La Grande Guerra Turca (Guerra austro-turca 1683-1699), 1683-1699 - Fine della minaccia turca sull'Europa.(Parte seconda)

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view post Posted on 5/5/2022, 16:15
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1683-1699 - Fine della minaccia turca sull'Europa.(Parte seconda)
La Grande Guerra Turca (Guerra austro-turca 1683-1699)


Continuazione e rafforzamento della Lega Santa, ridimensionamento dell'impero turco fino al trattato di Karlowitz.

Due mesi dopo la liberazione di Vienna, padre Marco d'Aviano scriveva al cardinale Cybo, segretario di Stato del Papa:
Io penso che adesso sarebbe il tempo di vedere disfatto il turco......e ciò accadrebbe se Sua Santità, siccome ha potuto congiungere insieme le due potenze austriaca e polonica, procurasse di formare il nodo triplicato.........congiungendo con le due potenze anche la terza della Serenissima Repubblica Veneta ed altre ancora.

Il patto principale della Lega Santa era stato firmato come “Societas offensivi et difensivi belli” il 5 Marzo 1684 a Ratisbona e il Papa in San Pietro proclamò la quattordicesima ed ultima Crociata.
Poi si erano uniti all'alleanza tra Venezia, Vienna e Varsavia, i principati tedeschi, il granducato di Toscana, il ducato di Savoia, la Svezia e, nel 1686, con un accordo militare con la Polonia, persino la Russia ortodossa del giovanissimo Pietro il Grande, oltre naturalmente ai Cavalieri di Malta e a quelli di S. Stefano, che erano già permanentemente in guerra coi turchi, aderì anche la Spagna, più formalmente che praticamente, essendo in guerra con la Francia.
Solo Luigi XIV, il Re Sole, da tempo alleato neanche tanto segreto del Sultano, dichiarò al marchese di Pomponne, che gli proponeva l'alleanza: Le crociate sono passate di moda dai giorni di Luigi il Santo, poi, pressato dal Papa, si limitò “obtorto collo” ad accettare una tregua d'armi con la Spagna di 20 anni, ma in realtà la tregua durerà solo 4 anni, e, dato l'improvviso stato di pace, penso più per ingannare il tempo e tener buono il Papa che per altro, progettò persino un accurato piano di sbarco in Egitto, che naturalmente non avvenne mai.

Quanto ci fosse di “crociato” e religioso in questa alleanza e quanto invece di interesse pratico dei diversi stati nel dividersi l'immenso impero turco, traballante dopo la disastrosa sconfitta di Kahlemberg sotto le mura di Vienna è facile immaginarlo, tutte le grandi potenze che partecipavano effettivamente militarmente alla lega, tranne la Svezia, confinavano con l'Impero turco.
Anche i piccoli principi italiani, Savoia e Medici, vantavano pretese, per via di antiche parentele, sul regno di Gerusalemme, in mano ai turchi, più voli pindarici che possibilità reali.

Il piano della lega era semplice, le quattro grandi nazioni confinanti con l'Impero ottomano dovevano attaccare più o meno contemporaneamente dividendo le ancora temibili forze nemiche, Venezia nello scacchiere mediterraneo, l'Austria in quello balcanico, la Polonia in Ucraina e la Russia, che cercava uno sbocco marittimo a sud, sul Mar Nero, in Crimea.
L'azione principale di quella che verrà chiamata la “Grande guerra turca” si svolgerà principalmente in Ungheria e si concluderà solamente nel 1899, ma di questo parlerò più avanti.

