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view post Posted: 5/5/2022, 16:43 Thutmosis III° il Conquistatore, creatore dell'impero egiziano. - Storia Antica
Thutmosis III° il Conquistatore, creatore dell'impero egiziano.

Il Faraone che portò l'Egitto alla massima espansione.

Non si può dire che i media e le TV non si interessino della Storia egiziana, purtroppo però sono alquanto ripetitivi, centinaia di articoli e documentari su Tutankhamon, un faraone ragazzino che storicamente ha ben poca importanza, qualche decina su Ramses II, spesso definito il più grande, ma che combattè solo una grande battaglia, che non vinse neppure, pareggiò, e una decina su Hatsepsut, il faraone donna, matrigna del nostro faraone, di cui vidi solo un documentari breve sulla battaglia di Megiddo tempo fa su Rai Storia.
Dato che personalmente considero il nostro “eroe” come il faraone più importante delle Storia egizia, cercherò di tracciarne le vicende storiche, ovviamente, trattandosi di argomenti di oltre 3.000 anni fa, con poche fonti certe e continue scoperte archeologiche, non pretendo di scrivere un trattato storico, esporrò solo l'idea che mi sono fatto di questo faraone attraverso molte letture negli anni, ogni correzione o aggiunta saranno graditissime.

Verso il 1780 a.c. finì il Medo Regno, il paese si trovo in una situazione di anarchia totale, frammentato in molti territori governati da principi locali, è il seondo periodo intermedio, che si concluderà intorno al 1550 a.c.
Durante questo periodo vi fu l'invasione degli Hyksos (letteralmente capi stranieri), che finì quando i principi di Tebe gradualmente presero la supremazia nel paese e riuscirono ad espellerli.

Inizia così il Nuovo Regno, i primi faraoni della XVII dinastia posero la capitale a Tebe e scelsero come nume tutelare Amon, diversamente dalla maggior parte dei precedenti faraoni furono Re guerrieri, che cercarono di allargare le frontiere a protezione della valle del Nilo per prevenire future invasioni
Il più grande di tutti fu Thutmosis III (o Thutmose o Thutmosi), il suo nome significa “figlio di Toth, il dio della sapienza e della scrittura”, ed era il figlio di Thutmosis II e di una sposa secondaria di nome Iside.
Intorno al 1580 a.c. muore il padre, senza avere avuto figli maschi dalla Grande Sposa Reale Hatsepsut, che aveva partorito solo una femmina, Neferure, quindi il nostro diventa l'erede, è ancora un bambino, avviato a diventare sacerdote nel tempio di Karnak, fu lui stesso a narrare con un'iscrizione nel tempio l'episodio che lo consacrò.
Il dio Amon, portato in processione dai sacerdoti, si sarebbe fermato davanti al principe proclamandolo Faraone, se sia leggenda o solo un trucco dei potenti sacerdoti di Amon e della sua matrigna, che ne sarebbe diventata la tutrice, per legalizzare subito il regno ed evitare disordini dinastici, non saprei dire, ma propenderei per la seconda versione.
Così non comincia il regno di Thutmosis, bensì quello della matrigna Hatsepsut, che, ormai sicura del proprio indiscusso potere, sette anni dopo si proclama addirittura Faraone, arriverà addirittura a farsi ritrarre con la barba posticcia.
Per giustificare la presa di potere, la Regina usò il mito della teogamia, affermando di essere nata dal matrimonio sacro di sua madre Iahmes con Amon, che per l'occasione aveva assunto le sembianze di Thutmosis I.

I rapporti in questo periodo tra Thutmosis e Hatsepsut sono controversi e fonte di dibattito acceso tra gli storici, alcuni ipotizzano un matrimonio del principe con Neferure, unica figlia della regina, se così fu l'ipotesi è credibilissima, il matrimonio avrebbe legittimato la dinastia, ma pare che la principessa fosse morta giovanissima.
Comunque la “faraona” riuscì a governare fino alla morte, avvenuta quando il figlioccio aveva 22 anni, alcuni dicono che fece distruggere le immagini della matrigna, ma visitando il tempio funerario di Deir Al Bahari di sue immagini ne ho viste a decine, è vero che il nuovo Faraone fece smantellare alcune costruzioni sue, ma lo fece verso la fine del regno, per far posto alle sue nuove costruzioni, altre poi furono distrutte dalla smania di celebrità di Ramses II, che fece cancellare il nome di molti predecessori, compreso Thutmosis, da molti monumenti per metterci il suo.
Conosciamo il nome della Grande Sposa Reale, Meritre-Hatsepsut (nonostante il nome non aveva legami diretti con la “faraona”) ed ovviamente del figlio e successore, Amenofi II, conosciamo anche i nomi di 3 altre mogli secondarie, Menui, Merti e Menhet.

Thutmosis III governò per 32 anni, che si ricordano come i più gloriosi della Storia Egizia, i moderni lo chiameranno Napoleone d'Egitto, 17 campagne vittoriose permisero l'egemonia su un grande territorio, dall'Egitto all'Eufrate.
Pare che il periodo della sovrana precedente fosse stato un periodo di pace, con poca attenzione per l'esercito ed i confini, costantemente minacciati ad est da Mitanni ed i suoi alleati, subito il primo anno d i regno il nuovo Re inizia la prima campagna che ci perviene dal racconto di Amenemheb, un suo ufficiale che lo accompagnò in tutte le azioni di guerra.

L'obbiettivo è la città di Megiddo, a nord di Gerusalemme, contro una coalizione delle città stato palestinesi e da una coalizioni di principi siriani vassalli di Mitanni, uno stato egemone che si estendeva tra Turchia, Iran e Siria ed erano guidati dal Re di Qadesh.
L'esercito egiziano partì da Tebe ed in 10 giorni arrivò al Sinai, fino al deserto del Negev, dove precedentemente erano state mandate carovane per nascondere riserve d'acqua onde permettere una veloce e sicura traversata del deserto all'esercito, che si compì in 11 giorni raggiungendo Gaza, una tattica veloce e di sorpresa, si aprivano 3 strade, 2 più, comode, pianeggianti ma scoperte, la terza un percorso tra forre e strettoie, più breve e nascosto, ma anche più pericoloso in caso di imboscate, ed i carri da guerra smontati dovevano essere trasportati a braccia, nonostante questo Thutmosis non ebbe dubbi, di prima mattina gli egiziani entrarono nella gola ed uscirono alle spalle di Megiddo, con l'accampamento nemico davanti ignaro di tutto, al primo avvistamento dei carri egiziani alla carica, i soldati siriani abbandonarono tutto, carri, cavalli e tutto l'accampamento, falciati durante la fuga dai carri, rifugiandosi al fine nella città.
Ebbe inizio un assedio che durò 7 mesi, la città fu circondata da un fossato e il Faraone costruì un accampamento sopraelevato e fortificato, da cui contro giorno e notte la città.
Alla fine Megiddo si arrese, i principi si sottomisero, promisero che non avrebbero mai più combattuto contro l'Egitto e fu permesso loro di andarsene disarmati, il bottino fu enorme, lasciata una guarnigione Thutmosis tornò a Tebe, sul tempio di Karnak i bassorilievi lo mostrano mentre offre parte del bottino ad Amon.

Nelle 4 campagne successive si assicurò i porti della costa fenicia, il Re di Qadesh ed i principi siriani si erano nuovamente ribellati, il controllo della costa e dei porti permettevano all'Egitto un rapido e sicuro trasporto delle truppe, e rendeva anche più agevole il trasporto dei rifornimenti, dei rinforzi e dei bottini di guerra.

La bontà di questa strategia si vide con la sesta campagna, il Re sbarcò nel porto di Simyra, in Fenicia, e da li marciò velocemente su Qadesh conquistando la cittadella, dopo la vittoria tornò a Tebe portando con se i figli dei principi siriani come ostaggi, per educarli in Egitto, ospitati in un'ala del palazzo reale.

L'ottava campagna, segnò la massima estensione dell'impero egizio, sconfitti ed assoggettati ormai tutti gli alleati del Re di Mitanni, dopo un'attenta preparazione dei piani di guerra,era il momento di attaccare direttamente il regno dell'Eufrate.
Il Re seguì una strada costiera da Gaza a Biblos con un esercito ridotto, e li si unì all'esercito arrivato via mare, nella città fenicia aveva fatto già preparare delle imbarcazioni fluviali in legno di cedro, su carri trainati da buoi, e l'esercito partì verso l'Eufrate.
Dopo varie battaglie a nord di Aleppo l'esercito nemico, con 300 (le cifre in questi casi vanno prese con le molle) principi siriani, si diedero alla fuga, rifugiandosi al di là del fiume, grazie alle barche gli egiziani lo attraversarono e continuarono l'inseguimento fin nel cuore di Mitanni, per attestarsi poi all'Eufrate.
Con queste azioni l'Egitto raggiungeva l'espansione massima mai raggiunta, il fiume rappresentava ormai il confine nord del paese dei Faraoni.
Al suo ritorno il Re ricevette l'omaggio dei principi siriani, del Re di Babilonia e del Re degli Ittiti.
Delle altre campagne sappiamo poco, l'ultima fu per domare un'ennesima rivolta del Re di Mitanni,del Re di Qadesh e di quello di Tunip, oggi in Siria occidentale.
Thutmosis giunge a Simyra per mare, e velocemente si diresse su Tunip, che conquistò rapidamente, poi si diresse a Qadesh, che mise nuovamente sotto assedio.
Amenemheb, fedele assistente del Faraone, ci racconta un curioso episodio, gli assediati durante una sortita liberarono una giumenta in calore per sconvolgere i cavalli dei carri egiziani, ma Amenemheb sceso dal carro la abbatte, portando la coda al Faraone come trofeo.
Alla fine ordinò l'attacco finale e la città cadde definitivamente, dopo questa vittoria nessuno poteva misurarsi con la potenza militare egiziana, l'Egitto controllava un territorio che andava dalla quarta cataratta del Nilo fino all'Eufrate, il che, all'epoca, lo rendeva il paese più potente del mondo.

Anche nel settore civile fu grande, passò alla Storia come uno dei maggiori costruttori, ingrandì il tempio di Kanak, iniziato nel Medio Regno e già profondamente ampliato da suo nonno Thutmosis I, che aveva eretto il tempio di Amon col “sancta sanctorum”.
Per rendere grazia delle sue vittorie e della sua ascesa al trono ad Amon, compì un gran numero di interventi, innalzò il sesto pilone, trasformò le costruzioni volute dalla matrigna nel Palazzo di Maat, e sostituì la cosiddetta “cappella della Regina con il luogo di riposo della barca di Amon, usata nelle processioni.
Ad est costruì il suo tempio giubilare, detto Akh Menu “Luminoso di monumenti” dedicato ad Amon Ra ed al potere del Faraone garante dell'Ordine Cosmico, impersonato dalla dea Maat, una delle sale del tempio era decorata di bassorilievi con i cartigli di 57 Faraoni che lo avevano preceduto, una lista storicamente importantissima, oggi si trova al Louvre.
Eresse anche il settimo pilone e due obelischi, uno lo vidi ad Istanbull nell'ippodromo, lo portò lì l'imperatore Teodosio nel IV sec. d.c., scavò anche il lago sacro.
Costruì inoltre diversi templi in tutto l'Egitto.

Morì all'età di circa 57 anni, la sua mummia è conservata al Museo del Cairo.
Il figlio, Amenhotep II, si limitò a mantenere i confini, stipulando la pace con il regno di Mitanni, e nessun altro Faraone li ampliò mai.

Fonti:
Maite Mascort Roca Thutmosis III il Conquistatore – Storica National Geographic

W.C. Hayes, Egitto: la politica interna da Thutmosis I alla morte di Amenophis III - Il Medio Oriente e l'Area Egea 1800 - 1380 a.C. circa II, I, Il Saggiatore, Milano,

Franco Cimmino, Hašepsowe e Tuthmosis III, Milano, Rusconi
view post Posted: 5/5/2022, 16:15 La Grande Guerra Turca (Guerra austro-turca 1683-1699) - Storia Moderna
1683-1699 - Fine della minaccia turca sull'Europa.(Parte seconda)
La Grande Guerra Turca (Guerra austro-turca 1683-1699)


Continuazione e rafforzamento della Lega Santa, ridimensionamento dell'impero turco fino al trattato di Karlowitz.

Due mesi dopo la liberazione di Vienna, padre Marco d'Aviano scriveva al cardinale Cybo, segretario di Stato del Papa:
Io penso che adesso sarebbe il tempo di vedere disfatto il turco......e ciò accadrebbe se Sua Santità, siccome ha potuto congiungere insieme le due potenze austriaca e polonica, procurasse di formare il nodo triplicato.........congiungendo con le due potenze anche la terza della Serenissima Repubblica Veneta ed altre ancora.

Il patto principale della Lega Santa era stato firmato come “Societas offensivi et difensivi belli” il 5 Marzo 1684 a Ratisbona e il Papa in San Pietro proclamò la quattordicesima ed ultima Crociata.
Poi si erano uniti all'alleanza tra Venezia, Vienna e Varsavia, i principati tedeschi, il granducato di Toscana, il ducato di Savoia, la Svezia e, nel 1686, con un accordo militare con la Polonia, persino la Russia ortodossa del giovanissimo Pietro il Grande, oltre naturalmente ai Cavalieri di Malta e a quelli di S. Stefano, che erano già permanentemente in guerra coi turchi, aderì anche la Spagna, più formalmente che praticamente, essendo in guerra con la Francia.
Solo Luigi XIV, il Re Sole, da tempo alleato neanche tanto segreto del Sultano, dichiarò al marchese di Pomponne, che gli proponeva l'alleanza: Le crociate sono passate di moda dai giorni di Luigi il Santo, poi, pressato dal Papa, si limitò “obtorto collo” ad accettare una tregua d'armi con la Spagna di 20 anni, ma in realtà la tregua durerà solo 4 anni, e, dato l'improvviso stato di pace, penso più per ingannare il tempo e tener buono il Papa che per altro, progettò persino un accurato piano di sbarco in Egitto, che naturalmente non avvenne mai.

Quanto ci fosse di “crociato” e religioso in questa alleanza e quanto invece di interesse pratico dei diversi stati nel dividersi l'immenso impero turco, traballante dopo la disastrosa sconfitta di Kahlemberg sotto le mura di Vienna è facile immaginarlo, tutte le grandi potenze che partecipavano effettivamente militarmente alla lega, tranne la Svezia, confinavano con l'Impero turco.
Anche i piccoli principi italiani, Savoia e Medici, vantavano pretese, per via di antiche parentele, sul regno di Gerusalemme, in mano ai turchi, più voli pindarici che possibilità reali.

Il piano della lega era semplice, le quattro grandi nazioni confinanti con l'Impero ottomano dovevano attaccare più o meno contemporaneamente dividendo le ancora temibili forze nemiche, Venezia nello scacchiere mediterraneo, l'Austria in quello balcanico, la Polonia in Ucraina e la Russia, che cercava uno sbocco marittimo a sud, sul Mar Nero, in Crimea.
L'azione principale di quella che verrà chiamata la “Grande guerra turca” si svolgerà principalmente in Ungheria e si concluderà solamente nel 1899, ma di questo parlerò più avanti.

Venezia iniziò la guerra con una serie di vittorie clamorose contro un nemico temuto da tre secoli, sebbene dissanguata dalla recente guerra di Candia (Creta), dimostrò di essere ancora una grande potenza, richiamato al comando Francesco Morosini, l'eroe di Candia, che per accettare il comando della flotta rinunciò alla candidatura al dogato, riconquistò con mossa fulminea le basi della Dalmazia, Prevesa, Lepanto, Corinto e le isole ioniche.
Nel 1686 sbarcava in Morea (nome che all'epoca veniva dato al Peloponneso) con un corpo di spedizione internazionale comandato dal conte svedese Otto von Konigsmarck, conquistando ai turchi l'intera penisola greca (veramente dopo lo scavo del canale di Corinto, la si dovrebbe definire isola)
Un simile numero di clamorose vittorie non si era mai visto in tutta la storia della Repubblica,
Il Morosini, che nel 1670 era stato processato e assolto per insubordinazione e appropriazione indebita, ricevette dal Senato veneto il titolo ereditario di “Peloponnesiaco” come gli antichi generali romani vittoriosi, ed ebbe un onore senza precedenti, nel palazzo dogale fu eretto un suo busto, onore mai concesso ad un vivo.
Nell'estate del 1687 sbarcò nel Pireo con forze internazionali e occupò Atene il 27 Settembre, la guarnigione turca si trincerò sull'Acropoli, trasformando il Partenone in un deposito di polveri e munizioni, che, centrato da un proiettile, saltò in aria, pare che il “Peloponnesiaco” non fosse responsabile, in quanto l'artiglieria era sotto il diretto comando del Konigsmarck, ma militarmente l'esplosione delle riserve di munizioni fu un successo, l'Acropoli cadde.
La conquista continuò negli anni successivi, la Grecia fu quasi completamente conquistata, con gran parte della Romania, creando il “Regno di Morea”, che risarciva Venezia della perdita di Cipro.
Anche sul mare, dove si scontrò sovente con la flotta turca comandata dal corsaro algerino Hussein Rais, detto “Mezzomorto” perche i cristiani credettero di averlo ucciso in battaglia diverse volte, ma riappariva sempre più battagliero di prima, alla fine ebbe la meglio e l'Egeo divenne un mare veneziano.
Morosini venne eletto Doge nel 1688, ma conservò il comando supremo militare fino alla morte, avvenuta all'età di 75 anni, il 6 Gennaio 1694 a Nauplia, nel Peloponneso.
La sua corazza, la spada e il fanale della sua ammiraglia, persino il suo amato gatto imbalsamato, sono conservati come reliquie.

Sul fronte russo, tra alterne vicende, l'esercito zarista, comandato personalmente dal giovanissimo Pietro I (Futuro Pietro il Grande, aveva 20 anni) impose al Khanato di Crimea il trattato di pace che pose fine alla guerra, che ebbe come conseguenza la cessione ai russi del porto di Azov, alla foce del Don sul Mar Nero, apertura alla Russia verso il Mediterraneo fino ai giorni nostri, la Crimea per ora restava tartara, ma la testa di ponte verso i mari e i commerci del sud era assicurata, Pietro e la Russia, per ora, potevano considerarsi soddisfatti.

