il de la Marche sembrava avere tutte le carte in mano, ma lo Sforza era una carta che scottava, e Giulio Cesare da Capua, che invece di trovare un Re fantoccio, o almeno un alleato ragionevole, pensava ora di avere a che fare con un pazzo, ben lo sapeva, cercò di convincere il conte che era meglio trovare un accordo e gli ricordò che le truppe Sforzesche obbedivano ancora ai capitani di Muzio, tra i quali il cugino Micheletto e altri parenti e amici di Cotignola, e che i castelli e le terre feudali dello sforza costituivano, per la loro vastità uno stato nello stato, ed erano affidati tutti a parenti stretti e amici fedeli, ma il Conte della Marca probabilmente pensava che i mercenari sforzeschi si sarebbero comportati come tutti gli altri mercenari, una volta privati del loro capo e del soldo, le loro compagnie si sarebbero sciolte e avrebbero cercato un nuovo padrone, e lui sarebbe stato pronto a riaccoglierle sotto il suo comando.
Alla fine il francese decise che i baroni che lo avavano appoggiato fossero un peso e non un vantaggio, a monito loro Giulio Cesare da Capua fu giustiziato.
Intanto l'esecito non si era affatto sbandato, obbediva ai piani d'emergenza che Muzio aveva preparato da tempo, ogni reparto sapeva cosa presidiare o dove radunarsi, la grande maggioranza delle truppe si concentrò nel feudo di Tricarico, che lo Sforza aveva affidato alla sorella Margherita, vedova di Giacomazzo dè Manegoldi (altro nome adatto per un venturiero), originario di Cotignola, capitano e grande amico del fratello, ora sposata ad un altro fedelissimo del fratello, Michelino Catti.