Venezia iniziò la guerra con una serie di vittorie clamorose contro un nemico temuto da tre secoli, sebbene dissanguata dalla recente guerra di Candia (Creta), dimostrò di essere ancora una grande potenza, richiamato al comando Francesco Morosini, l'eroe di Candia, che per accettare il comando della flotta rinunciò alla candidatura al dogato, riconquistò con mossa fulminea le basi della Dalmazia, Prevesa, Lepanto, Corinto e le isole ioniche.
Nel 1686 sbarcava in Morea (nome che all'epoca veniva dato al Peloponneso) con un corpo di spedizione internazionale comandato dal conte svedese Otto von Konigsmarck, conquistando ai turchi l'intera penisola greca (veramente dopo lo scavo del canale di Corinto, la si dovrebbe definire isola)
Un simile numero di clamorose vittorie non si era mai visto in tutta la storia della Repubblica,
Il Morosini, che nel 1670 era stato processato e assolto per insubordinazione e appropriazione indebita, ricevette dal Senato veneto il titolo ereditario di “Peloponnesiaco” come gli antichi generali romani vittoriosi, ed ebbe un onore senza precedenti, nel palazzo dogale fu eretto un suo busto, onore mai concesso ad un vivo.
Nell'estate del 1687 sbarcò nel Pireo con forze internazionali e occupò Atene il 27 Settembre, la guarnigione turca si trincerò sull'Acropoli, trasformando il Partenone in un deposito di polveri e munizioni, che, centrato da un proiettile, saltò in aria, pare che il “Peloponnesiaco” non fosse responsabile, in quanto l'artiglieria era sotto il diretto comando del Konigsmarck, ma militarmente l'esplosione delle riserve di munizioni fu un successo, l'Acropoli cadde.
La conquista continuò negli anni successivi, la Grecia fu quasi completamente conquistata, con gran parte della Romania, creando il “Regno di Morea”, che risarciva Venezia della perdita di Cipro.
Anche sul mare, dove si scontrò sovente con la flotta turca comandata dal corsaro algerino Hussein Rais, detto “Mezzomorto” perche i cristiani credettero di averlo ucciso in battaglia diverse volte, ma riappariva sempre più battagliero di prima, alla fine ebbe la meglio e l'Egeo divenne un mare veneziano.
Morosini venne eletto Doge nel 1688, ma conservò il comando supremo militare fino alla morte, avvenuta all'età di 75 anni, il 6 Gennaio 1694 a Nauplia, nel Peloponneso.
La sua corazza, la spada e il fanale della sua ammiraglia, persino il suo amato gatto imbalsamato, sono conservati come reliquie.

Sul fronte russo, tra alterne vicende, l'esercito zarista, comandato personalmente dal giovanissimo Pietro I (Futuro Pietro il Grande, aveva 20 anni) impose al Khanato di Crimea il trattato di pace che pose fine alla guerra, che ebbe come conseguenza la cessione ai russi del porto di Azov, alla foce del Don sul Mar Nero, apertura alla Russia verso il Mediterraneo fino ai giorni nostri, la Crimea per ora restava tartara, ma la testa di ponte verso i mari e i commerci del sud era assicurata, Pietro e la Russia, per ora, potevano considerarsi soddisfatti.

Torniamo ora allo scenario Ungherese/Balcanico, dove l'esercito imperiale, rafforzato anche da volontari italiani, francesi, svedesi, inglesi e spagnoli, comandato da Carlo V di Lorena, approfittando, subito dopo la liberazione di Vienna, della situazione di sbigottimento dell'esercito turco, del vuoto di potere che si era verificato nelle gerarchie turche con l'esecuzione del Gran Visir Kara Mustafà, e dell'avanzata veneziana nel Mediterraneo, era avanzato in Ungheria senza trovare grande resistenza fino a Pest, che era stata rapidamente conquistata nel 1686, ma si fermò davanti alle poderose fortificazioni di Buda, sull'altra riva del Danubio, difesa da 17.000 turchi comandati da Ibrahim detto Shaitan “Il Diavolo”, valoroso e fanatico religioso, l'anno dopo, con la consueta battaglia di minamento delle mura con tunnel di mina e contromina, crollate le mura, i difensori resistettero tra le macerie praticamente fino all'ultimo uomo, finche il loro indomabile comandante non fu infilzato dalla baionetta di un fante austriaco, dei 17.000 difensori turchi ne sopravvissero poco più di 200.
La conquista di Buda-Pest, fu la prima grande vittoria della guerra, alla battaglia aveva partecipato, brandendo un Crocifisso, anche padre Marco d'Aviano, che celebrò il rito di ringraziamento tra le macerie di Buda, la cui conquista apriva la valle danubiana all'avanzata austriaca, a questo punto i turchi reagirono con un contrattacco, poiché oramai pareva possibile all'impero austriaco l'occupazione dell'intera Ungheria.