Torniamo ora allo scenario Ungherese/Balcanico, dove l'esercito imperiale, rafforzato anche da volontari italiani, francesi, svedesi, inglesi e spagnoli, comandato da Carlo V di Lorena, approfittando, subito dopo la liberazione di Vienna, della situazione di sbigottimento dell'esercito turco, del vuoto di potere che si era verificato nelle gerarchie turche con l'esecuzione del Gran Visir Kara Mustafà, e dell'avanzata veneziana nel Mediterraneo, era avanzato in Ungheria senza trovare grande resistenza fino a Pest, che era stata rapidamente conquistata nel 1686, ma si fermò davanti alle poderose fortificazioni di Buda, sull'altra riva del Danubio, difesa da 17.000 turchi comandati da Ibrahim detto Shaitan “Il Diavolo”, valoroso e fanatico religioso, l'anno dopo, con la consueta battaglia di minamento delle mura con tunnel di mina e contromina, crollate le mura, i difensori resistettero tra le macerie praticamente fino all'ultimo uomo, finche il loro indomabile comandante non fu infilzato dalla baionetta di un fante austriaco, dei 17.000 difensori turchi ne sopravvissero poco più di 200.
La conquista di Buda-Pest, fu la prima grande vittoria della guerra, alla battaglia aveva partecipato, brandendo un Crocifisso, anche padre Marco d'Aviano, che celebrò il rito di ringraziamento tra le macerie di Buda, la cui conquista apriva la valle danubiana all'avanzata austriaca, a questo punto i turchi reagirono con un contrattacco, poiché oramai pareva possibile all'impero austriaco l'occupazione dell'intera Ungheria.

La battaglia di Mohàcs.

Nell'aprile del 1687 l'armata asburgica, forte di circa 40.000 soldati agli ordini di Carlo di Lorena, avanzò lungo il Danubio, mentre una seconda armata di circa 20.000 uomini, comandati dal principe elettore Massimiliano Emanuele di Baviera, doveva nel contempo portarsi lungo il fiume Tibisco (un affluente del Danubio) verso Petrovaradin.
Le due armate si riunirono sul Danubio a metà luglio. Le truppe turche (circa 60.000 uomini) comandate dal Gran Visir Süleyman Pascià eressero invece un accampamento fortificato di fronte ad Osijek, per difendere la città, tra i due eserciti vi era ora solo il fiume Drava, alla fine di luglio parte delle truppe imperiali attraversarono il fiume e si disposero in ordine di combattimento per provocare i turchi, che tuttavia non reagirono e si limitarono al cannoneggiamento del ponte sulla Drava, in mano austriaca e delle difese sulla riva.
Il duca di Lorena non se la sentì di assalire l'accampamento fortificato turco, giudicando la posizione insostenibile, dato che per numero i due eserciti si equivalevano, decise dopo qualche giorno di lasciare il ponte, allontanandosi dalla città.
Si suppone che il Gran Visir presumesse che il morale delle truppe nemiche fosse ora piuttosto basso e fossero in ritirata, decise quindi di inseguirle.
Le truppe imperiali si fermarono presso Mohàcs, ove all'inizio di agosto stavano erigendo un campo fortificato, anche il Gran Visir allestì presso Dárda un vallo fortificato, che però non era visibile dagli imperiali perché nascosta da fitta vegetazione.
Il duca di Lorena non conosceva quindi l'esatta posizione del grosso delle truppe nemiche, Il mattino del 12 agosto il duca di Lorena decise di muoversi verso una posizione più favorevole in caso di scontro, l'ala destra si mise in movimento e marciò verso ovest in una zona di fitto bosco.
Vedendo l'ala destra del nemico allontanarsi, Süleyman Pascià vide in questo una buona occasione ed attaccò con tutta la sua armata l'ala sinistra nemica, comandata dal principe elettore di Baviera, che stava ancora al riparo delle sue fortificazioni in attesa di marciare anch'egli verso ovest.
Contemporaneamente, 8.000 cavalieri turchi (Sipahi) cercarono di aggirare l'ala sinistra degli imperiali, il principe di Baviera mandò una staffetta al duca di Lorena, che si stava mettendo in marcia verso ovest e si preparò a fronteggiare il doppio assalto ottomano.


La fanteria cristiana resistette ed il generale Piccolomini riuscì a rigettare con i suoi reggimenti di cavalleria il tentativo di aggiramento degli cavalieri turchi, il Gran Visir, rimasto sorpreso dell'intensa resistenza, diede ordine di fermare l'attacco, l'artiglieria turca allora iniziò a bombardare le postazioni degli imperiali, che si misero al riparo nei trinceramenti.
Così l'ala destra poté guadagnare il tempo per ritornare sulle posizioni originali, il duca di Lorena pensò per prima cosa che si dovessero difendere le postazioni difensive, ma infine si lasciò convincere dai suoi ufficiali ad un deciso contrattacco.
Verso le 15 l'esercito imperiale era schierato e anche i turchi ripresero l'attacco, gli spahi, appoggiati dai giannizzeri, tentarono nuovamente di circondare le posizioni dell'ala sinistra dell'esercito imperiale, il margravio del Baden, con 23 squadroni, respinse l'attacco e passò egli stesso al contrattacco, alla testa degli attaccanti, le truppe di cavalleria dei generali Rabuti e del principe Eugenio di Savoia, che fu generosamente premiato, nel gennaio 1688 ricevette il titolo di luogotenente-feldmaresciallo ed accolto nell'Ordine del Toson D'Oro, irruppero nei trinceramenti ottomani, per quanto, a causa delle trincee smontarono dai loro cavalli per combattere a piedi, fu un enorme massacro, si dice che gli imperiali camminassero sui cadaveri turchi che riempivano i fossati di di difesa, cosa credibile, dato che le truppe del Sultano persero 10.000 uomini circa e 66 pezzi d'artiglieria, contro 600 caduti europei, a questo punto la rotta turca fu totale.
Praticamente la battaglia, durata poche ore, era stata combattuta dalla sola ala sinistra dell'esercito imperiale e dalla cavalleria, davanti all'ala destra stava un fitto bosco che impediva un deciso attacco. tuttavia si tentò un accerchiamento sull'ala destra, per tagliare la ritirata nemica, ma i reparti si persero nel bosco, se la manovra fosse riuscita, sarebbe stata un'ecatombe.
Le conseguenze di questa sconfitta travalicarono le pure ragioni militari, provocando un terremoto nel mondo ottomano, il Sultano Mehmet IV fu arrestato ed esautorato da una congiura di palazzo nello stesso anno, 1687, sostenuta dai giannizzeri e dai sipahi, e morì, non si sa come, anche se lo si può immaginare, lo stesso anno, Gli successe il fratello, Solimano II, che nominò Gran Visir Fazil Mustafà Pascià, anche lui un appartenente della famiglia dei Koprulu.
In questa situazione fu facile per gli imperiali la conquista della Slavonia, della Transilvania e dell'intera Ungheria, fin che, dopo la conferma formale del 25 Gennaio 1688 da parte dei principi magiari, la corona ungherese sarà pertinenza esclusiva della successione asburgica.

Così l'avanzata asburgica continuò, con continue scaramucce, in una di queste Eugenio di Savoia fu ferito gravemente durante una carica di cavalleria, ferita che lo costrinse ad un anno di convalescenza, ma fece in tempo a partecipare, nel 1689, all'assedio di Belgrado, capitale serba, da dove tradizionalmente partivano gli attacchi turchi all'Austria, il 6 Settembre, dopo sanguinosissimi combattimenti, la città cadde.
Durante il saccheggio della città, alcuni soldati trovarono una cassetta metallica in una moschea, conteneva la testa del Gran Visir sconfitto a Vienna, Kara Mustafà, imbalsamata, posata su un Corano con la cordicella che lo aveva strangolato, Carlo di Lorena donò il macabro trofeo all'Arcivescovo di Vienna, Leopold von Kollonitsch, la cui testa il Gran Visir defunto aveva promessa in dono al sultano ai tempi dell'assedio di Vienna.
Ricevuto il “grazioso” dono, l'Arcivescovo lo fece esporre, con una solenne cerimonia, nell'arsenale della città.

La guerra con la Francia (Guerra di successione del Palatinato), blocca l'espansione austriaca.
Solo 20 giorni dopo la conquista di Belgrado, la Francia del Cattolicissimo Re Sole rompeva, dopo soli 4 anni, una tregua che doveva durare 20 anni, attaccando gli asburgici sul Reno, che si trovarono quindi a combattere su due fronti.
Padre Marco d,Aviano, che continuava la sua intensa attività diplomatica e di predicazione a favore della Crociata, scrive al Papa: Habbiamo un Turco cristiano peggiore del barbaro.
Seguirono 6 anni di stallo, con continue scaramucce, Eugenio di Savoia fu impegnato sul Reno ed in Italia contro i francesi ed i turchi gradualmente aumentarono la pressione ad est, fino alla riconquista di Belgrado nel 1690, un anno dopo (1691) il sultano Solimano II decedeva ed il suo posto quale capo dell'Impero Ottomano veniva preso da Ahmed II, l'esercito turco, al comando del Gran Visir Fazıl Mustafa Köprülü subì una devastante sconfitta nella battaglia di Slankemen il 19 Agosto 1691, nella quale morì lo stesso Gran Visir, e dovette lasciare l'Ungheria. Nel 1695 il sultano Ahmed II morì e salì al trono Mustafà II, dopo la vittoria turca nella battaglia di Seghedino, si cominciò a temere una nuova minaccia turca, si parlava di un nuovo immenso esercito pronto a tornare sotto le mura di Vienna.
Carlo di Lorena era morto nel 1690, a tamponare la precaria situazione dell'esercito imperiale venne chiamato Eugenio di Savoia, che si era coperto di gloria nella guerra contro i francesi.

Eugenio di Savoia (18 Ottobre 1663 – 21 Aprile 1736)
Il principe, quinto di 7 figli di un ramo cadetto dei Savoia, da ragazzo non aveva avuto una vita facile, il padre, Eugenio Maurizio di Savoia Carignano Soissons, morì quando Eugenio aveva 10 anni e fu affidato alla madre, Olimpia Mancini, nipote del Cardinale Mazarino, si mormora che sia stata la signora ad avvelenare il marito, ella era stata amante del Re Sole per anni, successivamente fu coinvolta nell'affaire des poisons (affare dei veleni), che la indusse ad autoesiliarsi a Bruxelles nel 1680 per sfuggire un processo che l'avrebbe vista condannata, i suoi 7 figli vennero affidati alla suocera, il marchese di Saint Maurice, inviato dai Savoia di Torino per controllare la situazione degli orfani riferì: (Eugenio) frequenta soltanto lacchè e cameriere, quindi gentaglia di ogni sorta, è di bassa statura, vizioso, vivace e sporco.....
La principessa Liselotte del Palatinato così lo descrisse: Ragazzo dissoluto dal quale non si può presagire nulla di buono, naso corto camuso, occhi non brutti, mento lungo, labbro superiore così stretto da costringerlo a tenere sempre la bocca aperta lasciando intravedere due lunghi denti.
La principessa dice anche che amava recitare vestito da donna e che gli amici lo chiamavano “Madame Lucienne”, dal nome della più nota prostituta parigina, aggiunge anche: Non si scomodava per le donne essendo preferibili un bel paio di paggi.
C'è da dire che Eugenio da adulto, pur diventato ricchissimo, potentissimo, famosissimo ed invidiatissimo, in una corte come Vienna, mooolto meno tollerante di quella francese (in Austria era ancora in vigore la legge che condannava al rogo le persone con “disposizioni devianti”), dove era pur sempre straniero e dove la “pruderie” e la maldicenza imperavano, non diede mai adito a pettegolezzi, fu certamente misogino, non si sposò mai, ma nessuno gli attribuì mai amanti, né femminili né tantomeno maschili, l'unico suo vizio apparente era l'enorme consumo di tabacco da naso.
Cresciuto alla corte di Versailles e destinato dalla famiglia e dal Re, data la scarsa figura fisica, alla carriera ecclesiastica, a 15 anni ricevette la tonsura ed entrò in un seminario torinese, dove imparò l'italiano, il tedesco non lo imparò mai nemmeno quando comandava l'esercito austriaco, d'altronde alla corte di Vienna e tra la nobiltà si usava il francese.
Rientrò a Parigi due anni dopo per presentarsi davanti a Luigi XIV per chiedergli il permesso di abbandonare la tonaca e di poter entrare nell'esercito, il Re, dopo aver guardato bene quell'ometto striminzito e bruttarello negò il permesso, Voltaire nel “ Il secolo di Luigi XIV “ scriverà: Molti anni dopo, quando Eugenio diventerà l'invitto condottiero dell'esercito austriaco, il sovrano francese avrà modo di mordersi le mani per aver perduto un uomo di tal fatta.
Il 26 Luglio 1683 Eugenio ed il principe Louis Armand de Contì, novello sposo di una figlia del Re Sole, fuggirono da Parigi vestiti da donna, decisi ad arruolarsi nell'esercito austriaco contro i turchi, bisogna dire che il Savoia aveva saputo pochi giorni prima della morte del fratello Luigi Giulio, ucciso in combattimento dai turchi alla testa del suo reggimento di dragoni.
I due fuggiaschi furono raggiunti a Francoforte da un inviato del Re, che minacciò la confisca di tutti i beni, Eugenio di beni non ne aveva, anzi, non aveva il becco di un quattrino e quindi nulla da perdere, se non la benevolenza, già scarsissima, del Re, il Contì invece da perdere aveva molto e decise di tornare, non prima di aver donato all'amico un anello d'oro e tutto il denaro che aveva sul posto, con questo denaro il nostro “eroe in erba” il 14 Agosto giungeva a Ratisbona, dove la Dieta dell'Impero era radunata in permanenza (Vienna era sotto assedio).
Si presentò all'Imperatore chiedendo di essere arruolato nel suo esercito, Leopoldo probabilmente, davanti a quel ragazzino basso ed ossuto ebbe la stessa impressione del Re Sole, tempo dopo vedendolo armato a cavallo disse: Somiglia più a un fantino che a un guerriero, ma nella situazione in cui si trovava al momento, chiunque avesse un cavallo e una spada doveva essere ben accetto, e lo arruolò come “Prince volontaire”, assegnandolo come tale, col rango di ufficiale subalterno, al reggimento del fratello morto, con questo Eugenio si coprì per la prima volta di gloria nella carica vittoriosa della battaglia di Kahlemberg.

Eugenio di Savoia assume il comando dell'esercito.

Arriva al campo di Kolluth, nella bassa Ungheria il 12 Luglio 1697, vestito come 14 anni prima, quando era arrivato al suo primo reggimento, uniforme da campagna realizzata con tessuto da saio monacale con bottoni di stagno, i soldati lo avevano soprannominato “Piccolo cappuccino”, non aveva e no avrebbe mai cambiato quell'uniforme in guerra, forse per scaramanzia, e così vestito, col grado di Feldmaresciallo, assunse il comando supremo nei Balcani e, accompagnato dal suo stato maggiore, molto piu elegante di lui, passò in rassegna le truppe, degli 80.000 soldati “sulla carta” nel teatro balcanico erano presenti solo 3.142 , questa fu l'occasione per una delle scarsissime battute di spirito del Savoia: Bene, con me fanno 3.143, poi scisse all'Imperatore: Se il nemico mi concede il tempo di riunire l'esercito di Vostra Maestà avrò, con l'aiuto divino, buone speranze di amareggiarlo, in un modo o nell'altro
Leopoldo non era altrettanto ottimista, la situazione dell'armata era pessima, era composta prevalentemente da mercenari, molti dei quali arruolati contro la loro volontà o addirittura scelti fra delinquenti comuni, inoltre, le paghe previste erano in cronico ritardo di mesi e mesi e quindi l'entusiasmo o lo spirito di obbedienza e sacrificio erano ridotti al lumicino, sapeva che il Sultano Mustafà II aveva radunato ad Istanbul 150.000 uomini, il fiorfiore dell'esercito turco, perfettamente equipaggiati ed organizzati, alla fine di Agosto con questa imponente armata, da lui personalmente guidata il Sultano si diresse verso ovest, l'Imperatore, conscio dell'inferiorità e dell'impreparazione del proprio esercito, ordinò quindi al Savoia di addestrare le truppe e mettersi sulla difensiva, anzi, di non prendere alcuna iniziativa senza il consenso dello Stato Maggiore, il Savoia farà esattamente il contrario.
Gli ottomani, arrivati a Belgrado, situata alla confluenza della Sava nel Danubio, potevano dirigersi in due diverse direzioni, l'esercito austriaco si trovava sulla riva destra del Danubio, i turchi parevano puntare su Petervaradino (ora Novi Sad), da qui potevano proseguire per Budapest, oppure deviare verso il fiume Tibisco e la Transilvania, così facendo avrebbero impedito al Savoia il ricongiungimento con le forze imperiali transilvane, aggirando il Savoia.
Conscio del pericolo il feldmaresciallo decise di ignorare gli ordini imperiali e, nonostante l'impreparazione e l'inferiorità numerica si mosse verso Petervaradino.
Urgevano informazioni, Eugenio promise ai suoi ussari un premio di 50 ducati se avessero catturato un prigioniero, solo il 5 Settembre potè avere informazioni concrete, l'esercito turco si era diviso in due tronconi, uno, comandato dal Gran Visir, aveva attraversato il Tibisco dirigendosi verso Petervaradino, mentre il Sultano era ancora sulla riva destra, il Savoia decise di andargli incontro sfruttando l'antico vallo del limes romano, che seguiva il fiume, per non essere individuati dalla cavalleria nemica, almeno così riferisce a Leopoldo, stimando nella lettera le forze nemiche in 40/50.000 uomini, in realtà pare fossero circa 100.000 con 160 cannoni, gli austriaci 45/55.000 con 82 cannoni, se fosse sincero nel riferire i numeri o volesse una argomentazione per giustificare un attacco che diversamente sarebbe apparso suicida, non lo so.

La battaglia di Zenta, 11 Settembre 1697.
Il 10 Settembre 1697 gli ussari catturano addirittura un Pascià, interrogato personalmente dal Savoia, rivela che il Sultano stà attraversando il Tibisco per ricongiungersi con l'avanguardia comandata dal Gran Visir, l'occasione, pur rischiosissima, balza agli occhi del principe italiano, ora o mai più.
Eugenio non convoca il consiglio di guerra, non tiene conto o non legge neppure l'ultimo messaggio arrivato dall'Imperatore, applica quella che era sempre stata la sua regola, lui è sul campo, lui ha la responsabilità del comando e solo lui deve e può valutare la situazione reale, è questione di ore, se fossero arrivati qualche ora più tardi avrebbero trovato il nemico ordinato e mobile, in condizione di resistere e ricongiungesi , giunge a Zenta nel tardo pomeriggio dell'11 Settembre, mentre i turchi stanno ancora attraversando il fiume, i cannoni e i carriaggi erano ancora nell'accampamento, pronti al trasferimento, senza un attimo di riposo ordina l'attacco in ordine di battaglia, riferirà all'Imperatore: Feci tosto avanzare l'armata e in ordine di battaglia giunsi sino a mezzo tiro di cannone (circa 500 m.), mi rimanevano non più di due ore di luce.
A questo punto inizia la battaglia combattuta, non cercherò di ricostruirla, lascerò che sia Eugenio di Savoia stesso a raccontarla, trascrivendo parte del suo rapporto all'Imperatore:
“Anche la cavalleria arrivò insieme alla fanteria e sparò d'accordo con la fanteria come non ho mai visto in vita mia........la cavalleria dovette smontare e aprirsi il passo.......il soldato era così inferocito che quasi non dava quartiere, sebbene vi fossero Pascià e ufficiali che promettevano molto denaro. Perciò pochissimi furono i prigionieri, estratti da sotto i morti e dalle barche.”
L'intero accampamento turco fu catturato praticamente intatto, il Sultano fuggì con la sua scorta di Sipahi lasciando tutto, Eugenio riceve persino da un ufficiale turco il sigillo personale del Sultano, oggetto mai catturato prima, la vittoria fu assoluta e definitiva, le perdite, su cui una volta tanto tutte le fonti sostanzialmente concordano furono di 25/30.000 per i Turchi e 28 ufficiali e 401 soldati per gli europei, più circa 1.500 feriti.