Micheletto Attendolo

Il consiglio dei capitani decise che nessuno, meglio di Margherita potesse assumere il comando nominale delle truppe, con lei formalmente al comando nessuno di loro sarebbe stato superiore all'altro e tutti avrebbero agito senza rivalità.
A Tricarico arrivarono i messaggeri del nuovo Re, pensando di trovare dei capitani indecisi da contattare uno ad uno per poterli riassoldare, e invece trovò Margherita, con tanto di corazza, per far capire che aria tirava, spalleggiata da tutti i capitani fece arrestare gli ambasciatori e ordinò di marciare su Napoli.
Il gioco di Giacomo de la Marche non durò a lungo, le truppe sforzesche avanzavano razziando, saccheggiando e distruggendo i raccolti, cosa che non piaceva né ai contadini, né al popolo che temeva carestie, né tantomeno ai feudatari di quelle terre, alla fine Muzio venne liberato e il francese si mise buono buono in disparte, sperando di conservare il ruolo di principe consorte, ma non passò molto che pensò bene di tornare in Francia e prendere gli ordini francescani fino alla morte.
E così lo Sforza tornò al servizio della Regina, molto piu potente e dotato di prima, continuò la difesa dei confini del regno con successo, finchè arrivò la pace col papato e con Firenze.
La Regina, una volta liberatasi della presenza del marito, fattosi francescano e ripartito per la Francia, già nel 1417, a 44 anni d'età, si trovava un nuovo amante ufficiale, ser Gianni (o Sergiano), di persè né ricco né potente, ma appartenente ad una famiglia ricchissima e potentissima, i Caracciolo, che erano stati tra i baroni che avevano esautorato il de la Marche dai poteri reali e alla fine lo avevano costretto alla fuga.
Con espressione volgare ma realistica, fu chiamato dai napoletani: Il piu caro stallone della Regina.
Nel frattempo erano apparsi nuovi nemici, gli aragonesi, che accampavano diritti sul trono.
E, dalla Sicilia, che gli aragonesi avevano strappato agli Angiò al tempo dei vespri siciliani, la pressione fù continua ma controllabile, al nord del regno di Napoli premeva lo storico rivale dello Sforza, Braccio da Montone, assoldato dagli Aragona, rivale ben piu esperto e temibile.
Nel 1417 il trono di Pietro era vacante e il concilio di Costanza si era riunito per eleggere il nuovo Papa, Braccio approfittò della situazione per occupare Roma e acquisire una posizione di forza presso il nuovo Papa, Napoli reagì subito, Muzio fu mandato a liberare la città eterna e la guerra, piu che un affare di stati fu un regolamento di conti tra lui e Bracio, alla fine , dopo una dura campagna la città fu liberata e il figlio primogenito di Muzio, Francesco, si guadagnò in battaglia gli speroni d'oro, il padre lo nomonò ufficialmente capitano sul campo.
L'11 Novembre 1417 a Costanza veniva eletto Papa Oddone Colonna col nome di Martino V, lo Sforza, appena ricevuta la notizia nominò il fratello del nuovo Papa. Giordano Colonna, governatore di Roma, senza nemmeno cosultare la corte napoletana gli lasciò una nutrita compagnia militare e se ne tornò nei suoi feudi napoletani.
La cosa era ineccepibile e la missione compiuta, ma la gratitudine del Papa fu più per lo Sforza che per la Regina Giovanna e il suo amante Caracciolo.
Muzio, rimasto vedovo, trovò la terza moglie nel 1419, Maria Marzani dei duchi di Sessa, contessa di Celano, addirittura la vedova di un Re, Ludovico II d'Angiò, e del conte di Celano, straricca e dotata di grandi feudi nella “terra di lavoro” campana, non era certo giovane, per i canoni dell'epoca, e nessun cronista disse mai fosse bella, ma era nobile e ricca e, si sa “noblesse oblige”, Muzio ebbe anche da lei un figlio, Carlo, in seguito vescovo di Milano col nome di Gabriele Sforza.
Sempre meno amato a corte, ma sempre piu indispensabile, Muzio riprese la difesa del regno di Napoli, occupandosi soprattutto dell'irriducibile Braccio da Montone, che dal nord premeva e saccheggiava i confini, affidando al figlio Francesco il compito di rintuzzare gli attacchi aragonesi dalla Sicilia, una specie di prova di comando.
Nella primavera del 1422, Francesco Sforza si trovò in una situazione difficile, impegnato da tempo in Calabria contro gli aragonesi del vicerè Giovanni de Ixar, dopo essersi ben comportato nelle battaglie dell'anno precedente, si accorse di aver peccato di ingenuità, aveva trascurato la logistica, cosa fondamentale e che Muzio, allievo del da Barbiano, aveva imparato a considerare come indispensabile per trasformare un'accozzaglia di mercenari in un esercito.