La battaglia di Mohàcs.

Nell'aprile del 1687 l'armata asburgica, forte di circa 40.000 soldati agli ordini di Carlo di Lorena, avanzò lungo il Danubio, mentre una seconda armata di circa 20.000 uomini, comandati dal principe elettore Massimiliano Emanuele di Baviera, doveva nel contempo portarsi lungo il fiume Tibisco (un affluente del Danubio) verso Petrovaradin.
Le due armate si riunirono sul Danubio a metà luglio. Le truppe turche (circa 60.000 uomini) comandate dal Gran Visir Süleyman Pascià eressero invece un accampamento fortificato di fronte ad Osijek, per difendere la città, tra i due eserciti vi era ora solo il fiume Drava, alla fine di luglio parte delle truppe imperiali attraversarono il fiume e si disposero in ordine di combattimento per provocare i turchi, che tuttavia non reagirono e si limitarono al cannoneggiamento del ponte sulla Drava, in mano austriaca e delle difese sulla riva.
Il duca di Lorena non se la sentì di assalire l'accampamento fortificato turco, giudicando la posizione insostenibile, dato che per numero i due eserciti si equivalevano, decise dopo qualche giorno di lasciare il ponte, allontanandosi dalla città.
Si suppone che il Gran Visir presumesse che il morale delle truppe nemiche fosse ora piuttosto basso e fossero in ritirata, decise quindi di inseguirle.
Le truppe imperiali si fermarono presso Mohàcs, ove all'inizio di agosto stavano erigendo un campo fortificato, anche il Gran Visir allestì presso Dárda un vallo fortificato, che però non era visibile dagli imperiali perché nascosta da fitta vegetazione.
Il duca di Lorena non conosceva quindi l'esatta posizione del grosso delle truppe nemiche, Il mattino del 12 agosto il duca di Lorena decise di muoversi verso una posizione più favorevole in caso di scontro, l'ala destra si mise in movimento e marciò verso ovest in una zona di fitto bosco.
Vedendo l'ala destra del nemico allontanarsi, Süleyman Pascià vide in questo una buona occasione ed attaccò con tutta la sua armata l'ala sinistra nemica, comandata dal principe elettore di Baviera, che stava ancora al riparo delle sue fortificazioni in attesa di marciare anch'egli verso ovest.
Contemporaneamente, 8.000 cavalieri turchi (Sipahi) cercarono di aggirare l'ala sinistra degli imperiali, il principe di Baviera mandò una staffetta al duca di Lorena, che si stava mettendo in marcia verso ovest e si preparò a fronteggiare il doppio assalto ottomano.


La fanteria cristiana resistette ed il generale Piccolomini riuscì a rigettare con i suoi reggimenti di cavalleria il tentativo di aggiramento degli cavalieri turchi, il Gran Visir, rimasto sorpreso dell'intensa resistenza, diede ordine di fermare l'attacco, l'artiglieria turca allora iniziò a bombardare le postazioni degli imperiali, che si misero al riparo nei trinceramenti.
Così l'ala destra poté guadagnare il tempo per ritornare sulle posizioni originali, il duca di Lorena pensò per prima cosa che si dovessero difendere le postazioni difensive, ma infine si lasciò convincere dai suoi ufficiali ad un deciso contrattacco.
Verso le 15 l'esercito imperiale era schierato e anche i turchi ripresero l'attacco, gli spahi, appoggiati dai giannizzeri, tentarono nuovamente di circondare le posizioni dell'ala sinistra dell'esercito imperiale, il margravio del Baden, con 23 squadroni, respinse l'attacco e passò egli stesso al contrattacco, alla testa degli attaccanti, le truppe di cavalleria dei generali Rabuti e del principe Eugenio di Savoia, che fu generosamente premiato, nel gennaio 1688 ricevette il titolo di luogotenente-feldmaresciallo ed accolto nell'Ordine del Toson D'Oro, irruppero nei trinceramenti ottomani, per quanto, a causa delle trincee smontarono dai loro cavalli per combattere a piedi, fu un enorme massacro, si dice che gli imperiali camminassero sui cadaveri turchi che riempivano i fossati di di difesa, cosa credibile, dato che le truppe del Sultano persero 10.000 uomini circa e 66 pezzi d'artiglieria, contro 600 caduti europei, a questo punto la rotta turca fu totale.
Praticamente la battaglia, durata poche ore, era stata combattuta dalla sola ala sinistra dell'esercito imperiale e dalla cavalleria, davanti all'ala destra stava un fitto bosco che impediva un deciso attacco. tuttavia si tentò un accerchiamento sull'ala destra, per tagliare la ritirata nemica, ma i reparti si persero nel bosco, se la manovra fosse riuscita, sarebbe stata un'ecatombe.
Le conseguenze di questa sconfitta travalicarono le pure ragioni militari, provocando un terremoto nel mondo ottomano, il Sultano Mehmet IV fu arrestato ed esautorato da una congiura di palazzo nello stesso anno, 1687, sostenuta dai giannizzeri e dai sipahi, e morì, non si sa come, anche se lo si può immaginare, lo stesso anno, Gli successe il fratello, Solimano II, che nominò Gran Visir Fazil Mustafà Pascià, anche lui un appartenente della famiglia dei Koprulu.
In questa situazione fu facile per gli imperiali la conquista della Slavonia, della Transilvania e dell'intera Ungheria, fin che, dopo la conferma formale del 25 Gennaio 1688 da parte dei principi magiari, la corona ungherese sarà pertinenza esclusiva della successione asburgica.