La battaglia fu l'ultimo grande scontro della Grande Guerra Turca, gli ottomani non minacceranno più l'occidente, poco più di un anno dopo, trascorso tra schermaglie e piccoli assestamenti di confine, la Sublime porta accetterà il criterio dell'”Ubi possidetis”, che sancisce come “indissolubili confini” le terre occupate dai contendenti al momento della firma.
Il trattato di Carlowitz, firmato il 26 Gennaio 1699, durerà 219 anni, fino alla dissoluzione dei due imperi, Asburgico e Turco, alleati nella Prima Guerra Mondiale, alla cui fine saranno dissolti insieme.
Pochi mesi dopo la firma del trattato, il 13 Agosto, moriva Padre Marco d'Aviano, la sua missione poteva dirsi compiuta.
Chi afferma che la Storia “di tanti secoli fà” serve a poco, se ha avuto la pazienza “Di Giobbe” di leggere questa storia, riconoscerà i semi purtroppo germoglianti anche in anni recenti, che ancora oggi stanno dando frutti molto problematici.

Fonti:
L'Ultima Crociata – Arrigo Petacco – Mondadori
Gli Asburgo II° vol. - Vittoria Vandano – Mondadori
I Savoia – Adelaide Murgia – Mondadori
Il Seicento e il Re Sole , l'Europa e il mondo nel secolo di ferro – Autori vari – UTET
Pietro il Grande – Henry Troyat – RCS libri s.p.a.
I Savoia – Gianni Oliva – Mondadori
view post Posted: 5/5/2022, 16:09 Battaglia di Vienna 1683-1699 - Storia Moderna
1683-1699 - Fine della minaccia turca sull'Europa


Questo periodo segnò una pietra miliare nella Storia della Civiltà Occidentale, con esso si segneranno confini che, stabiliti nel trattato di Carlowitz nel 1699 dopo la battaglia di Zenta, vinta da Eugenio di Savoia, dureranno fino al 1918.
Come sempre, per problemi di spazio cercherò di essere conciso, ma data l'importanza del periodo che tratterò, che influenzerà la Storia dei balcani e i rapporti col mondo islamico fino ai giorni d'oggi, anche abbastanza completo nel racconto dei fatti, quini dividerò il lavoro in due parti, la prima riguarderà i due assedi di Vienna e la battaglia che segnerà l'inizio della decadenza turcoislamica in Europa, la seconda, meno conosciuta nel suo insieme dal grande pubblico, e per me ed il mio impegno molto più impegnativa, l'assestamento territoriale, che porterà i confini, non solo territoriali, ma anche culturali e/o religiosi, più o meno ai giorni nostri.

Prologo.

L'assedio di Vienna del 1683 non fu il primo, Solimano il Magnifico per gli occidentali, il legislatore o il conquistatore per i turchi, nel 1529 aveva posto d'assedio la città, arrivando con l'avanguardia della cavalleria fino a Ratisbona, la massima espansione mai raggiunta dai turchi in Europa,
Vienna nell'immaginario islamico era definita “la mela d'oro” mentre Roma era “la mela Rossa”, tutte e due frutti da cogliere, Solimano, pronipote di Maometto II, che aveva preso Costantinopoli, detta originariamente “Nuova Roma” e ne aveva fatto la capitale dei turchi, voleva completare l'opera del trisnonno, se fosse stata conquistata la prima mela, la via per cogliere anche la seconda sarebbe stata aperta, in un'Europa disunita dalla riforma luterana e in preda a lotte religiose tra principi e popoli, la cosa era fattibile.
Il tentativo non ebbe successo, nonostante un esercito di 150/200.000 uomini, i 20.000 difensori riuscirono a resistere finche, con l'avvicinarsi dell'autunno e anche dell'esercito di soccorso, che era giunto sino a Linz, guidato dall'arciduca Ferdinando d'Austria, il sultano decise la ritirata strategica, i cristiani la chiamarono sconfitta turca, ma fu solo una ritirata strategica, forse anche una neanche tanto parziale vittoria turca, dato che Ferdinando accettò, in cambio di un armistizio, di versare un “amichevole tributo” annuo alla Sublime Porta, e le conquiste islamiche, Belgrado in testa, restarono tali.
L'espansione continuò nel mediterraneo, diventato un mare musulmano, fino alla battaglia di Lepanto, nel 1571.
Le minacce a Vienna continuarono nel 1532, nel 1566 e nel 1596, però non arrivarono ad assediare seriamente la città.
Dovranno passare 150 anni dal primo assedio, e il secondo sarà più terribile e pericoloso del primo.

La ricostituzione della Lega Santa.

La guerra dei trent'anni si era conclusa nel 1648, e aveva lasciato il centronord europeo formalmente unito, ma di fatto diviso, la pace di Vestfalia, con l'accordo “Cuius regio, eius religio”(Il principe decideva la religione dei suoi territori) aveva sancito la libertà di religione, ma le dispute religiose, in forma più o meno pacifica continuavano, e la collaborazione tra questi stati, sia pur contro il nemico comune, l'Islam, era problematica.
Luigi XIV, il “cattolicissimo (per bolla papale) Re Sole era alleato, pur se non formalmente col sultano, un indebolimento austriaco non poteva che tornargli utile, a Vienna si temette un suo attacco alle spalle, forse scongiurato dalle velate minacce papali di scomunica.
Imperatore era Leopoldo I, giunto al trono per la morte del fratello maggiore, da giovane voleva farsi prete, timido, religiosissimo, amante della caccia, buon padre di famiglia, ma completamente digiuno di politica ed arte militare,
L'esercito austriaco dopo la guerra dei trent'anni era stato ridimensionato e, pur affidato a Carlo di Lorena, buon comandante allievo del grande Montecuccoli, morto 3 anni prima, non poteva competere da solo con l'immensa potenza ottomana.
La Spagna non era più la potenza dei tempi di Carlo V o Filippo II, era in guerra con la Francia e aspettarsi aiuti da quella parte era inutile.
Anche con la Polonia i rapporti erano tesi, essendo il trono polacco elettivo (Lo stato polacco era una democrazia nobiliare) era stato eletto Re Jan Sobieski, contro il volere di Vienna, che aveva candidato proprio Carlo di Lorena, sconfitto alle elezioni, questo fatto aveva lasciato malumori e rivalità tra l'Impero e il Regno Polacco.
La Germania risentiva ancora delle distruzioni della guerra dei trent'anni e soprattutto della terribile pestilenza del 1679.
Insomma, politicamente e militarmente gli Asburgo erano deboli e isolati.
Venezia, l'unico alleato sicuro per sicura convenienza, tempestava tutti con i rapporti del suo servizio segreto, il migliore del mondo, che parlavano di preparativi ad Istanbul di un enorme esercito, che presto sarebbe calato sull'Europa.

Tra l'inazione di Leopoldo e la tepidezza dei regni europei, l'unico che capì subito la drammaticità della situazione fu Benedetto Odescalchi, Papa Innocenzo XI, che, volendo ricostituire la Lega Santa che più di un secolo prima aveva vinto a Lepanto, conscio dell'enorme difficoltà di una simile missione, la affidò all'uomo giusto, padre Marco d'Aviano, questi era un frate cappuccino, un friulano nato nel 1631, a 16 anni aveva abbandonato il seminario per combattere a Creta contro i turchi, tornato, era stato ordinato sacerdote, era un formidabile oratore, incantava le masse e gli venivano persino attribuite proprietà taumaturgiche, aveva guarito, da non so che malattia Carlo di Lorena, che lo aveva raccomandato all'Imperatore, questi, dopo averlo conosciuto, lo scelse come confessore ed ascoltato consigliere, a lui il Papa affidò l'apparentemente impossibile incarico di ricostituire la Lega Santa.

A Istanbul regnava Maometto IV (Mehmed), come Leopoldo gran cacciatore ma come lui scarsamente predisposto al comando e alle preoccupazioni del potere, come da tempo d'uso nella corte del Topkapi , aveva affidato la gestione pratica dell'immenso impero turco a Kara Mustafà, che succedeva al cognato, Ahmed Koprulu, come gran visir della Sublime Porta, i Koprulu detenevano il titolo da generazioni.
L'impero ottomano aveva raggiunto un'estensione paragonabile solo all'antico impero romano, ed era in quel periodo praticamente senza nemici che potessero aggredirlo, poteva contare su risorse umane e militari non paragonabili a qualsiasi stato europeo, e Mustafà pensò bene di cogliere l'occasione di prendere la “Mela d'oro”.

Il 31 Marzo 1683, gli ambasciatori turchi consegnavano la dichiarazione di guerra a Vienna, varrebbe la pena di trascriverla tutta, a me pare di una pretenziosità che rasenta la comicità involontaria, ma ve la risparmio in parte e ne faccio un riassunto.

Io Mehmed, che domino i cieli, glorioso e onnipotente Imperatore di (segue una caterva di paesi e titoli altisonanti)......diamo a te la nostra parola che stiamo portando nel tuo insignificante paese la guerra, con 13 Re, 1.3000.000 guerrieri, calpesteremo senza pietà e misericordia il tuo piccolo paese sotto gli zoccoli dei nostri cavalli e lo metteremo a ferro e fuoco.

Nel frattempo il Sultano e il Pascià avevano lasciato Istanbul, i cronisti, secondo me esagerando molto nei numeri, dato che altre truppe vassalle si sarebbero aggiunte durante la marcia, dicono accompagnati dai rispettivi harem e da un esercito di 220.000 uomini, più 50.000 artigiani e addetti alla sussistenza, il 3 Maggio raggiungevano Belgrado, dove Kara Mustafà assunse il comando effettivo della campagna, mente il Sultano se ne tornava comodamente al Topkapi, non prima di avere nominato Re d'Ungheria Imre Tokoli, capo di una fazione antiasburgica magiara chiamata “I crociati” , la Storia e la politica sono strane, per non dire che spesso si beffano della logica, nella battaglia di Vienna questi “Crociati” ungheresi combatteranno con i mussulmani contro i cristiani.
A Vienna cominciarono ad arrivare masse di ungheresi in fuga, che parlavano di un esercito turco immenso, di cavalleria tartara che assaliva paesi, uccideva e razziava tutto ciò che poteva, la città, pur difesa da solide mura recentemente ristrutturate secondo i canoni dell'architettura militare italiana, era scarsamente difesa da truppe e il panico si impossessò di tutti, Johan Peter, consigliere aulico militare dell'imperatore scrisse: Tutto ciò che era possibile trovare in fatto di mezzi di trasporto e di gente che desse una mano, costava il decuplo, battelli, carri, carrozze, cavalli, ronzini che mal si reggevano.........tutto quanto veniva utilizzato per rendere possibile la fuga.
Il 7 Luglio scappava anche l'Imperatore Leopoldo e il Peter scrive: Le Loro Maestà fuggirono a tutta velocità con una piccola scorta e il loro viaggio fu tutt'altro che piacevole, Lungo la strada furono insultate a gran voce dalla plebaglia che non conosceva più ritegno e dalla cosiddetta gente semplice dei campi. Un oltraggio che, tuttavia, le Loro Maestà hanno sopportato con la massima pazienza senza prendersi vendetta di nessuno.(certo che il consigliere aulico aveva una bella faccia tosta ed una lunghissima coda di paglia, arrivavano le avanguardie tartare, loro scappavano e volevano anche essere applauditi?)

Il 14 Luglio 1683 l'enorme esercito turco (come sempre le stime numeriche sono imprecise, specialmente parlando di epoche ormai antiche, prendete i numeri che darò con le molle) di circa 150/200.000 uomini, aveva occupato i territori asburgici ad est della capitale, di questi si suppone che 80/120,000 posero direttamente l'assedio
La città era difesa da circa 10.000 militari di truppa ed altrettanti cittadini in armi, comandati dal conte Ernst Rudiger von Stahrenberg.,

I popolani che avevano sbeffeggiato Leopoldo, che non aveva saputo prevedere gli eventi, non avevano tutti i torti, la città non aveva riserve alimentari, due mesi di assedio bastarono per ridurre Vienna alla fame più nera, sparirono prima i gatti, poi i cani ed infine anche i topi, e Carlo di Lorena, con un esercito insufficiente, non poteva far altro che disturbare i rifornimenti nemici e attendere i rinforzi.

Per fortuna il padre Marco d'Aviano, col completo appoggio dell'azione del Papa che raccoglieva denaro e adesioni e di Leopoldo, viaggiando continuamente e inviando missive ovunque, era riuscito a raccogliere appoggi dai principi tedeschi, anche da alcuni protestanti, abilissimo predicatore riuscì persino ad attirare nella Lega Santa la Polonia/Lituania di Jan Sobieski, che con Leopoldo e Carlo di Lorena aveva pessimi rapporti, alla fine aderirono: Austria, Confederazione Polacco-Lituana, vari principi minori del Sacro Romano Impero, Baviera, Sassonia, Franconia, Svevia, Venezia e persino i cosacchi della Zaporizhia.
A poco a poco il piccolo esercito austriaco, circa 15.000 uomini, si rimpolpò, l'ultimo ad arrivare fu Sobieski, a tappe forzate, con 3.000 ussari alati di scorta, arrivò, precedendo il grosso delle sue truppe, in tutto 30.000, soprattutto cavalleria.
Il Comando formalmente apparteneva a Leopoldo, o, in suo nome, a Carlo di Lorena, ma padre Marco aveva fatto un bel lavoro, Leopoldo alla fine gli scrisse: Vostra Paternità mi creda ch'io voglia andare alla testa del mio esercito........ma se il Re di Polonia avesse qualche difficoltà di convenire con la mia persona..........io non voglio che la mia venuta sia danno a Vienna......io farò quindi il viaggio lentamente per non essere d'impedimento alle operazioni.
Anche Carlo di Lorena, che considerava il frate un santo che lo aveva guarito da una grave malattia e ne seguiva i consigli, chinò il capo, e all'arrivo di Sobieski, quella rivalità che tutti temevano si sciolse al sole, scesero ambedue da cavallo, si abbracciarono davanti a padre Marco d'Aviano e Carlo cedette il comando al Re, riconoscendone il rango superiore, e da quel momento ne fu il fedele luogotenente.
Padre Marco pote scrivere a Leopoldo; Lodato Iddio, Vostra Maestà Cesarea si consoli, che passa buonissima corrispondenza tra i due principi e fra i capi, tutti stanno uniti e si cammina con buonissimo ordine.
Il giorno della battaglia, alla messa mattutina, Jan e Carlo saranno gli umili chierichetti di padre Marco.
Il giorno prima della battaglia un giovane polacco che lavorava a Vienna attraversò fortunosamente le linee turche portando un messaggio disperato di Starhemberg, comandante di Vienna: Non perdete tempo, clementissimo Signore, Vienna laborat in extremis!(praticamente: Vienna sta per cadere), ed era vero, le mine turche avevano sgretolato larghe sezioni di mura, il cui crollo era questione di ore, il messaggero polacco venne rimandato in città, il giorno seguente l'esercito cristiano avrebbe sparato 5 colpi di cannone, da Vienna avrebbero risposto con un lancio di razzi, e subito dopo la battaglia sarebbe cominciata.

Il campo turco.

Kara Mustafà, per sfruttare l'effetto sorpresa e cogliere Vienna impreparata e senza rifornimenti per un lungo assedio, aveva lasciato indietro gli obici di enorme calibro di cui avrebbe potuto disporre, di difficile e lentissimo trasporto, gli ottomani erano abilissimi nell'assedio “di mina”, erano anche coadiuvati da un probabile agente del Re Sole, un ingegnere francese, ex cappuccino rinnegato, che aveva assunto il nome di Islam Ahmed Bey, una volta circondata la città, (si parla di oltre 15.000 tende militari), sicuro che Leopoldo fosse politicamente e militarmente solo, cominciò a costruire trincee e tunnel di mina, per far saltare le mura, ma un soldato austriaco scoprì un nuovo strumento per individuarli, si accorse che alcuni fagioli, posati su un tamburo, improvvisamente si erano messi a saltellare, ci volle poco per capire che non era un piccolo terremoto, si stava scavando sotto di lui, tamburi e fagioli permisero agli austriaci di individuare i tunnel nemici e di realizzare tunnel di contromina, un genere di guerra terribile e rischiosissimo.
Questi attacchi sotterranei continuarono anche durante la battaglia finale, con 10.000 ottomani, che, ormai vicinissimi alla conquista, mentre Sobieski distruggeva il loro esercito, continuavano a minare le mura.
Il gran visir peccò di presunzione, sottovalutò le truppe nemiche e sopravvalutò le proprie, trascurò di porre valli e fortificazioni attorno all'accampamento turco, sicuro dell'enorme superiorità numerica rispetto ai soccorritori, aveva incaricato Murad Giray, Khan dei tartari, di attaccare le truppe europee che dal nord e dall'ovest affluivano a Vienna, ma secondo lo storico turco Silahdar Findiklili, questi tradì, aveva accumulato un grosso bottino razziando il contado ed era stato criticato da Mustafà per l'avidità e la poca attività militare, fatto sta che i polacchi arrivarono a Vienna praticamente indisturbati.

All'alba del 12 Settembre 1683. dalla sommità della collina di Kahlemberg, che sovrasta Vienna, Sobieski e Carlo di Lorena davano l'ordine di inizio della battaglia più grande ed importante di quello che verrà chiamato il “secolo di ferro”, la battaglia di Kahlemberg.

I due eserciti si schierarono sul campo, il Gran Visir si schierò al centro, con a fianco
lo Sheich Vani Mehmed Effendi, un notissimo predicatore musulmano, che arringò le truppe.

La fanteria cristiana avanzò, dotata per la prima volta della baionetta ad anello, che, diversamente da quella a tappo non impediva lo sparo quando innestata, un'innovazione tecnologica di non poco conto per l'epoca, tra attacchi e contrattacchi la battaglia procedeva indecisa, a questo punto Mustafà ordinò alla sua cavalleria un attacco generale, migliaia di sipahi (o spahi, cavalleria semipesante turca) si precipitarono sulle linee nemiche, che cominciarono a cedere, a questo punto il Re di Polonia ordina all'intera cavalleria alleata di attaccare.

Gli ussari alati polacchi.