francsesco_sforza

Aveva visto nel padre solo il lato militare puro, non quello organizzativo, si ritrovò in un territorio che pativa la carestia senza regolari rifornimenti, né di cibo né di denaro per il soldo, per giunta gli aragonesi avevano applicato una tattica di guerriglia che impediva uno scontro aperto e veloce, i capitani sotto il suo comando cominciarono a fare confronti tra lui e il padre, probabilmente, se non avessero considerato l'ira di Muzio, se ne sarebbero andati subito, magari passando al nemico, in fondo alcune compagnie assoldate dagli aragonesi erano le stesse che anni o mesi prima avevano militato con loro in altre guerre, e che magari l'anno prossimo sarebbero state alleate o parte dello stesso esercito, e nessuno, moralmente, avrebbe trovato nulla da dire, erano le normali regole della “condotta”.
Alla fine si arrivò alla rottura, gli aragonesi fecero circolare la voce che Muzio fosse morto combattendo contro Braccio da Montone, e questo bastò, persino Piccio da Viterbo e Boldrino da Faenza, messi da Muzio a tutela e consiglio del figlio, suoi vecchi e fidati capitani, se non lo abbandonarono, non lo sostennero abbastanza da impedire il dissolvimento dell'esercito, la grande maggioranza , Paolo da Orvieto, Tinto Michelotti da Perugia, Nanni Spinelli, Cesare Furlano, Cesare Martinengo e Fioramonte Rosso, per citare solo i capitani piu importanti, il che dà un'idea della complessità della struttura di un esercito mercenario quattrocentesco, un puzzle di compagnie più o meno grandi tenute insieme dalle abilità organizzative e/o carismatiche di un generale, lasciarono il campo.
Quando lo Sforza seppe cosa stava accadendo inviò di gran carriera il solito fidatissimo ed abile cugino Micheletto Attendolo, con 400 lance, ma questi al suo arrivo trovò una situazione migliore del previsto, Francesco si era asserragliato con le truppe rimastegli nelle fortificazioni di Rende, vicino a Cosenza, parecchi capitani, quando seppero che Muzio era vivo ritornarono all'ovile e con un esercito reinsaguato era riuscito con la forza a indurre molti altri a rientrare tra i ranghi.
Pare che l'ira di Muzio arrivasse all'ordine di impiccagione per tutti i capitani fedifraghi, ma Francesco si guardò bene dall'eseguirlo, riconoscendo le sue colpe, il che gli portò la riconoscenza e la fiducia di molti, da questa esperienza, che fu comunque una sconfitta, perchè gli aragonesi dilagarono nel regno e nel 1423 giunsero fino a Napoli, imparò molto, non avrebbe mai più ripetuto quegli errori, da quel momento non vi fu pianificatore migliore.
A Napoli gli aragonesi trovano il Caracciolo (lo stallone della Regina) e lo arrestano, ma la Regina è a Castelcapuano e lì si arrocca con le non molte truppe della sua guardia, ma il castello non può resistere per molto, Muzio interviene di corsa, il 27 Maggio 1423 si scontra col nemico a Casanova, ma dopo 7 ore di battaglia la situazione è ancora in stallo, finchè Bertuzzo Serraglio e Santo Parente, con 200 lance riescono ad aggirare il nemico e ad un segnale convenuto, loro e gli sforzeschi attaccano contemporaneamente, gli aragonesi vengono inseguiti fin dentro le mura di Napoli, la Regina viene liberata.

La fine.

Liberato il regno a Sud restava l'eterno nemico Braccio da Montone, che ai confini tentava di conquistarsi un suo dominio personale a scapito della Chiesa e di Napoli.
Il 3 Gennaio 1424 l'esercito partì da Ortona verso l'Abruzzo per regolare definitivamente i conti, e l'eterna diatriba fu regolata, anche se non proprio come lo Sforza si aspettava.
Arrivati al fiume Pescara e trovato un guado (l'attraversamento di un guado in territorio nemico era un'impresa molto pericolosa), furono disturbati da drappelli di balestrieri su barche e appostati sulle rive, che cominciarono a disturbare il passaggio con piogge di verrettoni, Muzio restò sul posto, calò la celata e fece avanzare l'avanguardia con a capo il figlio e Micheletto Attendolo, che si appostarono con i loro cavalieri a difesa per consentire il passaggio del fiume, quindi attraversò, seguito dalle varie compagnie, che mano a mano si attestavano a difesa sulla riva, a questo punto apparvero delle pattuglie di cavalleria nemica, Francesco e Micheletto partirono immediatamente contro di loro, per dare il tempo agli sforzeschi di attestarsi e consentire il passaggio all'intero esercito.
Nel frattempo il fiume, ingrossato dal vicino mare in burrasca alza ed accelera la corrente.
Data la situazione, per la fretta di attraversare si creò una confusione pericolosa, con le truppe ancora sulla riva amica che incalzavano e premevano troppo quelle che stavano attraversando, a questo punto Muzio decise di riattraversare il fiume da solo, per mettere ordine, mentre lo stava facendo si trovò vicino un ragazzo (i cronisti lo definiscono paggio), che travolto dalla corrente chiedeva aiuto, il generale gli allungò il braccio sporgendosi di sella, ma il suo cavallo, di cui è noto il nome, Scalzamacca, ottimo palafreno, ma appunto un cavallo da battaglia, pesante e focoso, sorpreso dal movimento del cavaliere rinculò e scivolò sul fondo viscido, caddero insieme, lo Sforza fu sbalzato di sella e, appesantito dall'armatura affondò trascinato dalle acque, il cavallo si salvò.
Ora, qualcuno dice che il cadavere venne ritrovato, nella maggioranza dei testi si afferma il contrario, e siccome non esiste nessuna sua tomba, sono propenso a dar credito a questi ultimi.