Così l'avanzata asburgica continuò, con continue scaramucce, in una di queste Eugenio di Savoia fu ferito gravemente durante una carica di cavalleria, ferita che lo costrinse ad un anno di convalescenza, ma fece in tempo a partecipare, nel 1689, all'assedio di Belgrado, capitale serba, da dove tradizionalmente partivano gli attacchi turchi all'Austria, il 6 Settembre, dopo sanguinosissimi combattimenti, la città cadde.
Durante il saccheggio della città, alcuni soldati trovarono una cassetta metallica in una moschea, conteneva la testa del Gran Visir sconfitto a Vienna, Kara Mustafà, imbalsamata, posata su un Corano con la cordicella che lo aveva strangolato, Carlo di Lorena donò il macabro trofeo all'Arcivescovo di Vienna, Leopold von Kollonitsch, la cui testa il Gran Visir defunto aveva promessa in dono al sultano ai tempi dell'assedio di Vienna.
Ricevuto il “grazioso” dono, l'Arcivescovo lo fece esporre, con una solenne cerimonia, nell'arsenale della città.

La guerra con la Francia (Guerra di successione del Palatinato), blocca l'espansione austriaca.
Solo 20 giorni dopo la conquista di Belgrado, la Francia del Cattolicissimo Re Sole rompeva, dopo soli 4 anni, una tregua che doveva durare 20 anni, attaccando gli asburgici sul Reno, che si trovarono quindi a combattere su due fronti.
Padre Marco d,Aviano, che continuava la sua intensa attività diplomatica e di predicazione a favore della Crociata, scrive al Papa: Habbiamo un Turco cristiano peggiore del barbaro.
Seguirono 6 anni di stallo, con continue scaramucce, Eugenio di Savoia fu impegnato sul Reno ed in Italia contro i francesi ed i turchi gradualmente aumentarono la pressione ad est, fino alla riconquista di Belgrado nel 1690, un anno dopo (1691) il sultano Solimano II decedeva ed il suo posto quale capo dell'Impero Ottomano veniva preso da Ahmed II, l'esercito turco, al comando del Gran Visir Fazıl Mustafa Köprülü subì una devastante sconfitta nella battaglia di Slankemen il 19 Agosto 1691, nella quale morì lo stesso Gran Visir, e dovette lasciare l'Ungheria. Nel 1695 il sultano Ahmed II morì e salì al trono Mustafà II, dopo la vittoria turca nella battaglia di Seghedino, si cominciò a temere una nuova minaccia turca, si parlava di un nuovo immenso esercito pronto a tornare sotto le mura di Vienna.
Carlo di Lorena era morto nel 1690, a tamponare la precaria situazione dell'esercito imperiale venne chiamato Eugenio di Savoia, che si era coperto di gloria nella guerra contro i francesi.