Prima di continuare il racconto penso sia meglio spiegare quale fu il corpo militare che risolse la battaglia, lo stato Polacco-Lutuano era una democrazia nobiliare in vigore prima in Polonia e in seguito, dopo l'unione di Lublino del 1569, nella Confederazione Polacco- Lituana. In questo sistema, tutta la nobiltà (circa il 10% della popolazione) godeva degli stessi diritti e degli stessi privilegi e controllava la legislazione (Camera dei deputati di Polonia e Parlamento polacco) e il Re era eletto da loro.
Questi nobili “di spada” formavano l'ultima cavalleria corazzata rimasta al mondo, formata ancora col sistema delle “lance”, ogni nobile provvedeva all'equipaggiamento per se e per i componenti della “lancia”, che, a seconda dell'importanza economica del feudatario poteva essere formata da 3 o da decine di cavalieri corazzati, sempre pronti ad intervenire, questa efficienza militare giustificava il potere politico che esercitavano, ogni gruppo si univa ad altri in un'organizzazione gerarchica preordinata.
Il nome derivava dall'intelaiatura di legno leggero ornata di penne di cigno o d'aquila, a forma d'ala che generalmente portavano fissata alla schiena o alla sella.
Questi reparti, armati di lunghe lance (queste, considerate importantissime, erano dipinte di rosso ed erano le uniche armi fornite dallo Stato, realizzate secondo standard precisi da laboratori statali), una sciabola ricurva e due pistole da sella, con uniformi ed armature coloratissime e luccicanti ed una pelle di leopardo o lince a bandoliera, sembravano fuori tempo e di scarsa efficacia contro le armi da fuoco ed i cannoni, eppure furono quasi sempre imbattuti, con imprese epiche incredibili.
Nel 1610, nel corso della battaglia di Kluszin, 6.800 polacchi (dei quali 5.500 Ussari) sconfiggono, aprendo le porte del Cremlino al Re di Polonia 30 mila Moscoviti, un gran numero di Svedesi ed un contingente di mercenari al loro soldo.

Il Re di Polonia guida la carica degli ussari polacchi e libera Vienna.

Jan Sobieski, con a fianco il figlio sedicenne, Jakub, alla testa di 20/25.000 ussari alati, seguiti dalla cavalleria alleata, con l'insegna degli antichi cavalieri sarmati (che avevano costituito la migliore cavalleria romana), un'ala di falco legata alla punta della lancia, guida personalmente la carica.
Le perdite europee nella battaglia furono leggerissime, circa 2.000 uomini contro 15/20.000 turchi, ma in grande maggioranza i caduti furono ussari, dovette essere uno spettacolo terribile, una simile massa di cavalleria, decine di migliaia di cavalieri, incuranti del fuoco dei cannoni e dei moschetti e delle picche dei giannizzeri, in uno svolazzare di ali bianche e di lance rosse puntate, al grido tradizionale “Jesusmaria” calarono sulle linee turche come un coltello nel burro, in pochi minuti l'esercito turco si sciolse come neve al sole, Sobieski arrivò indenne con l'avanguardia polacca nell'immenso accampamento turco intatto, nella sera Jan, che si rifiutò di dormire nella tenda del Gran Visir, e dormì fuori all'addiaccio col figlio, scrisse alla moglie Maria Casimira: (Marco d'Aviano) mi ha ringraziato un milione di volte e mi ha detto di avere visto durante la battaglia una colomba bianca volare sulle nostre armi........il Gran Visir mi ha fatto suo erede, e l'eredità è molto alta, vari milioni di ducati.

Ma lasciamo parlare la parte avversa, Silahdar Findiklili, funzionario del Sultano e storico turco scrisse: L'esercito dei maledetti infedeli, che possa venire schiacciato, giunse in due colonne, l'una, avanzando lungo le rive del Danubio penetrò nella fortezza e prese d'assalto le trincee, l'altra si impadronì dell'accampamento imperiale. I soldati che si trovavano nelle trincee furono trucidati o fatti prigionieri.....avendo trovato prigionieri alcune migliaia di loro, li liberarono dalle catene. Riuscirono ad impadronirsi di una quantità incredibile di denaro e rifornimenti. Non si preoccuparono quindi, di inseguire i soldati dell'Islam e se l'avessero fatto sarebbero stati guai. Che Dio ci protegga. Un disastro di tali dimensioni non s'era mai visto dalla comparsa dello stato ottomano.

Alcuni storici dicono che il mancato inseguimento del nemico fu dovuto alle dispute, che effettivamente vi furono, sorte per la spartizione dell'enorme bottino, altri dicono che furono i principi occidentali che vollero attendere l'arrivo dell'Imperatore Leopoldo, per affermare l'autorità dell'Impero e contrastare l'immensa popolarità che Sobieski si era conquistata, questi infatti entrò a Vienna senza aspettare l'arrivo di Leopoldo in un tripudio di folla,
Il 14 Settembre Leopoldo arrivava e veniva accolto dal polacco, che cavalcò verso di lui salutandolo, senza scendere da cavallo come l'etichetta prevedeva, ma nemmeno il popolo viennese gli tributò una calorosa accoglienza, Marco d'Aviano dirà : l'Imperatore non invidiava a Sobieski soltanto il trionfo, ma anche l'amore e la gratitudine che gli dimostravano i viennesi.
Il polacco anticipò Leopoldo anche nell'annunciare a Papa Innocenzo XI la vittoria, la lettera, scritta in italiano, iniziava con una frase in latino, parafrasando Cesare: Venimus, Vedimus, et Deus Vicit.
Con una notevole dose di umorismo scrisse anche a Luigi XIV, chiamandolo Re cristianissimo, gli relazionò l'esito della battaglia, il Re Sole non gli rispose, probabilmente colse l'ironia,,,,,

Kara Mustafà, invece di riorganizzare l'esercito in rotta, pensò solo a trovare capri espiatori per giustificare la disastrosa sconfitta e fece giustiziare decine di ufficiali, ma non gli servì, giunto a Belgrado trovò ad attenderlo i messi del Sultano, che, come racconta lo storico Findiklili, gli chiesero di restituire lo stendardo del profeta ed il sacro sigillo, toltosi dal collo il sigillo chiese: Devo dunque morire? Gli fu fatto cenno di sì ed egli continuò: Come piace ad Allah, Svolgete per favore il tappeto della preghiera.
Fu strangolato, come da tradizione, con una corda d'arco, l'interprete veneziano Tommaso Tarsia, testimone della scena, dice che chiese al boia che non lo facesse troppo penare, quindi si mise da solo il laccio al collo.
Innocenzo XI proclamò la giornata del 12 Settembre festa del Santissimo Nome di Maria, poi inviò la sua apostolica benedizione a padre d'Aviano e questa fu l'unica ricompensa che ricevette, solo nel 2003 fu proclamato beato dal Papa polacco Giovanni Paolo II.

Passiamo alle leggende o mezze verità che fiorirono dopo la battaglia a Vienna.
Ricordate il giovane polacco che fece da staffetta tra Vienna e il campo cristiano? Pare che come compenso abbia ricevuto l'enorme quantità di sacchi di caffè che fu ritrovato nell'accampamento turco e con questi aprì a Vienna la prima “Bottega del caffè” europea, poi si diffusero ovunque.
Si dice anche che il cappuccino padre d'Aviano, assaggiando la nera bevanda la trovasse troppo forte e chiedesse l'aggiunta di un po di latte, il liquido assunse un colore simile a quello del saio del cappuccino e così nacque il “cappuccino” delle nostre colazioni.
Per festeggiare la vittoria, un fantasioso pasticcere aveva prodotto un dolce a forma di mezzaluna, che ora noi chiamiamo “cornetto”, ma il nome originale era “croissant”, che significa “crescente” e la luna crescente ha, appunto, la forma della mezzaluna turca.

Alla battaglia di Kahlemberg partecipò anche il giovanissimo Eugenio di Savoia, e fu il primo combattimento della sua vita, col reggimento “Dragoni di Savoia”(il reggimento, con questo nome fu sciolto solo nel 1918, con la caduta dell'Impero), che già era del fratello maggiore Luigi Giulio, morto poco tempo prima in combattimento, partecipò alla carica vittoriosa e si guadagnò gli speroni d'oro e il grado di colonnello, questo ragazzo gracilino, di bassa statura e, si dice, talmente brutto che i pittori più che ritrarlo, inventavano.......diventerà il riformatore dell'esercito austriaco e uno dei maggiori protagonisti della storia asburgica, ma questo sarà argomento più approfondito della seconda parte della storia.


Fonti:
L'Ultima Crociata – Arrigo Petacco – Mondadori
Gli Asburgo II° vol. - Vittoria Vandano - Mondadori
Solimano il Magnifico – Andrè Clot – Fabbri editori
I Savoia – Adelaide Murgia – Mondadori
I Savoia – Gianni Oliva – Mondadori
Il Seicento e il Re Sole , l'Europa e il mondo nel secolo di ferro – Autori vari – UTET
view post Posted: 21/8/2020, 08:57 Thutmosis III° il Conquistatore, creatore dell'impero egiziano. - Storia Antica
Thutmosis III° il Conquistatore, creatore dell'impero egiziano.

Il Faraone che portò l'Egitto alla massima espansione.

Non si può dire che i media e le TV non si interessino della Storia egiziana, purtroppo però sono alquanto ripetitivi, centinaia di articoli e documentari su Tutankhamon, un faraone ragazzino che storicamente ha ben poca importanza, qualche decina su Ramses II, spesso definito il più grande, ma che combattè solo una grande battaglia, che non vinse neppure, pareggiò, e una decina su Hatsepsut, il faraone donna, matrigna del nostro faraone, di cui vidi solo un documentari breve sulla battaglia di Megiddo tempo fa su Rai Storia.
Dato che personalmente considero il nostro “eroe” come il faraone più importante delle Storia egizia, cercherò di tracciarne le vicende storiche, ovviamente, trattandosi di argomenti di oltre 3.000 anni fa, con poche fonti certe e continue scoperte archeologiche, non pretendo di scrivere un trattato storico, esporrò solo l'idea che mi sono fatto di questo faraone attraverso molte letture negli anni, ogni correzione o aggiunta saranno graditissime.

Verso il 1780 a.c. finì il Medo Regno, il paese si trovo in una situazione di anarchia totale, frammentato in molti territori governati da principi locali, è il seondo periodo intermedio, che si concluderà intorno al 1550 a.c.
Durante questo periodo vi fu l'invasione degli Hyksos (letteralmente capi stranieri), che finì quando i principi di Tebe gradualmente presero la supremazia nel paese e riuscirono ad espellerli.

Inizia così il Nuovo Regno, i primi faraoni della XVII dinastia posero la capitale a Tebe e scelsero come nume tutelare Amon, diversamente dalla maggior parte dei precedenti faraoni furono Re guerrieri, che cercarono di allargare le frontiere a protezione della valle del Nilo per prevenire future invasioni
Il più grande di tutti fu Thutmosis III (o Thutmose o Thutmosi), il suo nome significa “figlio di Toth, il dio della sapienza e della scrittura”, ed era il figlio di Thutmosis II e di una sposa secondaria di nome Iside.
Intorno al 1580 a.c. muore il padre, senza avere avuto figli maschi dalla Grande Sposa Reale Hatsepsut, che aveva partorito solo una femmina, Neferure, quindi il nostro diventa l'erede, è ancora un bambino, avviato a diventare sacerdote nel tempio di Karnak, fu lui stesso a narrare con un'iscrizione nel tempio l'episodio che lo consacrò.
Il dio Amon, portato in processione dai sacerdoti, si sarebbe fermato davanti al principe proclamandolo Faraone, se sia leggenda o solo un trucco dei potenti sacerdoti di Amon e della sua matrigna, che ne sarebbe diventata la tutrice, per legalizzare subito il regno ed evitare disordini dinastici, non saprei dire, ma propenderei per la seconda versione.
Così non comincia il regno di Thutmosis, bensì quello della matrigna Hatsepsut, che, ormai sicura del proprio indiscusso potere, sette anni dopo si proclama addirittura Faraone, arriverà addirittura a farsi ritrarre con la barba posticcia.
Per giustificare la presa di potere, la Regina usò il mito della teogamia, affermando di essere nata dal matrimonio sacro di sua madre Iahmes con Amon, che per l'occasione aveva assunto le sembianze di Thutmosis I.

I rapporti in questo periodo tra Thutmosis e Hatsepsut sono controversi e fonte di dibattito acceso tra gli storici, alcuni ipotizzano un matrimonio del principe con Neferure, unica figlia della regina, se così fu l'ipotesi è credibilissima, il matrimonio avrebbe legittimato la dinastia, ma pare che la principessa fosse morta giovanissima.
Comunque la “faraona” riuscì a governare fino alla morte, avvenuta quando il figlioccio aveva 22 anni, alcuni dicono che fece distruggere le immagini della matrigna, ma visitando il tempio funerario di Deir Al Bahari di sue immagini ne ho viste a decine, è vero che il nuovo Faraone fece smantellare alcune costruzioni sue, ma lo fece verso la fine del regno, per far posto alle sue nuove costruzioni, altre poi furono distrutte dalla smania di celebrità di Ramses II, che fece cancellare il nome di molti predecessori, compreso Thutmosis, da molti monumenti per metterci il suo.
Conosciamo il nome della Grande Sposa Reale, Meritre-Hatsepsut (nonostante il nome non aveva legami diretti con la “faraona”) ed ovviamente del figlio e successore, Amenofi II, conosciamo anche i nomi di 3 altre mogli secondarie, Menui, Merti e Menhet.

Thutmosis III governò per 32 anni, che si ricordano come i più gloriosi della Storia Egizia, i moderni lo chiameranno Napoleone d'Egitto, 17 campagne vittoriose permisero l'egemonia su un grande territorio, dall'Egitto all'Eufrate.
Pare che il periodo della sovrana precedente fosse stato un periodo di pace, con poca attenzione per l'esercito ed i confini, costantemente minacciati ad est da Mitanni ed i suoi alleati, subito il primo anno d i regno il nuovo Re inizia la prima campagna che ci perviene dal racconto di Amenemheb, un suo ufficiale che lo accompagnò in tutte le azioni di guerra.

L'obbiettivo è la città di Megiddo, a nord di Gerusalemme, contro una coalizione delle città stato palestinesi e da una coalizioni di principi siriani vassalli di Mitanni, uno stato egemone che si estendeva tra Turchia, Iran e Siria ed erano guidati dal Re di Qadesh.
L'esercito egiziano partì da Tebe ed in 10 giorni arrivò al Sinai, fino al deserto del Negev, dove precedentemente erano state mandate carovane per nascondere riserve d'acqua onde permettere una veloce e sicura traversata del deserto all'esercito, che si compì in 11 giorni raggiungendo Gaza, una tattica veloce e di sorpresa, si aprivano 3 strade, 2 più, comode, pianeggianti ma scoperte, la terza un percorso tra forre e strettoie, più breve e nascosto, ma anche più pericoloso in caso di imboscate, ed i carri da guerra smontati dovevano essere trasportati a braccia, nonostante questo Thutmosis non ebbe dubbi, di prima mattina gli egiziani entrarono nella gola ed uscirono alle spalle di Megiddo, con l'accampamento nemico davanti ignaro di tutto, al primo avvistamento dei carri egiziani alla carica, i soldati siriani abbandonarono tutto, carri, cavalli e tutto l'accampamento, falciati durante la fuga dai carri, rifugiandosi al fine nella città.
Ebbe inizio un assedio che durò 7 mesi, la città fu circondata da un fossato e il Faraone costruì un accampamento sopraelevato e fortificato, da cui contro giorno e notte la città.
Alla fine Megiddo si arrese, i principi si sottomisero, promisero che non avrebbero mai più combattuto contro l'Egitto e fu permesso loro di andarsene disarmati, il bottino fu enorme, lasciata una guarnigione Thutmosis tornò a Tebe, sul tempio di Karnak i bassorilievi lo mostrano mentre offre parte del bottino ad Amon.

Nelle 4 campagne successive si assicurò i porti della costa fenicia, il Re di Qadesh ed i principi siriani si erano nuovamente ribellati, il controllo della costa e dei porti permettevano all'Egitto un rapido e sicuro trasporto delle truppe, e rendeva anche più agevole il trasporto dei rifornimenti, dei rinforzi e dei bottini di guerra.

La bontà di questa strategia si vide con la sesta campagna, il Re sbarcò nel porto di Simyra, in Fenicia, e da li marciò velocemente su Qadesh conquistando la cittadella, dopo la vittoria tornò a Tebe portando con se i figli dei principi siriani come ostaggi, per educarli in Egitto, ospitati in un'ala del palazzo reale.

L'ottava campagna, segnò la massima estensione dell'impero egizio, sconfitti ed assoggettati ormai tutti gli alleati del Re di Mitanni, dopo un'attenta preparazione dei piani di guerra,era il momento di attaccare direttamente il regno dell'Eufrate.
Il Re seguì una strada costiera da Gaza a Biblos con un esercito ridotto, e li si unì all'esercito arrivato via mare, nella città fenicia aveva fatto già preparare delle imbarcazioni fluviali in legno di cedro, su carri trainati da buoi, e l'esercito partì verso l'Eufrate.
Dopo varie battaglie a nord di Aleppo l'esercito nemico, con 300 (le cifre in questi casi vanno prese con le molle) principi siriani, si diedero alla fuga, rifugiandosi al di là del fiume, grazie alle barche gli egiziani lo attraversarono e continuarono l'inseguimento fin nel cuore di Mitanni, per attestarsi poi all'Eufrate.
Con queste azioni l'Egitto raggiungeva l'espansione massima mai raggiunta, il fiume rappresentava ormai il confine nord del paese dei Faraoni.
Al suo ritorno il Re ricevette l'omaggio dei principi siriani, del Re di Babilonia e del Re degli Ittiti.
Delle altre campagne sappiamo poco, l'ultima fu per domare un'ennesima rivolta del Re di Mitanni,del Re di Qadesh e di quello di Tunip, oggi in Siria occidentale.
Thutmosis giunge a Simyra per mare, e velocemente si diresse su Tunip, che conquistò rapidamente, poi si diresse a Qadesh, che mise nuovamente sotto assedio.
Amenemheb, fedele assistente del Faraone, ci racconta un curioso episodio, gli assediati durante una sortita liberarono una giumenta in calore per sconvolgere i cavalli dei carri egiziani, ma Amenemheb sceso dal carro la abbatte, portando la coda al Faraone come trofeo.
Alla fine ordinò l'attacco finale e la città cadde definitivamente, dopo questa vittoria nessuno poteva misurarsi con la potenza militare egiziana, l'Egitto controllava un territorio che andava dalla quarta cataratta del Nilo fino all'Eufrate, il che, all'epoca, lo rendeva il paese più potente del mondo.