bracciodamontone

Francesco Sforza stava ancora inseguendo le pattuglie braccasche quando seppe dell'annegamento del padre, immediatamente torna al fiume, dove trova una completa confusione, le varie compagnie sono sul punto di sbandarsi, la piramide gerarchica che unisce l'esercito può perdere la sua unità, ma Francesco questa volta è pronto, tornato alla riva sale su una barchetta e attraversa il fiume, appena là raduna tutti i capitani di suo padre e organizza il ritorno con barche di coloro che erano rimasti sull'altra riva riconducendo l'intero esrcito, senza defezioni, ad Ortona.
Giunti al sicuro delle fortificazioni Franceso riesce a prendere il controllo della situazione, riconosce che le varie compagnie avevano prestato servizio per Muzio, quindi chi voleva poteva sentirsi sciolto dalla condotta senza nulla perdere in soldo ed onore (per quanto poteva valere l'onore, almeno come noi lo intendiamo, in una compagnia di venturieri), per ciò che riguardava lui, avrebbe tenuto fede agli impegni del padre, Braccio da Montone era ancora in campo, e se lui l'avesse lasciato vincere senza combattere non avrebbe potuto chiamarsi figlio di suo padre.
Nessuno ebbe il coraggio di andarsene, fu come se Muzio fosse lontano ma ancora vivo e potesse giudicare il loro comportamento.

Muzio Attendolo Sforza 4

Così Francesco si ritrovò a comandare la piu grande ed organizzata compagnia di ventura che un esordiente si sia mai trovato a comandare, e lo fece nel modo giusto, ascoltò il consiglio dei capitani, condonò tutte le punizioni emesse dal padre, lasciò guarnigioni in mani sicure al confine e tornò col grosso dell'esercito a Benevento, per rinnovare accordi e contratti, assumere nuove truppe e compattare l'esercito.
Nell'estate dello stesso anno le operazioni ripresero, ma la Regina Giovanna affidò il comando nominale al Caldora, un comandante di ventura famoso, ma il cui unico merito era quello di avere tradito gli aragonesi, di cui era al soldo quando Muzio Sforza aveva ripreso Napoli, d'altronde Francesco era un outsider, doveva ancora dimostrare quanto valesse al comando, e si adattò.
L'esecito napoletano incontrò quello braccesco mentre questi stava assediando l'Aquila, la battaglia fù furiosa e la sorte fù decisa dalla cavalleria di Franceso e Micheletto Attendolo.
Braccio da Montone (vero nome Andrea Fortebracci), sconfitto, moriva, per le ferite riportate in battaglia, il 5 Giugno 1424, 4 mesi dopo la morte di Muzio.
Francesco con questa vittoria divenne l'erede e il continuatore del padre, di cui ereditò i feudi e l'esercito, che gli permisero piu tardi di diventare il primo Sforza, duca di Milano.

Per chi volesse una storia dettagliata delle attività militari di Muzio consiglio questo sito:
www.condottieridiventura.it/condott...20Cotignola.htm

Fonti:
Storia delle compagnie di ventura in Italia vol.II -III – Ercole Ricotti – edizioni dell'Ariete
Gli Sforza – Giovanni Piazza – Mondadori
I terribili Sforza – Antonio Perria – Longanesi
Gli Estensi – Bruno Rossi – Mondadori
La Storia, il Medioevo, vol. I-II – autori vari – Utet
L'Italia dei secolo d'oro – Montanelli, Gervaso - Rizzoli

Edited by Romeottavio - 12/6/2013, 09:37
 
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view post Posted on 27/1/2013, 21:35
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Paradossalmente l'ho conosciuto meglio leggendo " Il Principe " di Machiavelli dove è indicato come il prototipo del condottiero di ventura.
Ottima la biografia, non ho altro da aggiungere perchè ho scoperto da pochissimo la sua figura
 
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1 replies since 25/1/2013, 18:35   1505 views
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