Eugenio di Savoia (18 Ottobre 1663 – 21 Aprile 1736)
Il principe, quinto di 7 figli di un ramo cadetto dei Savoia, da ragazzo non aveva avuto una vita facile, il padre, Eugenio Maurizio di Savoia Carignano Soissons, morì quando Eugenio aveva 10 anni e fu affidato alla madre, Olimpia Mancini, nipote del Cardinale Mazarino, si mormora che sia stata la signora ad avvelenare il marito, ella era stata amante del Re Sole per anni, successivamente fu coinvolta nell'affaire des poisons (affare dei veleni), che la indusse ad autoesiliarsi a Bruxelles nel 1680 per sfuggire un processo che l'avrebbe vista condannata, i suoi 7 figli vennero affidati alla suocera, il marchese di Saint Maurice, inviato dai Savoia di Torino per controllare la situazione degli orfani riferì: (Eugenio) frequenta soltanto lacchè e cameriere, quindi gentaglia di ogni sorta, è di bassa statura, vizioso, vivace e sporco.....
La principessa Liselotte del Palatinato così lo descrisse: Ragazzo dissoluto dal quale non si può presagire nulla di buono, naso corto camuso, occhi non brutti, mento lungo, labbro superiore così stretto da costringerlo a tenere sempre la bocca aperta lasciando intravedere due lunghi denti.
La principessa dice anche che amava recitare vestito da donna e che gli amici lo chiamavano “Madame Lucienne”, dal nome della più nota prostituta parigina, aggiunge anche: Non si scomodava per le donne essendo preferibili un bel paio di paggi.
C'è da dire che Eugenio da adulto, pur diventato ricchissimo, potentissimo, famosissimo ed invidiatissimo, in una corte come Vienna, mooolto meno tollerante di quella francese (in Austria era ancora in vigore la legge che condannava al rogo le persone con “disposizioni devianti”), dove era pur sempre straniero e dove la “pruderie” e la maldicenza imperavano, non diede mai adito a pettegolezzi, fu certamente misogino, non si sposò mai, ma nessuno gli attribuì mai amanti, né femminili né tantomeno maschili, l'unico suo vizio apparente era l'enorme consumo di tabacco da naso.
Cresciuto alla corte di Versailles e destinato dalla famiglia e dal Re, data la scarsa figura fisica, alla carriera ecclesiastica, a 15 anni ricevette la tonsura ed entrò in un seminario torinese, dove imparò l'italiano, il tedesco non lo imparò mai nemmeno quando comandava l'esercito austriaco, d'altronde alla corte di Vienna e tra la nobiltà si usava il francese.
Rientrò a Parigi due anni dopo per presentarsi davanti a Luigi XIV per chiedergli il permesso di abbandonare la tonaca e di poter entrare nell'esercito, il Re, dopo aver guardato bene quell'ometto striminzito e bruttarello negò il permesso, Voltaire nel “ Il secolo di Luigi XIV “ scriverà: Molti anni dopo, quando Eugenio diventerà l'invitto condottiero dell'esercito austriaco, il sovrano francese avrà modo di mordersi le mani per aver perduto un uomo di tal fatta.
Il 26 Luglio 1683 Eugenio ed il principe Louis Armand de Contì, novello sposo di una figlia del Re Sole, fuggirono da Parigi vestiti da donna, decisi ad arruolarsi nell'esercito austriaco contro i turchi, bisogna dire che il Savoia aveva saputo pochi giorni prima della morte del fratello Luigi Giulio, ucciso in combattimento dai turchi alla testa del suo reggimento di dragoni.
I due fuggiaschi furono raggiunti a Francoforte da un inviato del Re, che minacciò la confisca di tutti i beni, Eugenio di beni non ne aveva, anzi, non aveva il becco di un quattrino e quindi nulla da perdere, se non la benevolenza, già scarsissima, del Re, il Contì invece da perdere aveva molto e decise di tornare, non prima di aver donato all'amico un anello d'oro e tutto il denaro che aveva sul posto, con questo denaro il nostro “eroe in erba” il 14 Agosto giungeva a Ratisbona, dove la Dieta dell'Impero era radunata in permanenza (Vienna era sotto assedio).
Si presentò all'Imperatore chiedendo di essere arruolato nel suo esercito, Leopoldo probabilmente, davanti a quel ragazzino basso ed ossuto ebbe la stessa impressione del Re Sole, tempo dopo vedendolo armato a cavallo disse: Somiglia più a un fantino che a un guerriero, ma nella situazione in cui si trovava al momento, chiunque avesse un cavallo e una spada doveva essere ben accetto, e lo arruolò come “Prince volontaire”, assegnandolo come tale, col rango di ufficiale subalterno, al reggimento del fratello morto, con questo Eugenio si coprì per la prima volta di gloria nella carica vittoriosa della battaglia di Kahlemberg.