Anche nel settore civile fu grande, passò alla Storia come uno dei maggiori costruttori, ingrandì il tempio di Kanak, iniziato nel Medio Regno e già profondamente ampliato da suo nonno Thutmosis I, che aveva eretto il tempio di Amon col “sancta sanctorum”.
Per rendere grazia delle sue vittorie e della sua ascesa al trono ad Amon, compì un gran numero di interventi, innalzò il sesto pilone, trasformò le costruzioni volute dalla matrigna nel Palazzo di Maat, e sostituì la cosiddetta “cappella della Regina con il luogo di riposo della barca di Amon, usata nelle processioni.
Ad est costruì il suo tempio giubilare, detto Akh Menu “Luminoso di monumenti” dedicato ad Amon Ra ed al potere del Faraone garante dell'Ordine Cosmico, impersonato dalla dea Maat, una delle sale del tempio era decorata di bassorilievi con i cartigli di 57 Faraoni che lo avevano preceduto, una lista storicamente importantissima, oggi si trova al Louvre.
Eresse anche il settimo pilone e due obelischi, uno lo vidi ad Istanbull nell'ippodromo, lo portò lì l'imperatore Teodosio nel IV sec. d.c., scavò anche il lago sacro.
Costruì inoltre diversi templi in tutto l'Egitto.

Morì all'età di circa 57 anni, la sua mummia è conservata al Museo del Cairo.
Il figlio, Amenhotep II, si limitò a mantenere i confini, stipulando la pace con il regno di Mitanni, e nessun altro Faraone li ampliò mai.

Fonti:
Thutmosis III il Conquistatore – Maite Mascort Roca – Storica National Geographic
view post Posted: 7/2/2020, 00:01 Re Sole Luigi XIV - Storia Moderna

Luigi XIV, il Re Sole



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Prologo


Devo dire che ho molto esitato prima di affrontare un simile personaggio, che nel bene e/o nel male, ha rappresentato un'epoca, non solo per la Francia, ma per il mondo intero, politicamente, militarmente, culturalmente e come influenza sui costumi, basta pensare che il francese divenne la lingua parlata in tutte le corti, persino in Russia ed alla corte imperiale di Vienna, e che quello che verrà chiamato “Il secolo di ferro” sarà anche nominato “L'età del Re Sole”.
Fu assolutista, ma durante il suo regno si sviluppò quell'humus culturale da cui nacquero i primi illuministi, protesse Molière, il commediografo e commediante più esplosivo di quell'epoca, è vero che lo protesse dalle leggi che lui stesso aveva emanato, ma, cosa inaudita, lo invitò a condividere la sua cena, atto assolutamente ufficiale, il Re cenava davanti ad un pubblico di nobili invitati , che lo stavano a guardare adoranti e senza toccar cibo, e consideravano questo “onore” un grande privilegio, quando morì permise, attraverso un'intercessione alle autorità ecclesiastiche, che venisse sepolto in terra consacrata, cosa contraria alle leggi, non è una gran cosa, ma dà l'idea del clima culturale che veniva riservato agli intellettuali, pericolosi e da tenere sotto controllo, ma utili per comprendere l'evoluzione dei tempi.
Ovviamente il ritratto che ne uscirà sarà una mia visione personale, ma i fatti storici saranno precisi, ovviamente ogni integrazione o correzione sarà la benvenuta.


Luigi XIV di Francia, il Re Sole

Breve riassunto della vita.

Luigi XIV di Borbone, detto il Re Sole (Le Roi Soleil) o Luigi il Grande, (Saint Germain en Laye Settembre 1638, Versailles 1 Settembre 1715).
Regnò per oltre settanta anni, dal 14 maggio 1643, quando aveva meno di cinque anni, e governò in modo assoluto per cinquanta, fino alla morte nel 1715. Per la sua durata, il regno di Luigi XIV è al 9º posto tra i regni più lunghi della Storia.
Fu il terzo Re di Francia e di Navarra della casata dei Borbone, Nipote di Enrico IV e Maria de Medici, figlio di Luigi XIII e Anna d'Austria, figlia del Re di Spagna.
Sposa Maria Teresa d'Austria, figlia di Filippo IV di Spagna nel 1660 da cui ebbe 6 figli.
Dopo aver preso il potere effettivo, lo trasformò in assoluto, i ministri erano semplici consiglieri, il loro parere. anche collegiale era solo consultivo, tutte le decisioni erano accentrate in lui, con questo potere assoluto tentò di affermare il dominio della Francia in Europa e nel mondo, combattendo tre grandi conflitti, ma militarmente, tra alti e bassi, l'obiettivo non fu raggiunto, però la cultura, la moda e la lingua francese furono sovrane in Europa durante il suo lungo regno, tanto che molti storici chiamano la sua epoca “il secolo del Re sole.

Governo di Mazzarino. Infanzia e reggenza di Anna d'Austria.

Nacque dopo ventitré anni di matrimonio trascorsi senza che la regina avesse partorito alcun figlio, tanto che il padre gli diede il secondo nome di Deodato (Dieudonnè), la sua venuta al mondo fu vista come una grazia del Cielo, Luigi XIII e sua moglie Anna ebbero anche un secondo figlio, Filippo duca d'Orleans, omosessuale riconosciuto, che gli creerà non pochi problemi.
Quanto il nonno Enrico era un focoso donnaiolo, così il padre di Luigi, Luigi XIII, non dimostrò mai alcun interesse per l'altro sesso, credo, e non sono certamente il solo, che vi fossero pochi dubbi sulla sua omosessualità, si interessò della moglie solo appena sposato, costretto dalla madre Maria de Medici, che la prima notte di nozze lo costrinse praticamente a giacere con la novella sposa, lui si era ritirato nella sua stanza come tutte le notti, comunque per qualche tempo, sorvegliato dalla madre, pare abbia svolto, o cercato di svolgere il proprio dovere dinastico, senza risultati concreti, il primo figlio arrivò dopo tanto tempo, si dice che durante una notte di tempesta il Re si fosse rifugiato in casa della moglie e avesse passato la notte con lei, molto più credibilmente le malelingue attribuirono ad Anna d'Austria ben altre inseminazioni, a cominciare da Giulio Mazzarino (per i francesi Jul Raimond Mazarin) ed a seguire una sfilza non indifferente di nomi, le fu attribuita persino una figlia segreta di colore, avuta da un servo africano, che a Versailles fu descritta da un ambasciatore veneto nei suoi rapporti, se ben ricordo, ma queste maldicenze erano talmente tante e talmente poco documentate, che lasciano il tempo che trovano.
Comunque sia aveva quasi cinque anni quando il re suo padre morì di infarto, Luigi ereditò il trono, Luigi XIII, però, prima di morire, si premurò che Anna non governasse da sola, come reggente per il figlio primogenito Luigi XIV, ma che si avvalesse di un consiglio di reggenza a cui venne comunque messa a capo sino a che il figlio non raggiunse la maggiore età, ma il potere effettivo passò al Primo Ministro, il Cardinale Mazarino, che era stato per un anno ministro del padre. Questi resse le sorti della Francia per molti anni e fu così astuto ed abile che solo alla sua morte, avvenuta il 9 marzo 1661, Luigi poté assumere effettivamente i poteri.
La Guerra dei trent'anni, che già aveva avuto le prime avvisaglie durante il regno di Luigi XIII, finì nel 1659 con la Pace dei Pirenei, tramite i trattati di Münster e Osnabrück ai quali lavorò lo stesso Mazarino, tra le altre cose, permise l'indipendenza dell'Olanda dalla Spagna , diede maggiore libertà ai principi del Sacro Romano Impero, e concesse alla Svezia il controllo delle foci dei fiumi Oder, Elba e Weser. il che portò all'affermazione della potenza svedese e l'influenza dei principati germanici negli affari europei.
Alla fine fu la Francia a ottenere i maggiori vantaggi: l'Impero cedette alla Francia l'intera Alsazia e gli stessi principati che si trovavano in quest'area divennero soggetti a protettorato francese, gettando le basi per la futura fondazione della Lega del Reno nel 1658 che porterà ad una sempre crescente diminuzione del potere imperiale asburgico.

La Fronda

Dopo la Guerra dei trent'anni, nelll'anno 1648 ha iniziò una guerra civile conosciuta come Fronda:
Mazzarino, continuò le politiche di centralizzazione intraprese già dal suo predecessore, Richelieu, aumentando così il potere regio a spese della nobiltà. Nel 1648 cercò di imporre una tassa sui membri del Parlamento , che consisteva principalmente di membri della nobiltà e della chiesa.
Il Parlamento non solo respinge la tassa, ma ordina addirittura il rogo di tutte le disposizioni finanziarie di Mazzarino, il cardinale ordina l'arresto di alcuni membri del Parlamento e a Parigi scoppia la rivolta, un gruppo di parigini arrabbiati prendono d'assalto il palazzo reale chiedendo al re la deposizione del cardinale.
A causa del pericolo per la famiglia reale e la monarchia, la regina fuggì da Parigi con il re ed i suoi cortigiani, poco dopo la firma della pace di Westfalia, grazie all'intervento dell'esercito, nel gennaio 1649 ha inizio l'assedio dei ribelli di Parigi e l'ordine viene riportato, la successiva pace di Rueil pone fine al conflitto, almeno temporaneamente la prima fronda, detta parlamentare, composta perlopiù da nobili di spada (vecchia nobiltà), che era rivolta anche contro la nuova nobiltà di recente nomina, costituita da funzionari amministrativi (nobiltà di toga), finisce.
La seconda Fronda riaccende il conflitto nel 1650, nobili di tutti i ranghi, dalle principesse di sangue reale a cugini del re, come Gastone d'Orleans , sua figlia, Anna Maria Luisa d'Orleans, Luigi Gran Condè e e Armando di Borbone principe di Contì , nobili di antica stirpe come Francesco VI duca di La Rochefouchauld , Federico Maurizio de La Tour d'Auvergne , suo fratello Enrico e anche nobili legati alla famiglia reale come Enrico II d'Orleans e Francesco di Borbone-Vendome parteciparono alla ribellione contro il potere reale, anche il clero aveva la rappresentanza nella ribellione nella persona di Jean Francois Paul de Gondi , come risultato di questi giorni tumultuosi, si dice che la regina madre abbia dovuto vendere i suoi gioielli per nutrire i figli.
Quando Luigi arrivò alla maggiore età e fu incoronato la rivolta si affievolì notevolmente, una Fronda non è una rivoluzione, e neppure un colpo di stato, tende a controllare il regime esistente, quindi il Re, controllarlo, non spodestarlo.
La Fronda si concluse definitivamente nel 1653, quando Mazzarino rientrò a Parigi reintegrato nelle sue funzioni dopo un breve esilio, conserverà il potere effettivo fino alla morte.
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Assunzione del potere autocratico e le riforme
Il giorno dopo la morte del cardinale Mazzarino, avvenuta il 10 Marzo 1661, Luigi XIV convocò nello studio privato solo tre uomini, non erano della sua famiglia, nè generali, alti prelati né grandi signori feudali, erano de Lionne, le Tellier e Fouquet.
Questi erano stati i maggiori collaboratori di Mazzarino e non erano nobili, o almeno lo erano da recentissima data per investitura regia, il Re li informò che da quel momento non avrebbe nominato nessun primo ministro, che avrebbe governato da solo e che loro avrebbero dovuto semplicemente dare dei pareri solo quando lui li avesse richiesti, di cui avrebbe tenuto o non tenuto conto a sua discrezione.
Nella corte i più pensarono che fosse un fuoco di paglia dovuto all'inesperienza e la giovane età, ma si sbagliavano, il Re per tutto il suo regno non volle mai attorno a sé più di 5 persone di natali non illustri, il governo centrale non contò mai più di un centinaio di responsabili effettivi, consiglieri di stato e maître des requêtes, carica giuridica ed amministrativa, bisognava avere esercitato per sei anni in una corte superiore.
La polizia militare, che doveva mantenere l'ordine nel regno non contava più di 2.000 cavalieri, coadiuvati in caso di bisogno dall'esercito e dai funzionari di giustizia.
Per noi uomini moderni questa monarchia, più che assoluta pare ben povera di mezzi, ma a quanto pare allora si sapeva farli bastare, non avevano neppure l'idea delle nostre elefantiache macchine burocratiche.
La sua ascesa riportò ordine nell'amministrazione dello stato francese, ma allo stesso tempo le casse dello stato si trovavano alla soglia della bancarotta. Luigi XIV eliminò Nicolas Fouquet, che si era arricchito a dismisura, sovrintendente alle finanze, commutando l'esilio perenne deciso dal Parlamento in un imprigionamento a vita nella fortezza di Pinerolo, e abolendo l'Ufficio della sovrintendenza ai fondi statali da lui ricoperto.
Jean Baptiste Colbert, nominato nel 1665 controllore generale delle finanze, dimostrò che Fouquet aveva sottratto denaro alle casse dello stato per costruire l'opulento castello di Vaux-le-Vicomte, sua residenza ufficiale.
Colbert riuscì a sanare il debito nazionale con una più efficiente tassazione, le tasse principali erano costituite da gabelle, imposte terriere e in particolare i dazi d oganali vennero decisamente sfruttati per promuovere il commercio e l'industria interna, in modo che le imprese nazionali producessero per lo stato, penalizzando le importazioni, che aumentavano i costi generali, dove l'artigianato e l'industria francese era carente, si provvide ad assumere esperti artigiani e tecnici stranieri, incoraggiò anche la venuta in Francia di artigiani e artisti da tutta Europa come i vetrai convinti a trasferirsi in Francia con laute ricompense anche contro il volere di Venezia, fabbri dalla Svezia e carpentieri navali dall'Olanda.
Così si diminuì sempre più la dipendenza della Francia da beni importati dall'estero, aumentando contemporaneamente le esportazioni, e aumentando l'attivo del commercio estero e quello delle casse dello stato.
Louvois si occupò di riformare l'esercito, slegandolo dal controllo della nobiltà e rendendolo un esercito nazionale agli ordini esclusivi del Re, lo dotò di nuove armi e di una ferrea disciplina .
Fu pubblicata nel 1667 la Grande Ordennance de Procèdure Civile, detta anche Codice Luigi,un codice di procedura civile per la prima volta valido in tutta la Francia, che impediva l'amministrazione della giustizia da parte dei grandi feudatari e sarà di base per il futuro Codice Napoleonico.
Nel 1670 si riformò l'Ordonnance Criminelle, sistema di procedura penale, unificandolo in tutto il regno e limitando così il potere discrezionale dei vari parlamenti cittadini, che prima amministravano questa materia autonomamente, erodendo il potere regio.
Nel 1671 venne promulgato il Code Du Commerce, che disciplinava il diritto commerciale.
Nel 1685 entrò in vigore il Code Noir, che regolava la schiavitù eliminando abusi, proibendo la separazione delle famiglie di schiavi e limitando fortemente la schiavitù dei bianchi, detta “servitù a contratto”.


Contenimento del potere nobiliare e trasformazione in reggia di Versailles.

Per diminuire l'influenza della grande nobiltà, Luigi prosegue il lavoro intrapreso dal cardinali Richelieu e Mazzarino, l'esperienza della Fronda lo aveva decisamente segnato, ormai riteneva che l'unico modo per mantenere il potere fosse quello di mettere gente comune o almeno membri della nuova aristocrazia (di toga) in posizioni importanti, questa politica è basata sul fatto che il Re potrebbe licenziare un cittadino comune che ha avuto grande influenza dal suo ufficio sui due piedi, cosa che non poteva fare con un gran signore.
Pertanto, si riservassero gli onori formali alla grande aristocrazia, riducendoli alla posizione di cortigiani, allontanati i signori dai loro feudi, dove avevano un effettivo potere e masnade che potevano, unendosi ad altre trasformarsi in un esercito, il potere della nobiltà viene diminuito notevolmente.
La cosa avrà effettivamente un grande successo, in Francia non vi sarà piu alcuna guerra civile fino alla Rivoluzione e l'epoca napoleonica.
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Nel tentativo di aumentare la sua posizione, Luigi XIV rafforza il gallicanesimo , una dottrina che limita il potere pontificio in Francia, riduce l'influenza e il potere della nobiltà e del clero.
Mantenendo il controllo del secondo stato (la nobiltà), usando la tattica di mantenere l'alta nobiltà a Versailles, garantendo così un controllo diretto sui singoli personaggi non nei loro territori, dove potevano pianificare ribellioni e insurrezioni, ma in un lussuoso palazzo che dimostrasse la potenza del Re, stare vicino a lui doveva diventare l'unico modo possibile per ottenere il favore reale come le pensioni e privilegi necessari per la loro posizione sociale.
Il palazzo di Versailles era in origine una residenza di caccia costruita da suo padre, lui la rese uno spettacolare palazzo reale.
Il 6 Maggio del 1682, Luigi ufficialmente vi si trasferì con tutta la sua corte, ha molte ragioni per creare un palazzo di tale stravagante opulenza e trasferire lì la residenza della monarchia, dire che odiava Parigi è impreciso perché non ha mancato di espandere ed abbellire la sua capitale, ma Versailles deve essere un sito abbagliante e mozzafiato per affari di stato, atta a ricevere dignitari stranieri, dove l'attenzione non doveva essere divisa tra la capitale e la folla di una metropoli, ma doveva essere dedicata interamente al Re.
Luigi-XIV
La vita di corte era focalizzata sulla grandezza, i cortigiani erano circondati dal lusso, vestiti con grande magnificenza, frequentando sempre cene, spettacoli, feste, ecc.., in realtà, molti nobili sono costretti a lasciare tutta la loro influenza e molti diventano totalmente dipendenti dai sussidi reali per mantenere lo stile di vita costoso di Versailles, in breve i nobili smetteranno di cercare di riconquistare il potere, che potrebbe tradursi in potenziali problemi per la corona, ma si concentreranno sulla competizione per essere invitati a cenare al tavolo del re, o magari solo ad assistere in piedi alla cena, o di servirlo a tavola, o il privilegio di portargli le babbucce quando il re si ritira nelle sue stanze.
La prima guerra nei Paesi Bassi
Dopo la morte di Filippo IV di Spagna, zio di Luigi XIV, nel 1665, suo figlio salì al trono come Carlo II di Spagna , il Re di Francia rivendicava il territorio del Brabante in Olanda, fino ad allora governato dal re di Spagna, che secondo il Re doveva essere restituito a sua moglie, Maria Teresa, sorellastra di Carlo II , figlia del primo letto del padre di entrambi.
La questione ereditaria avrebbe dovuto essere conclusa da molto, in quanto il Trattato dei Pirenei del 1659 sanciva la rinuncia di ogni diritto ereditario di Maria Teresa in cambio di 500.000 scudi, ma il Re sole affermò che la somma non era mai stata pagata e alla fine ottenne il Brabante.
Così la Francia si trovò impegolata nell'area dei Paesi bassi, che tanti guai aveva dato agli spagnoli, le Province unite olandesi, spaventate dal nuovo venuto realizzarono una Triplice Alleanza con Inghilterra e Svezia, che comunque non durò molto, il Re inglese Carlo Carlo II cambia alleanza col trattato di Dover del 1670, Francia e Inghilterra insieme ad alcuni principati tedeschi nell'area del Reno firmano il trattato contro le Province Unite.

Comincia così la Guerra Francoolandese, o Guerra di Devoluzione
La guerra iniziò nel 1672, con l'invasione rapida e l'occupazione di quasi tutta l'Olanda, tranne Amsterdam, ciò causò un colpo di stato nelle Province Unite, permettendo a Guglielmo III d'Orange di prendere il potere con la qualifica di Statolder (luogotenente, massima carica militare) , ha solo 25 anni ed è un abilissimo generale.
Guglielmo III era alleato con la Spagna e il Sacro Romano Impero, e dopo due anni di combattimenti nel 1674, firma un trattato di pace con l'Inghilterra, gli inglesi si ritirano dai Paesi Bassi, il trattato viene sancito anche tramite il matrimonio di Guglielmo con Maria II d'Inghilterra, nipote di Carlo II d'Inghilterra.
Tuttavia, nonostante queste mosse diplomatiche, la guerra continua con grandi vittorie francesi contro le forze della coalizione avversaria. Tuttavia, le nazioni coinvolte, stremate dalla guerra, cominciano a negoziare la pace, nel 1678 con la Pace di Nimega la guerra finisce.
Anche se col trattato ha restituito tutti i territori catturati dei Paesi Bassi, Luigi XIV ha guadagnato il possesso della maggior parte delle città e mantenuto il possesso della Franca Contea, che era stata invasa in poche settimane.
Il trattato di Nijmegen aumenta l'influenza francese in Europa, ma non ha soddisfatto Luigi XIV., il re licenzia il suo ministro degli esteri, Simon Arnauld dePomponne nel 1679, perché considerava il suo atteggiamento troppo debole verso gli avversari e gli alleati, quindi continuò il rafforzamento dell'esercito, ma invece di usare la forza, usò l'astuzia e la diplomazia.
A causa delle formulazioni ambigue dei trattati dell'epoca, Luigi sostiene che i territori ceduti in precedenza gli appartenevano per diritto, nel 1681 occupa Strasburgo usando pretesti legali.

L'unificazione religiosa: la revoca dell'Editto di Nantes

La moglie di Luigi XIV, Maria Teresa, morì nel 1683, si erano sposati nel 1660, ma non direi fosse stato un marito fedele, sue “favorite” ufficiali in quegli anni furono: Louise de La Vallière, Athènais Francoise de Rochechouart de Mortemart, Madame de Montespan e Maria Angelica de Montanges.
Nel 1685, 2 anni dopo la morte della moglie, si risposò, segretamente, con Madame de Maintenon, fu un matrimonio morganatico, che non implicava per lei il titolo di regina ne tantomeno diritti di eredità,
La Maintenon era stata protestante, ma da giovinetta si era convertita al cattolicesimo, come molti neofiti manifestava una fede cattolica accesa, ed a lei si attribuì l'influenza che portò Luigi a revocare l'Editto di Nantes, che aveva fornito fino ad ora una certa libertà religiosa agli ugonotti,
Con un editto del marzo 1685, Luigi decide l'espulsione degli ebrei dalle colonie francesi, in pratica ogni religione viene proibita, se non la Cattolica, nel mese di Ottobre 1685, viene promulgato l'Editto di Fontaineblau, revocando il precedente Editto di Nantes.
Il nuovo editto prevede che ogni pastore protestante che non si converta al cattolicesimo sia bandito, scuole e istituzioni protestanti sono vietati, i figli di famiglie protestanti devono essere battezzati da un sacerdote cattolico; e i luoghi di culto protestanti vengono demoliti.
A seguito dell'editto circa 200.000 protestanti lasciano il paese, provocando un notevole danno economico, essendovi tra i protestanti e gli ebrei molti imprenditori e commercianti.
Nel 1685 , Luigi XIV era al culmine del suo regno, la guerra austro-turca, che aveva portato i turchi ad assediare Vienna, aveva permesso alla Francia di approfittare dello stato di debolezza dell'impero asburgico, che gli permise di attaccarlo alle spalle, occupando parecchi territori asburgici, Luigi XIV, grazie al Trattato di Ratisbona, potè annettersi parecchi territori, compreso il Lussemburgo.
Ma la posizione espansionistica e filo turca del Re Sole, e l'espulsione dei protestanti preoccuparono tutti, nonostante l'Impero fosse occupato nel respingere l'invasione ottomana e potesse dare poco aiuto, ci fu la reazione.
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La Lega di Augusta
La revoca dell'Editto di Nantes ebbe grandi conseguenze politiche e diplomatiche, soprattutto nei paesi protestanti, in cui tale revoca contribui a un crescente sentimento antifrancese. Nel 1686, sia cattolici che protestanti fondarono la Lega di Augusta , apparentemente per difesa, ma era in realtà una alleanza offensiva contro la Francia,L''alleanza includeva tra i suoi membri il Sacro Romano Impero e molti dei governanti degli stati tedeschi, protestanti e cattolici, che facevano parte dell'impero, in particolare il Palatinato, la la Baviera e il Brandeburgo, le Province Unite, la Spagna e la Svezia.
Luigi XIV inviò le sue truppe contro il Palatinato nel 1688, Luigi sperava che l'Inghilterra, governata dal re cattolico Giacomo II, sarebbe rimasta neutrale nel conflitto, ma la “grande rivoluzione, o seconda rivoluzione inglese”, si concluse con l'ascesa al trono di Maria II, che regnò con il marito Guglielmo III ( il principe d'Orange) protestante convinto, era Stathoulder “Luogotenente"), la massima carica militare e politica della Repubblica delle 7 Province unite dei Paesi Bassi, quindi già di persè in guerra con la Francia, manco a dirlo, preso il potere aderì alla lega, cha daquel momento si chiamò Grande Alleanza, comincia quindi la Guerra della Grande Alleanza (1688-1697).

Guerra della Grande Alleanza
All'inizio del conflitto, detto anche Guerra dei Nove Anni, i francesi presero l'iniziativa, le forze imperiali erano inefficaci, dal momento che il grosso dell'esercito imperiale stava affrontando l'Impero Ottomano.
Rapidamente la Francia ha il predominio di vittorie, nelle Fiandre, nel nord della Valle del Reno e in Italia e Spagna, la guerra continuerà per 9 anni e si conclude quando il Duca di Savoia firma una pace separata e una successiva alleanza con la Francia.
Si arriva così nel 1697, al Trattato di di Ryswick, Luigi XIV restituisce il Lussemburgo e altri territori occupati nella guerra olandese del 1679, ma mantiene Strasburgo . Ha inoltre acquisito Haiti e altri territori d'oltremare, ha però dovuto riconoscere il regno di Guglielmo III e Maria II come sovrani di Gran Bretagna e Irlanda, abbandonando l'appoggio alle pretese di Giacomo II, parimenti rinuncia ai suoi crediti nei confronti del Palatinato, la Spagna recupera la Catalogna, restituisce anche alcuni territori occupati nei Paesi Bassi, la Lorena torna al suo Duca, ma a condizione di consentire la libera circolazione in territorio francese.
I termini generosi del trattato sono stati interpretati come una concessione per promuovere un sentimento filo-francese in Spagna, che alla fine portano a Carlo II, re di Spagna di nominare Filippo, duca d'Angiò (nipote di Luigi) come suo successore.
La successione spagnola

Il problema della successione al trono spagnolo dominerà la situazione europea dopo la pace di Ryswick, il re di Spagna Carlo II, soprannominato L'Interdetto, per le congenite tare fisiche e mentali, era molto malato e non poteva avere figli.
L'eredità della corona spagnola era enorme, dal momento che Carlo II non era solo il re di Spagna, ma anche di Napoli, Sicilia, Milano, i Paesi Bassi Spagnoli e un grande impero coloniale, in totale, ventidue domini diversi.
Francia e Austria sono i principali candidati per il trono, in quanto entrambi avevano legami di parentela con la famiglia reale spagnola, da un lato, Filippo duca d'Angiò, il pretendente francese, era il nipote della figlia maggiore di Filippo III di Spagna , Anna d'Austria, L'unico inconveniente per le loro aspirazioni alla successione era la sua abdicazione, che nel caso di Maria Teresa.
L'Impero asburgico invece rivendicava il trono spagnolo per Carlo, arciduca d'Austria, figlio minore di Leopoldo I, in quanto sua nonna paterna era figlia di un Re di Spagna.
Alcune potenze europee temevano la possibilità che sia la Francia che il Sacro Romano Impero prendano il controllo della Spagna, cosa che metterebbe in pericolo l'equilibrio di potere in Europa, pertanto, Guglielmo III, re di Gran Bretagna e Irlanda, e le Province Unite olandesi preferiscono un altro candidato, il principe bavarese Giuseppe Ferdinando Leopoldo , figlio di Leopoldo I e la prima moglie di questo, Margherita Teresa di Spagna,
Così viene firmato il Trattato dell'Aia, firmata nel 1698, durante la guerra dei nove anni, dalla Gran Bretagna e dalla Francia per evitare un'alleanza spagnolo-tedesca, si stabilisce che Giuseppe Ferdinando Leopoldo erediti Spagna, compresi i territori italiani, mentre e i Paesi Bassi siano divisi tra le Case di Francia e Austria.
La Spagna però respinge il trattato e si oppone a lla spartizione di parte del proprio impero, il governo spagnolo insiste sulla necessità di mantenere l'integrità dell'impero, pertanto, quando il trattato viene a conoscenza di Carlo II, questi lascia come volontà testamentaria che la Spagna, annessi e connessi passi a Giuseppe Ferdinando Leopoldo. Giuseppe Ferdinando Leopoldo
Il problema riemerse sei mesi più tardi, quando il principe morì di vaiolo, il governo spagnolo insiste nel mantenere la sua posizione in tutto il territorio spagnolo governato sotto un unico comando, lasciando solo la possibilità di lasciare questo controllo per la Francia o in Austria.
Carlo II, sotto pressione dalla moglie tedesca, sceglie la casa austriaca, scegliendo come erede l'Arciduca Carlo. ignorando la decisione di Carlo II, Luigi XIV e Guglielmo III hanno firmato un secondo trattato, lasciando all'Arciduca la Spagna, i Paesi Bassi e le colonie, mentre il più grande (ed erede) dei figli di Luigi, Luigi il Gran Delfino, eredita i territori italiani.

.Nel 1700, sul letto di morte, Carlo II inaspettatamente cambia le disposizioni di successione, a causa del trattato di Ryswick , il governo spagnolo spagnolo era diventato più francofilo, e Carlo II, sulla base di precedenti esperienze che hanno dimostrato la superiorità militare francese, pensava che la Francia fosse in grado di mantenere l'unità dell'impero, il patrimonio spagnolo viene offerto nella sua interezza a Filippo Duca d'Angiò, il figlio più giovane del Delfino. L'offerta include una clausola che Filippo si dimetta dalla sua posizione nella linea di sangue francese.
Luigi XIV si trova in difficoltà, può accettare tutto l'impero spagnolo, tradendo così i trattati precedentemente firmati con Guglielmo III, o potrebbe rifiutare l'offerta, accettando il Secondo Trattato, nella speranza di lasciare l'Europa in un stato di pace, tuttavia, anche accettando solo una parte dell'eredità spagnola un grave pericolo di guerra con il Sacro Romano Impero rimaneva. Guglielmo III ha inoltre chiarito che non avrebbe sostenuto una guerra per i territori previsti dal trattato di spartizione.
Luigi XIV, sapendo che in ogni caso la guerra era inevitabile, decise che era redditizio accettare l'offerta di successione proposta da Carlo II sul letto di morte
Così, quando Carlo II morì il 1 Novembre, Filippo, duca d'Angiò, fu proclamato Filippo V, Re di Spagna.
Filippo V all'inizio, seppure a malincuore, fu accettato dalle potenze europee, ma agì troppo precipitosamente, nel1701 promulgò l'Asiento, il permesso di vendere schiavi nelle colonie spagnole alla Francia, la cosa pose un grande rischio per il commercio britannico, inoltre, Luigi XIV tornò a riconoscere il diritto al regno d'Inghilterra a Giacomo Francesco Edoardo Stuart, dopo la morte di Giacomo II.
Inoltre ha inviato truppe neii Paesi Bassi spagnoli per assicurare la loro fedeltà a Filippo V e di presidio dei forti spagnoli, che erano da tempo sotto il controllo olandese come parte della barriera di protezione delle Province Unite contro potenziali attacchi francesi.
Di conseguenza, l'alleanza si forma tra la Gran Bretagna, le Province Unite, il Sacro Romano Impero e la maggior parte degli stati tedeschi, mentre Baviera, Portogallo e Savoia erano alleati di Luigi XIV e Filippo V.

Guerra di successione spagnola.
La Guerra di successione spagnola inizia con l'invasione dell'Italia da parte dell'Impero asburgico prima ancora che la guerra fosse dichiarata, continuando per quasi tutto il resto del regno di Luigi, all'inizio l'esercito francese ebbe un certo successo, riuscì quasi a catturare Vienna , ma la vittoria di Malbrough e Eugenio di Savoia alla battaglia di Blenheim ( 13 Agosto 1704) e di altre perdite come le battagliae di Ramillies e Oudenarde hanno indebolito l'economia francese, fame e debito crescente hanno fatto sì che la Francia ha dovuto prendere una posizione difensiva, la Baviera fu conquistata dagli Alleati dopo la battaglia di Blenheim, e il Portogallo e la Savoia rapidamente cambiarono partito, con la battaglia di Torino, vinta da Eugenio di Savoia del 1706 i francesi dovettero ritirarsi dall'Italia.
La guerra era troppo costosa per Luigi XIV, nel 1709 l'esercito francese era gravemente indebolito e Luigi chiese la pace. Tuttavia, tutti i negoziati di pace non approdarono a nulla a causa delle condizioni imposte dagli alleati. Stava diventando evidente che Luigi non avrebbe potuto mantenere nella sua orbita tutti i territori spagnoli, ma è sempre più chiaro che i suoi avversari non potevano rimuovere Filippo V dal trono spagnolo dopo le vittorie francospagnole in Spagna nelle battaglie di Almansa, Villaviciosa e Brihuega, che portarono all'espulsione delle forze alleate dai confini spagnoli, la guerra continua tra alterne vicende
La situazione francese è peggiorata con la caduta di Bouchain, che ha lasciato a Marlborough, il grande generale inglese, (John Churchill, avo di Winston Churchill), la strada praticamente libera per raggiungere Parigi.
Ma la morte dell'imperatore Giuseppe I nel 1711, ha lasciato l'arciduca Carlo come il possibile erede di un impero grande come l'Impero di Carlo V, il Sacro Romano Impero e l'Impero spagnolo sotto un unico comando.
Un simile impero spaventa l'Inghilterra più ancora dell'impero spagnolo in orbita francese, la Gran Bretagna e la Francia iniziano negoziati di pace unilaterali.
Tali accordi culminano nel Trattato di Utrecht e l'abbandono dell'alleanza da parte inglese porterà alla pace anche il Sacro Romano Impero nel 1714 con il Trattato di Baden.
I punti principali della pace sono :
Filippo V viene riconosciuto come re di Spagna e delle colonie spagnole.
I possedimenti spagnoli nei Paesi Bassi e l'Italia vengono divisi tra l'Austria e la Savoia,
Gibilterra e Minorca passano agli inglesi.
Luigi XIV si impegna a non offrire un maggiore sostegno agli Stuart nella loro campagna per riconquistare il trono inglese.
La Francia ha dovuto dare diverse colonie americane all'Inghilterra.
La maggior parte dei territori occupati continentali vengono restituiti, primo fra tutti la Baviera.
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Epilogo



Morte e fine di 7 decenni di regno.

la fine del suo lungo regno fu segnata dai primi segni di decadimento del regime e della corte, il declino di egemonia francese nel continente, il fallimento della sua politica coloniale e inquietanti disordini sociali emersero dalle carestie che hanno colpito la gente comune.
Il suo figlio maggiore Luigi, il Gran Delfino, morì prima del padre, nel corso dell'anno 1711 , lasciando tre figli. il maggiore, Luigi Duca di Borgogna , muore di vaiolo nel 1712, seguito per la stessa malattia dal figlio Luigi Duca di Bretagna.
Pertanto, il pronipote di cinque anni di Luigi XIV, Luigi, duca d'Angiò, figlio minore del duca di Borgogna e Deldino dopo la morte di suo nonno, il padre e il fratello maggiore, era il successore al trono di Francia, regnante come Luigi XV, ha 5 anni.
Luigi XIV morì il 1 Settembre del 1715 di cancrena, dovuta alla gotta di cui soffriva , pochi giorni prima del suo settantasettesimo compleanno e dopo 72 anni regno.
Fu seppellito a Saint Denis. si dice con pochissimo rimpianto del popolo francese, affamato dalle troppe guerre, i suoi resti furono dispersi durante la rivoluzione francese.


Fonti:
Il seicento e il Re Sole – autori vari – UTET
I Borboni di Francia – Gabriele Mandel – Mondadori
Gli Asburgo vol I vol. II – Mondadori
L'Italia del seicento – Montanelli, Gervaso – Rizzoli
view post Posted: 27/12/2019, 10:47 Vespasiano Gonzaga Duca di Sabbioneta - Storia Moderna
Vespasiano Gonzaga Duca di Sabbioneta
Campione del rinascimento italiano, o Barbablù della Val Padana?