Eugenio di Savoia assume il comando dell'esercito.

Arriva al campo di Kolluth, nella bassa Ungheria il 12 Luglio 1697, vestito come 14 anni prima, quando era arrivato al suo primo reggimento, uniforme da campagna realizzata con tessuto da saio monacale con bottoni di stagno, i soldati lo avevano soprannominato “Piccolo cappuccino”, non aveva e no avrebbe mai cambiato quell'uniforme in guerra, forse per scaramanzia, e così vestito, col grado di Feldmaresciallo, assunse il comando supremo nei Balcani e, accompagnato dal suo stato maggiore, molto piu elegante di lui, passò in rassegna le truppe, degli 80.000 soldati “sulla carta” nel teatro balcanico erano presenti solo 3.142 , questa fu l'occasione per una delle scarsissime battute di spirito del Savoia: Bene, con me fanno 3.143, poi scisse all'Imperatore: Se il nemico mi concede il tempo di riunire l'esercito di Vostra Maestà avrò, con l'aiuto divino, buone speranze di amareggiarlo, in un modo o nell'altro
Leopoldo non era altrettanto ottimista, la situazione dell'armata era pessima, era composta prevalentemente da mercenari, molti dei quali arruolati contro la loro volontà o addirittura scelti fra delinquenti comuni, inoltre, le paghe previste erano in cronico ritardo di mesi e mesi e quindi l'entusiasmo o lo spirito di obbedienza e sacrificio erano ridotti al lumicino, sapeva che il Sultano Mustafà II aveva radunato ad Istanbul 150.000 uomini, il fiorfiore dell'esercito turco, perfettamente equipaggiati ed organizzati, alla fine di Agosto con questa imponente armata, da lui personalmente guidata il Sultano si diresse verso ovest, l'Imperatore, conscio dell'inferiorità e dell'impreparazione del proprio esercito, ordinò quindi al Savoia di addestrare le truppe e mettersi sulla difensiva, anzi, di non prendere alcuna iniziativa senza il consenso dello Stato Maggiore, il Savoia farà esattamente il contrario.
Gli ottomani, arrivati a Belgrado, situata alla confluenza della Sava nel Danubio, potevano dirigersi in due diverse direzioni, l'esercito austriaco si trovava sulla riva destra del Danubio, i turchi parevano puntare su Petervaradino (ora Novi Sad), da qui potevano proseguire per Budapest, oppure deviare verso il fiume Tibisco e la Transilvania, così facendo avrebbero impedito al Savoia il ricongiungimento con le forze imperiali transilvane, aggirando il Savoia.
Conscio del pericolo il feldmaresciallo decise di ignorare gli ordini imperiali e, nonostante l'impreparazione e l'inferiorità numerica si mosse verso Petervaradino.
Urgevano informazioni, Eugenio promise ai suoi ussari un premio di 50 ducati se avessero catturato un prigioniero, solo il 5 Settembre potè avere informazioni concrete, l'esercito turco si era diviso in due tronconi, uno, comandato dal Gran Visir, aveva attraversato il Tibisco dirigendosi verso Petervaradino, mentre il Sultano era ancora sulla riva destra, il Savoia decise di andargli incontro sfruttando l'antico vallo del limes romano, che seguiva il fiume, per non essere individuati dalla cavalleria nemica, almeno così riferisce a Leopoldo, stimando nella lettera le forze nemiche in 40/50.000 uomini, in realtà pare fossero circa 100.000 con 160 cannoni, gli austriaci 45/55.000 con 82 cannoni, se fosse sincero nel riferire i numeri o volesse una argomentazione per giustificare un attacco che diversamente sarebbe apparso suicida, non lo so.