Sabbioneta è ancora ai nostri giorni una perla di architettura rinascimentale, ora patrimonio UNESCO dell'umanità, fu concepita e realizzata da un uomo che per tutta la vita la volle come ancora oggi possiamo vederla, ma di Sabbioneta dirò poco o niente, ci vorrebbe un trattato di architettura, e qui non mi pare il caso, dato che la sua storia è interessante quanto la sua città, e rappresenta un esempio di Hidalgo spagnolo del XVI sec. di grande successo, cercherò di raccontarla in questo mio scritto:

Il nostro “eroe” apparteneva ad un ramo minore dei Gonzaga, la madre era una Colonna, Isabella, il padre era Luigi, detto Rodomonte come il personaggio dell'Orlando Innamorato, per la sua prestanza fisica,un cronista scrisse: “Da natural forza aiutato, ogni grosso ferro di cavallo con le mani apriva”, capitano di ventura al servizio dell'impero, aveva partecipato con Ferrante Gonzaga al sacco di Roma del 1527, dove non razziarono solo i lanzichenecchi, il Guicciardini dice che gli italiani non furono da meno, probabilmente la “galleria degli antichi”(seconda per lunghezza solo agli Uffizi) di Sabbioneta era piena di souvenir di Roma, passato poi al servizio del Papa, la sua forza non gli servì, nel 1532 venne colpito da una palla d'archibugio mentre espugnava Vicovaro contro Napoleone Orsini, ribelle al Papa, morì per l'infezione poco dopo, a 32 anni.
Così Vespasiano(Fondi, 6 dicembre 1531 – Sabbioneta, 26 febbraio 1591) ad un anno d'età, eredita dal padre una serie di piccoli territori, tra cui Bozzolo, Rivalta e Sabbioneta, che al tempo era solo una rocca difensiva con poche case a far da borgo.
Fu allevato dalla zia Giulia, sorella di Rodomonte, una delle più belle, colte ed intelligenti donne del suo tempo, cosa rarissima essere bella per una Gonzaga, in genere bruttissime e spesso con la gobba, sposò il potente Verpasiano Colonna, mentre Rodomonte ne sposò la sorella, per questo il nostro personaggio fu chiamato così, e si firmerà sempre Gonzaga Colonna.
Praticamente abbandonato dalla madre, fu affidato per decreto papale alla bella, colta zia,, interessantissimo personaggio che mi propongo di trattare in altro scritto, , una volta cresciuto, per toglierlo dall'influenza e dal pericolo della famiglia Colonna, che dalla sua morte avrebbe avuto notevoli interessi ereditari, lo invia, seguendo l'usanza di spedire i rampolli delle famiglie nobili presso le corti europee, allo scopo di migliorare la loro educazione e come atto di sudditanza alla corona alla corte di Carlo V, che lo assegna come paggio d'onore al figlio Infante di Spagna, il futuro Filippo II, di cui diverrà fidato collaboratore, sia come diplomatico che soprattutto come generale esperto sia in assedi, ne compirà ben 5 , che in costruzioni miliari, esistono ancora sue imponenti fortificazioni ancora visibili a S. Sebastiano e a Cartagena, ed ovviamente progettò lui le mura a stella di Sabbioneta, e la ristrutturazione dell'antica rocca, ora purtroppo scomparsa.
La sua carriera fu molto rapida, godette di fama e protezione da parte della corte spagnola, dell'imperatore asburgico e del Papa, a questo punto decide di realizzare la città perfetta: Sabbioneta, Vespasiano la realizzò completamente nell'arco di circa trentacinque anni dal 1556 sino alla sua morte.
La progetta in ogni sua parte e ne controlla la realizzazione ogni volta che torna dai suoi impegni militari o diplomatici, che furono molti, ebbe importanti missioni diplomatiche in Spagna e a Praga, e fu anche governatore del Monferrato per volere del cugino Guglielmo, duca di Mantova.
Come generale combatte per la Spagna nella guerra contro Parma, fronteggiando in Piemonte le truppe francesi e nel Lazio il duca di Guisa, poi nel 1577 è nelle Fiandre, turbolento possesso spagnolo, e qui viene nominato Grande di Spagna e comandante delle truppe in Italia, con cui combatte in Piemonte, assicurando ai Gonzaga il possesso del Monferrato, combattè anche una rivolta di mori nel sud della Spagna.

Grazie ai suoi successi ottenne l'innalzamento di Sabbioneta in ducato autonomo nel 1577, dall'imperatore Rodolfo II d'Asburgo, il che significa che, almeno nominalmente per l'impero era un monarca assoluto ed indipendente tanto quanto il duca di Mantova o qualunque altro regnante.
I suoi feudi comprendevano: in ambito imperiale, nell'Italia settentrionale, il Ducato di Sabbioneta, il Marchesato di Ostiano, la Contea di Rodigo e le Signorie di Bozzolo, Rivarolo Mantovano e Commessaggio; in ambito spagnolo, nell'Italia meridionale, il Ducato di Trajetto, la Contea di Fondi, la Baronia di Anglona, le Signorie di Turino e Caramanico.
Nella sua piccola capitale era ospitata una piccola comunità ebraica, ampliata da Vespasiano con l'apertura di una stamperia scientifica gestita da ebrei, e, cultore di Vitruvio e degli antichi testi greci, promosse una comunità di studiosi detta “Accademia di umanità”, famosa anche la biblioteca ducale, che fu dispersa alla sua morte.

Veniamo ora alla storia personale di Vespasiano, decisamente meno brillante e piena di ombre.

Aveva solo 18 anni quando nel 1549 si innamorò di Diana De Cardona, una giovane nobile siciliana che aveva conosciuto in quanto promessa sposa di suo cugino Cesare Gonzaga, fuggirono insieme e si sposarono a Piacenza per poi condurla subito a Sabbioneta, prevedendo le reazioni della famiglia della sposa ed anche della sua, ci vollero venti mesi prima che il Re di Spagna mettesse pace e concedesse il permesso di ufficializzare il matrimonio.
In questo periodo Diana restò incinta, ma il bimbo nacque morto e pare che anche Vespasiano sia rimasto a letto per mesi a causa di una malattia, una volta guarito riprese le sue funzioni militari lasciando la povera Diana sconsolata e sola in una Sabbioneta in costruzione, dove in pratica c'erano quattro case ed una vecchia fortezza militare e null'altro.
Così, tra campi militari e brevi ritorni alla città in costruzione passarono altri otto anni, fin quando l'8 Novembre 1559 Diana morì, ne diede annuncio vespasiano alla cara zia Giulia con una lettera: E' piaciuto a Dio di chiamare a sé mia moglie per apoplessia, senza che potesse esprimere parola.
Alla cosa non credette nessuno, la faccenda divenne di dominio pubblico, con particolari orrendi.
Pare che Diana aspettasse un figlio adulterino ed avesse una relazione nota con Annibale Ranieri, un piccolo nobile della zona, che improvvisamente sparì, le voci di non pochi cronisti dicono che fu ucciso ed il suo corpo fu portato in una segreta dove fu rinchiusa anche Diana con un'ampolla di veleno, fin quando, col cadavere in decomposizione, non lo bevve.
La cosa è tanto esagerata che fa venire qualche dubbio sulla veridicità, ma sta il fatto che qualche anno dopo fu trovato con la gola tagliata anche Raniero Ranieri, il figlio di Annibale, che avanzava dubbi sulla fine del padre.
Comunque il nostro duca si mise l'animo in pace, e nel 1564 si risposò nientemeno che con una giovane cugina di Filippo II, che a quanto si disse scatenò un altro amore appassionato come il primo, grazie ai soliti buoni uffici del Re si vinsero le renitenze della famiglia ed il matrimonio si celebrò a Sabbioneta in gran pompa, ma tre anni dopo altro colpo di scena, la bella aragonese si ritira in un eremo a Rivarolo e dopo pochi mesi, senza ricevere neppure i figli, un maschio ed una femmina, muore.
Il duca, che non era mai andato a visitare l'”autoreclusa” non scrisse neppure ai parenti,
Della faccenda resta una lettera scritta da Vespasiano al Rota, un amico: I conforti degli amici mi son cagione di tormento, che mi fa dei beni della terre se mi fallan quelli dell'anima? L'affetto voglio dire dei miei cari? Fuori di casa onori al mio nome, dentro irriverenza e talora, anche vergogna.
Ovviamente non ci volle molto alla vox populi per trarre le conclusioni, giuste o malevoli che siano, anche perchè non è finita, continua come in una tragedia shakespeariana.
Anni dopo, venuto in diverbio col figlio quindicenne, che risponde male ad un rimprovero in presenza di amici, gli scaglia un calcio nel basso ventre, ne venne fuori, si disse, un'ernia che lo portò alla morte.
Pare che quest'ultima tragedia portasse il Duca in uno stato di completa frustrazione, ma non gli impedì di sposarsi la terza volta nel 1581 con Margherita Gonzaga di Guastalla, di 19 anni, il duca,ormai stanco ed ammalato di sifilide, dopo il matrimonio non lasciò più la sua amata città, ma a causa forse della malattia, non ebbe altri figli.
L'eredità passò alla figlia superstite, ma la dinastia si spense.
view post Posted: 20/12/2019, 11:23 Assedio di Torino 1706 Trionfo dei Savoia - Storia Moderna
Assedio di Torino 1706, Trionfo dei Savoia

L'Assedio di Torino segnò una data basilare per la Storia d'Italia, i Savoia misero in gioco la loro stessa esistenza come stato autonomo, avessero perso, il ducato si sarebbe dissolto, ma vinsero, e il ducato diventò un regno, non più dipendente dalla corona francese, che da questo momento perse ogni influenza in Italia, con conseguenze importantissime sulla Storia seguente, fino al Regno d'Italia.
Non fu una semplice battaglia, segnò una svolta negli equilibri del nostro paese.

Antefatti:
A Madrid, il 1° Novembre 1700, Carlo II, Asburgo di Spagna, moriva senza eredi.
A contendersi l'eredità la Francia del Re Sole e l'Impero Austriaco, che giunsero ben presto alle armi.
A fianco della Francia si schierarono la Baviera e il Ducato di Savoia,
Con l'Impero l'Inghilterra, Olanda ,Prussia e Portogallo.

Il duca di Savoia, Vittorio Amedeo II aveva aderito obtorto collo all'alleanza del vicino francese, che aveva sempre trattato il suo stato come un vassallo, quando nell'estate del 1701 l'esercito imperiale, comandato dal principe Eugenio di Savoia, cugino di Vittorio, invase la Lombardia, sconfiggendo le armate franco-spagnole, il duca vide la possibilità di uscire dalla subordinazione francese e intavolò iniziative segrete con gli imperiali, la cosa era molto azzardata, metteva in gioco il suo regno e la sua dinastia, in caso di sconfitta i Savoia sarebbero stati considerati traditori e sarebbero stati cancellati dalla Storia.

Il Ducato di Savoia cambia campo e si schiera con l'Impero Asburgico.
Il cambio di campo avvenne nel 1703, ma la Francia se lo aspettava ed iniziò subito una vasta offensiva ed una dopo l'altra tutte le piazzeforti sabaude capitolarono, Eugenio di Savoia in quel momento era impegnato sul Danubio a contrastare l'offensiva franco-bavarese che minacciava direttamente Vienna, quindi il Piemonte rimase isolato.
Dopo 2 anni di violenti combattimenti nell'Estate del 1705 i francesi arrivarono alle porte di Torino.
Eugenio di Savoia, rientrato in Lombardia era stato sconfitto dai francesi a Cassano d'Adda il 16 Agosto 1705, aveva dovuto ritirarsi ed era anche stato ferito.
Il comandante delle forze francesi, maresciallo de La Feuillade, pose l'assedio a Torino, ma non avendo artiglieria pesante, decise col consenso del Re di rimandare l'assalto alla primavera successiva.

Torino era ben difesa da solide e moderne mura, rafforzate da un complicato sistema di “controguardie” fortilizi a forma di freccia, che schermavano le difese principali dai cannoni nemici, la cosiddetta “traccia bastionata” ,con una poderosa cittadella pentagonale.
Altra difesa fu l'ampliamento della rete di gallerie che si estendevano dalla cittadella con gallerie di contromina, per individuare e distruggere le gallerie di mina francesi.
Furono stipate provviste per 5 mesi e messi a coltura tutti gli spazi disponibili in città, le strade vennero disselciate per evitare i rimbalzi e le schegge, ed i tetti ricoperti di zolle erbose contro i proiettili incendiari.

L'assedio di Torino.
Così, quando il 14 Maggio del 1706 La Feuillade tornò a Torino con i cannoni ed un nuovo esercito di 44.000 uomini e 230 cannoni, la città era pronta, e trovò una Torino alquanto diversa dall'anno prima, il maresciallo de Vauban, forse l'ingegnere militare più valente dei suoi tempi, consigliò di attaccare la città da Sud e da Est, La Feuillade fu di diverso avviso, decise di attaccare da Ovest, il lato della cittadella, sicuro di avere i mezzi per distruggerla velocemente, e caduta quella, Torino sarebbe caduta, fu probabilmente il fattore tempo ad influenzarlo, Eugenio stava arrivando, ed anche lui aveva un esercito rinforzato, anche conquistando la città, la cittadella avrebbe potuto resistere autonomamente per mesi.
Torino fu completamente isolata con opere di vallazione rivolte verso le mura, e controvallazione contro eserciti di soccorso.
Nel frattempo Vittorio Amedeo, il 16 Giugno, manda a rifugiarsi nella Repubblica di Genova tutta la famiglia, e il giorno dopo, radunata la cavalleria, 3,000 uomini, la guidava fuori città, prima che fosse completamente circondata, verso le zone ancora libere a Sud, per raccogliere aiuti e per organizzare la guerriglia, in città rimase il maresciallo imperiale Virico Von Daun con circa 10.000 uomini.
Due giorni dopo iniziarono i primi bombardamenti, nei mesi successivi vennero rovesciati sulla città 150.000 proiettili di tutti i tipi, mentre proseguiva il bombardamento le trincee avanzavano verso le mura e le gallerie di mina si insinuavano sotto di esse, in una guerra sotterranea terribile, dove si cercava a tentoni di eliminare le gallerie nemiche, i francesi per scalzare le difese della cittadella e i piemontesi per distruggere le postazioni e le artiglierie francesi.
I primi frutti giunsero ad inizio Agosto, dopo giorni di feroce guerra sotterranea i francesi il 5 del mese presero una porzione esterna delle difese, al costo di 300 caduti, ma ormai erano giunti a ridosso della cittadella e potevano schierare le artiglierie a distanza ravvicinata.
Nel frattempo il duca di Orleans cerca in ogni modo di rallentare l'avanzata di Eugenio di Savoia,cui giungono in continuazione richieste di soccorso da parte del Daun, comandante di Torino.

Eugenio di Savoia, respinto l'anno prima, sapeva che questa volta non poteva fallire, una terza occasione era impossibile, con un'armata da lui bene organizzata, ormai sa che non c'è più tempo, deve correre, il 6 Luglio 1706 con un diversivo elude la sorveglianza francese e riesce a traversare l'Adige, e dopo avere ripetutamente sconfitto le truppe del duca di Orleans, frettolosamente mandate a fermarlo, iniziò una frenetica marcia verso Torino, lungo la riva meridionale del Po, incurante delle “regole” delle guerre settecentesche, abbandonò volontariamente le regolari linee di rifornimento, un grosso rischio, ma ben calcolato, dato che si rivelerà vincente.

Il 24 Agosto i sabaudi annientano, con una galleria di mina 4 batterie di breccia francesi, che stavano sgretolando la zona più danneggiata delle mura e con rapide azioni d'attacco conquistano alcune trincee, La Feuillade, dopo aver riconquistato a fatica le posizioni il 26 rinnova l'attacco, ora è lui che riesce a fare esplodere potenti mine che fanno tremare tutta Torino, un tratto di mura cede e cade ne fossato, i francesi lo raggiungono con scale e fascine e cercano di entrare, i granatieri sabaudi si lanciano al contrattacco nel fossato e ricacciano gli assalitori, la battaglia continua di notte, alla luce degli incendi e delle esplosioni, e a questo punto avviene un disastro, una bomba colpisce la santabarbara torinese, ma i francesi non se ne avvedono e interrompono l'attacco quasi contemporaneamente, quando si riorganizzeranno sarà tardi, gli incendi della santabarbara vengono spenti e la breccia viene riparata come si può e fortemente difesa.
Il 27 si combatte un'altra tremenda battaglia, ma alla fine i francesi vengono respinti, l'assedio durerà altri 11 giorni, il 29 Agosto Pietro Micca si sacrifica facendo saltare un cunicolo attraverso cui un'avanguardia francese stava penetrando in città.
Intanto il duca d'Orleans, per una serie di errori non è riuscito a fermare gli imperiali che stanno avanzando, e distacca parte delle sue truppe a Torino, convinto che possa cadere prima degli arrivi dei soccorsi.
La Feuillade il 31 Agosto gioca la sua ultima carta, lancia un attacco di massa, ma durante l'attacco una vasta mina torinese che fa saltare in aria cannoni e granatieri francesi, risolve la giornata, sbigottiti gli attaccanti fuggono, nonostante le esortazioni degli ufficiali.

Due giorni prima Vittorio Amedeo ed Eugenio si erano ricongiunti, con le loro truppe, vicino a Carmagnola, non si vedevano da 10 anni, e si dirigono sul colle di Superga, che domina la città, per studiare un piano d'attacco, vista direttamente la situazione, si accorgono che le difese della città non possono reggere ulteriormente, e decidono un attacco frontale diretto.
I francesi di La Feuillade e del duca di Orleans ammontavano a circa 45.000 uomini, di cui 10.000 a cavallo, Gli imperial-piemontesi si dice a 30/35.000, comprese le forze di difesa torinesi, ma solo 24.000 sono veri soldati, di cui 6.000 a cavallo, gli altri sono popolani in armi.

Martedì 7 Settembre 1706 è il giorno della battaglia finale.

L'ala sinistra avanza verso i francesi, ma è troppo rapida e scoordinata ed è costretta a ripiegare, si ricomincia con l'artiglieria, quindi l'assalto frontale, con varia fortuna, la prima linea vacilla, interviene a dar man forte la seconda, ma la situazione è in stallo.
Sarà Vittorio Amedeo a risolvere lo stallo, i suo ussari lo informano che lungo la Stura c'è una lingua di ghiaio che i francesi non hanno fortificati, convinti fosse inagibile.
Con gli assari ed alcune compagnie di granatieri si precipita in quella direzione ed attacca i francesi al fianco di sorpresa.
Contemporaneamente contemporaneamente il principe Leopoldo I di Anhalt attacca di fronte con i suoi prussiani, i franco-spagnoli del duca d'Orleans, presi tra due fuochi cedono, ma il fronte è squilibrato, in alcuni settori i francesi paiono prevalere, Eugenio di Savoia deve intervenire personalmente con la cavalleria per tamponare, e rischia grosso, il suo cavallo viene ucciso rovinando a terra, ma il nemico viene fermato.
Davanti ad un contrattacco anche Vittorio Amedeo deve smontare da cavallo con la sua guardia e difendere la posizione, il duca d'Orleans viene ferito due volte, ed il maresciallo Marsin riceve ferite che lo porteranno alla morte.
La battaglia resta incerta, ma dalle mura di Torino escono in massa i resti della guarnigione guidata dal conte Virico Daun (vero nome Wierich Von Daun), 5.000 soldati e 8.000 popolani armati ed attaccano i francesi alle spalle, e comincia l'effetto domino, il fronte degli assedianti si sfalda, anche i francesi non ancora impegnati in battaglia prendono la fuga, in 3 quarti d'ora la battaglia diventa una completa rotta franco-spagnola, a mezzogiorno la battaglia è finita, e la sconfitta francese è umiliante, le cavallerie imperiali e savoiarde non hanno pietà, attaccano i fuggitivi per tutto il percorso di fuga, quanti siano state le vittime nel travagliatissimo percorso verso la Francia dell'esercito sconfitto non lo sapremo mai.

I Savoia, con i principi ed i duchi alleati entrano in Città tra l'entusiasmo popolare e nel Duomo ringraziano Dio per la vittoria, poi raggiungono la cittadella e sugli spalti il duca si inginocchia in preghiera.
Nella battaglia 52 ufficiali e 892 soldati sono morti tra le forze imperiali-piemontesi182 ufficiali e 2.120 soldati feriti.
I galloispanici hanno avuto 2.000 caduti e 6.000 prigionieri, senza contare quelli annegati nel Po e nella Dora, che si dice fossero molti.
L'esercito del Re di Francia, composto originariamente da 45.000 uomini, quando raggiunse le linee francesi ne contò meno di 19.000.