La battaglia di Zenta, 11 Settembre 1697.
Il 10 Settembre 1697 gli ussari catturano addirittura un Pascià, interrogato personalmente dal Savoia, rivela che il Sultano stà attraversando il Tibisco per ricongiungersi con l'avanguardia comandata dal Gran Visir, l'occasione, pur rischiosissima, balza agli occhi del principe italiano, ora o mai più.
Eugenio non convoca il consiglio di guerra, non tiene conto o non legge neppure l'ultimo messaggio arrivato dall'Imperatore, applica quella che era sempre stata la sua regola, lui è sul campo, lui ha la responsabilità del comando e solo lui deve e può valutare la situazione reale, è questione di ore, se fossero arrivati qualche ora più tardi avrebbero trovato il nemico ordinato e mobile, in condizione di resistere e ricongiungesi , giunge a Zenta nel tardo pomeriggio dell'11 Settembre, mentre i turchi stanno ancora attraversando il fiume, i cannoni e i carriaggi erano ancora nell'accampamento, pronti al trasferimento, senza un attimo di riposo ordina l'attacco in ordine di battaglia, riferirà all'Imperatore: Feci tosto avanzare l'armata e in ordine di battaglia giunsi sino a mezzo tiro di cannone (circa 500 m.), mi rimanevano non più di due ore di luce.
A questo punto inizia la battaglia combattuta, non cercherò di ricostruirla, lascerò che sia Eugenio di Savoia stesso a raccontarla, trascrivendo parte del suo rapporto all'Imperatore:
“Anche la cavalleria arrivò insieme alla fanteria e sparò d'accordo con la fanteria come non ho mai visto in vita mia........la cavalleria dovette smontare e aprirsi il passo.......il soldato era così inferocito che quasi non dava quartiere, sebbene vi fossero Pascià e ufficiali che promettevano molto denaro. Perciò pochissimi furono i prigionieri, estratti da sotto i morti e dalle barche.”
L'intero accampamento turco fu catturato praticamente intatto, il Sultano fuggì con la sua scorta di Sipahi lasciando tutto, Eugenio riceve persino da un ufficiale turco il sigillo personale del Sultano, oggetto mai catturato prima, la vittoria fu assoluta e definitiva, le perdite, su cui una volta tanto tutte le fonti sostanzialmente concordano furono di 25/30.000 per i Turchi e 28 ufficiali e 401 soldati per gli europei, più circa 1.500 feriti.

La battaglia fu l'ultimo grande scontro della Grande Guerra Turca, gli ottomani non minacceranno più l'occidente, poco più di un anno dopo, trascorso tra schermaglie e piccoli assestamenti di confine, la Sublime porta accetterà il criterio dell'”Ubi possidetis”, che sancisce come “indissolubili confini” le terre occupate dai contendenti al momento della firma.
Il trattato di Carlowitz, firmato il 26 Gennaio 1699, durerà 219 anni, fino alla dissoluzione dei due imperi, Asburgico e Turco, alleati nella Prima Guerra Mondiale, alla cui fine saranno dissolti insieme.
Pochi mesi dopo la firma del trattato, il 13 Agosto, moriva Padre Marco d'Aviano, la sua missione poteva dirsi compiuta.
Chi afferma che la Storia “di tanti secoli fà” serve a poco, se ha avuto la pazienza “Di Giobbe” di leggere questa storia, riconoscerà i semi purtroppo germoglianti anche in anni recenti, che ancora oggi stanno dando frutti molto problematici.

Fonti:
L'Ultima Crociata – Arrigo Petacco – Mondadori
Gli Asburgo II° vol. - Vittoria Vandano – Mondadori
I Savoia – Adelaide Murgia – Mondadori
Il Seicento e il Re Sole , l'Europa e il mondo nel secolo di ferro – Autori vari – UTET
Pietro il Grande – Henry Troyat – RCS libri s.p.a.
I Savoia – Gianni Oliva – Mondadori
 
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