Torino è a pezzi, ma salva, da questo momento il Re Sole perde ogni territorio ed influenza militare in Italia.
Con la pace di Utrecht, sette anni dopo, il Piemonte si libera definitivamente della sudditanza francese, i Savoia si riappropriarono del contado di Nizza, ricevettero la Sicilia (e con essa il titolo di Re), che in seguito venne sostituita dalla Sardegna, il Monferrato, Alessandria, Valenza, tutta l'alta Val di Susa, Pinerolo e parti del territorio milanese.
Da questo momento il Regno di Sardegna diventa una potenza indipendente in Italia, ed alcuni fanno iniziare qui, il Risorgimento Italiano.

Fonti:

L'Assedio di Torino – Fabio Galvano – Storica, National Geographic

Il Seicento e il Re Sole – autori vari – UTET

L'Italia del Seicento – Montanelli, Gervaso - Rizzoli

I borboni di Francia – Gabriele Mandel – Mondadori

Gli Asburgo II° vol. - Vittoria Vandano – Mondadori

Assedio di Torino – Nicola Zotti - Civiltà
view post Posted: 27/3/2019, 13:37 FILIPPO MARIA VISCONTI - Storia Medievale
Filippo Maria Visconti, un paranoico al potere.

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Mi interessa soprattutto descrivere la vita “personale” di un personaggio incredibile, che, nonostante la sua follia fece di Milano una potenza influentissima militarmente ma soprattutto diplomaticamente sullo scenario italiano, e non solo, fu un folle genio della dissimulazione, usò tutti come pedine di un gioco senza regole, imprevedibile, pronto all'inganno ed al tradimento, costruendo piani complicati ed astuti, per poi stravolgerli senza una vera logica chiara, astuto ed imprevedibile, e tutto questo senza praticamente mai uscire dai suoi 2 castelli, quello di Porta Giovia a Milano e a volte, quello di Abbiategrasso, isolato da tutti, circondato solo da alcuni segretari e paggi, i milanesi lo videro poche volte, praticamente mai negli ultimi anni di potere.

Prologo

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Gian Galeazzo Visconti muore all'età di 55 anni di peste nel suo castello di Melegnano, dove si era rifugiato da Milano sperando di evitare il contagio, lasciava il Ducato di Milano più esteso e militarmente potente che mai, usando ogni mezzo ed ogni tipo di violenza.
Gian Galeazzo nel 1387 era riuscito ad imprigionare con l'inganno lo zio Bernabò Visconti, signore di Milano, rinchiudendolo nel castello di Trezzo sull'Adda, ove morì alcuni mesi dopo, con tutta probabilità avvelenato.
Nei suoi 15 anni di “regno” riuscì ad allargare i suoi domini fino a Verona e Vicenza ad est, il Monferrato ad ovest e Perugia a sud, comprò dall'Imperatore il titolo ereditario di Duca e fece costruire la Certosa di Pavia e l'inizio dei lavori del Duomo di Milano, oltre a tante altre opere di interesse pubblico.
Prima di morire, spartì il ducato tra i suoi figli legittimi ed illegittimi, Al figlio Giovanni Maria lasciò il Ducato di Milano che comprendeva Milano, Como, Lodi, Cremona, Bergamo, Brescia, Reggio Emilia, Piacenza, Parma, Perugia e Siena. A Filippo Maria, che all'epoca aveva 12 anni assegnò Pavia col titolo di conte, Vercelli, Novara, Alessandria, Bobbio, Tortona, Feltre, Verona, Vicenza, Bassano e la riviera di Trento. Infine a Gabriele Maria, figlio illegittimo, Pisa e Crema., indebolendo di fatto il Ducato, che col successore cominciò a dissolversi..
Il titolo ducale ovviamente passò al primogenito Giovanni Maria, incapace e sadico, Venezia occupò le città venete e tutti i territori ad ovest e a sud conquistati dal padre andarono persi, combinò tante violenze e prepotenze verso il popolo e la Chiesa, che il commercio e l'artigianato decaddero e con questi anche l'intera economia del ducato, che si sostenne solo grazie alle terribili truppe di Facino Cane, suo capitano di ventura, ma quando questi cadde gravemente ammalato una congiura sostenuta dagli eredi di Bernabò Visconti lo uccise sui gradini di una chiesa il 16 Maggio 1412 .

Facino Cane, morente, fece giurare ai suoi capitani di porre sul seggio ducale l'erede Filippo Maria, con la condizione che questi sposasse, dopo la sua morte, sua moglie, Beatrice di Tenda, ciò che infatti accadde.

Nascita, ascesa alla signoria di Pavia, fino alla presa di potere sul Ducato di Milano.

Ma veniamo finalmente al nostro personaggio, ed alla sua vera storia, talmente folle che sembra la trama incredibile di un pessimo scrittore di romanzi pseudo storici, che cercherò di descrivere.

Nasce nel castello di Porta Giovia a Milano il 23 settembre 1392, un lunedì “verso il sesto minuto dopo il levar del sole”, così dice il suo biografo e segretario personale Pier Candido Decembrio.
Giovanni de Balbis, medico di corte, per compiacere forse il padre, lo aveva dichiarato sano e di robusta costituzione, ma in effetti da subito si dimostrò gracile e delicatissimo, forse perchè figlio di due primi cugini, si pensò che non sarebbe sopravvissuto, ma da subito fu imprevedibile, come lo sarà per tutta la vita, e sopravvisse.
A 10 anni fu mandato al castello di Pavia, di cui almeno nominalmente assume la signoria in nome del padre col titolo di conte di Pavia, dove resterà per altri 10 anni, pare vivendo un periodo tranquillo, non inquinato dalle vicende politiche e militari del tempo, senza l'avviso della progressiva nevrosi che l'accompagnerà per il reso della vita, aveva precettori che con poco successo cercarono di insegnargli la cultura ufficiale, ma sembra che i suoi libri preferiti fossero i romanzi cavallereschi, i libri di Storia ed i sonetti del Petrarca.
Gli piaceva la compagnia dei coetanei, giocare a palla e soprattutto la caccia, e come tutti i Visconti, amava i cani, ne aveva, dicono, una cinquantina, si impegnava ed interessava anche dell'uso delle armi, ma già allora tendeva ad ingrassare mangiando smodatamente, iniziando quel decadimento fisico che lo accompagnerà tutta la vita.

Presa di potere.

Così a vent'anni si ritrovò a dover sposare la vedova di Facino Cane, Beatrice di Tenda (vero nome Beatrice Lascaris di Ventimiglia), che aveva il doppio della sua età, e che oltre alle terre del marito ne aveva ereditato il grande esercito mercenario, unica difesa militare del ducato e della signoria Visconti.
Pare che nel viaggio verso Milano Filippo fosse terrorizzato, non sapeva se l'avrebbero acclamato o ucciso all'istante.
Beatrice, per cui si inventò a posteriori una altisonante origine araldica, era molto probabilmente la figlia di un venturiero di carriera al servizio dei Visconti, non era certo la nobildonna che i futuri cortigiani descriveranno, ma non era nemmeno la figlia di una lavandaia, come diranno i nemici dei Visconti, resta il fatto che come moglie di Facino Cane e sua migliore consigliera, aveva raggiunto un prestigio che la portava a rappresentare gli interessi dell'intera compagnia militare ereditata, come se fossero suoi.
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Lei aveva 40 anni e lo sposo 20, e probabilmente non si erano mai visti, ma la situazione non permetteva altre scelte, il ducato versava nel marasma, spuntavano pretendenti da ogni dove, appoggiati dai nobili e dal popolo in rivolta, primi fra tutti i discendenti di Bernabò, Filippo Maria come fratello del defunto duca, vantava il diritto di successione più valido, ma non aveva le forze per reclamarlo, Beatrice di Tenda non aveva alcun diritto, ma aveva denaro, terre e soprattutto un grande esercito che avrebbe protetto i diritti di Filippo, separati non avevano speranze, uniti avevano il potere a portata di mano.
Benchè un cronista la definisse “annosa femina” il matrimonio all'inizio parve funzionare, le truppe di Facino ristabilirono l'ordine costituito e Filippo ebbe un comportamento affettuoso con la moglie, da molti documenti trapelano molte attenzioni e premure per Beatricina, come lui la chiamava.
Ormai timoroso di tutto, anche delle ombre, aveva cominciato a sviluppare una personalità paranoica. pare che solo di lei si fidasse ciecamente, accettava addirittura solo il cibo che lei gli porgeva.
E si può sospettare che fosse sincero, anche se per un simile personaggio, che sarà maestro di simulazione ed inganni, una simile ipotesi è alquanto rischiosa, o forse nella sua condizione psichica, nemmeno lui sapeva fino a che punto dissimulasse o fosse sincero.
Fatto sta che i milanesi, 6 anni dopo le nozze, nell'estate del 1418, appresero che Beatrice era stata giustiziata nel castello di Binasco, riconosciuta colpevole di adulterio.
Alla cosa non credette nessuno, nei 6 anni passati Filippo aveva riconquistato parte dei territori persi, tranne quelli veneti, e compattato il ducato, l'economia rovinata dalle follie del predecessore era rifiorita, ed ormai controllava direttamente i capitani mercenari che lo servivano, non aveva più bisogno della moglie, come di nessun altro, la sua misantropia è ormai patologica, condita di continue paure irrazionali e di superstizione, si rivolge a maghi ed astrologi, senza i quali non prende decisioni, si isola completamente nel castello di Porta Giovia, da cui non esce se non obbligato da impegni istituzionali improrogabili, circondato solo da pochi fedelissimi e da parecchi giovani paggi adolescenti, che fecero nascere molte dicerie sui suoi gusti sessuali, di bell'aspetto e che non lo abbandonavano mai.
Aveva anche un'amante ufficiale, una sola in tutta la vita, Agnese del Maino, figlia di Ambrogio del Maino, conte palatino e questore ducale, i suoi fratelli Lancillotto e Andreotto erano cortigiani e membri del consiglio ducale.
Da lei ebbe due figlie, ma ne sopravvisse solo una, Bianca Maria, di cui poco si interessò personalmente, ma che nella nostra storia avrà una grande importanza.
Personalità paranoica, faceva controllare da spie tutti e tutto, non si fidava di nessuno, eccitava gli uni contro gli altri, certo che seminando discordia impedisse loro di unirsi contro di lui, affiancando anche solo nominalmente un incapace ad un uomo di valore, attribuendo poi all'inetto il merito delle azioni compiute, mettendo tutti in una situazione di precarietà continua, con una rete intricatissima di manovre diplomatiche e guerre continue.
Eppure quest'uomo per 35 anni dominò con mano di ferro uno degli stati più potenti d'Italia, lui che aveva paura del buio e di notte disseminava per le stanze adiacenti la sua un manipolo di uomini armati che lo difendessero dai suoi fantasmi immaginari.

Quando morì Giorgio Ordelaffi, signore di Forlì, questi nel testamento nominò tutore del figlio bambino Teobaldo proprio il duca di Milano, che vide l'occasione per tentare la conquista della Romagna, nel 1423 scoppiò la guerra con Firenze, fermamente decisa a contrastarne le ambizioni.
Venezia, perennemente in contrasto con Milano, stava cercando di costituire un dominio di terra in Veneto che giungesse fino all'Adda ed alle prime sconfitte subite dai fiorentini intervenne a loro sostegno, portando la guerra in Lombardia, dove il Carmagnola, ex capitano visconteo passato a Venezia, conquistò Brescia, che lui stesso aveva conquistato per il Visconti 5 anni prima, e la sponda orientale del Garda, questo convinse Filippo Maria alla pace, che comportò la cessione di Brescia alla Serenissima e la restituzione al Carmagnola di tutti i suoi averi sequestrati dal duca rimasti a Milano, dopo che il capitano di ventura, in contrasto con le follie del duca se ne era andato.
Ma ben presto la lotta riprese, fino alla battaglia di Maclodio (1427) dove il Carmagnola catturò praticamente tutto l'esercito milanese e la conseguente Pace di Ferrara, con la perdita definitiva di Bergamo e Brescia.
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Poco dopo Filippo dovette temere una grande coalizione, a Venezia e Firenze si aggiunsero Ferrara, Mantova, il Monferrato e il duca di Savoia Amedeo VIII, il ducato sarebbe stato attaccato da tutti i lati, la situazione sembrava disperata, ma il mefistofelico duca, che aveva spie e contatti ovunque, con la diplomazia e molto probabilmente anche con la corruzione riuscì a seminare discordie tra Firenze e Venezia, e poi a sorpresa......sposò senza dote la figlia del Savoia il 2 Dicembre 1427 e salvò capra e cavoli, la coalizione si sciolse.
Maria di Savoia aveva 16 anni, lui 35, ma pare che il matrimonio non sia mai stato consumato, la sposò per procura, il duca non lasciava mai i suoi castelli, la vide, si sospetta, forse una volta sola al suo arrivo a Milano nel 1428, poi la chiuse nel palazzo dell'Arengo e se la dimenticò, la “archiviò” insomma, come un indispensabile documento diplomatico, ma nulla di più, il che a lungo andare portò nuovo astio col Savoia, subissato dalle lamentele della figlia.
Il Visconti fomentava disordini in tutta Italia, verso il 1430 ricevette un'ambasceria di Paolo Guinigi, signore di Lucca, in cui gli si chiedeva segretamente aiuto contro Firenze, che dopo ripetute minacce stava preparando un potente esercito per attaccarlo definitivamente.
Filippo Maria non vedeva l'ora di disfare i piani dei fiorentini, che erano suoi alleati, cui era legato da un mutuo trattato di pace, che impediva ai contraenti anche di aiutare i loro reciproci nemici.
La soluzione il Duca la trovò subito, tolse il soldo allo Sforza, almeno formalmente, proclamando il licenziamento della sua compagnia, che diventava quindi libera da impegni, ma sottobanco lo finanziò e praticamente lo “prestò” al Guinigi con un contratto segreto che impegnava lo Sforza ad abbandonare senza preavviso il signore di Lucca se il Visconti lo avesse richiamato.
Così Francesco partì verso la Lucchesia con 450 lance (ogni lancia era composta da 3 cavalieri, uno in armatura pesante) , più altre 50 come guardia personale del Guinigi e 200 fanti.
L'impresa non fu difficile, il capitano fiorentino Niccolò Fortebracci, appena avvistata l'avanguardia sforzesca, invece di affrontarla tagliò velocemente la corda e si asserragliò a Ripafratta, Francesco punta su Lucca ed elimina rapidamente i presidi fiorentini nel pistoiese e a Borgo a Buggiano, mentre Pescia gli resiste, torna quindi a Lucca mentre viene segretissimamente contattato dai fiorentini perchè abbandoni Guinigi al suo destino, Francesco temporeggia e avvisa Filippo Maria dei contatti, ma il mefistofelico duca ha altri piani preparati da tempo, a Lucca ha una fazione segreta pronta ad insorgere, diverse famiglie importanti che fomentano una rivolta spargendo la voce, o meglio la calunnia che il Guinigi stia vendendo Lucca ai fiorentini, infatti una rivolta popolare capeggiata da Pietro Cenami e Lorenzo Buonvisi il 15 agosto 1430 depose Paolo Guinigi e la repubblica venne formalmente restaurata, in realtà sarà un satellite nell'orbita viscontea. Paolo venne processato e condannato a morte, poi per ordine del Duca di Milano fu arrestato con tutta la famiglia e consegnato al Visconti, e morì nel 1432 in carcere a Pavia prigioniero del duca di Milano.
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Il matrimonio della figlia Bianca Maria con Francesco Sforza.

Per quale ragione l'infido Duca, così orgoglioso delle nobilissime origini viscontee, abbia promesso in sposa, prima verbalmente e poi con regolare contratto la sua unica figlia a Francesco Sforza, da lui apertamente considerato un venturiero figlio di un contadino diventato capitano di ventura, si può spiegare solo con la facilità con cui Filippo Maria rompeva le promesse, d'altronde Bianca Maria aveva 7 anni e prima dei 12/13 il matrimonio non poteva essere celebrato.
Così il 23 Febbraio 1432 nel Castello di Porta Giovia a Milano viene formalmente firmato il contratto di nozze.
Quando la sposa ebbe compiuto i 13 anni, nel 1438, Francesco chiese che il contratto venisse rispettato, a quel tempo era passato al soldo di Venezia e minacciava di invadere il ducato, quindi il Duca si disse pronto alla cerimonia mentre contemporaneamente e segretamente offre Bianca Maria in sposa ad un Gonzaga.
Ma questo naturalmente Francesco non lo sa, annuncia ai fratelli e al mondo intero le prossime nozze che dovevano celebrarsi nel suo feudo di Fermo, arriva addirittura a fare allontanare la Colombina, sua storica amante dal castello del Girifalco di Fermo, che lei occupava da anni, mentre arrivavano da tutta Italia messaggi di congratulazioni e i primi regali di nozze, Filippo Maria fece marcia indietro, lo Sforza fece fuoco e fiamme, minacciando tremenda vendetta, come sempre il Duca, mellifluo e infido in ogni occasione, disse che il matrimonio era solo rimandato, se ne parlerà più avanti, Francesco lo mandò al diavolo e la faccenda prese il colore della farsa, il 19 Agosto 1440 Filippo Maria offre la figlia in sposa a Lionello d'Este, il 20 Settembre e il 2 Ottobre di nuovo a Francesco, il 7 e l'8 ottobre contemporaneamente a Francesco e Lionello.
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Ma nell'estate dell'anno dopo lo Sforza, privato nel Regno di Napoli dei suoi feudi, occupati da Alfonso I di Napoli, dovette riconciliarsi col Visconti, che nel frattempo aveva bisogno di lui per liberarsi dei ricatti inaccettabili del suo nuovo condottiero Niccolò Piccinino.
A questo punto furono necessarie poche settimane per giungere al matrimonio, che doveva celebrarsi a Cremona, nella chiesetta di S.Sigismondo, ben fuori dalle mura della città, dove gli sposi sarebbero entrati solamente dopo il matrimonio, Francesco, conoscendo il suocero prese tutte le precauzioni possibili, prima annunciò che il matrimonio poteva essere celebrato per procura, lui sarebbe arrivato solo dopo essere stato sposato, pochi giorni prima della cerimonia un gruppo di cavalieri si presenta alla porta del castello di Santa Croce a Cremona, dove Bianca Maria è alloggiata con le sue dame, è lo Sforza in incognito con alcuni dei suoi, Bianca Maria che ha 16 anni prima tituba, ma Francesco sa di essere in territorio ducale e ha fretta, temendo che la sua presenza venga riferita e possano esservi azioni contro di lui, quindi la futura sposa lo riceve, Francesco temeva che la sposa fosse della stessa pasta del suocero e a questo molto legata, in effetti Bianca Maria col padre ha avuto pochissimi legami e si dimostra attratta da questo sposo più maturo di lei, ma aitante e deciso, sposare un simile avventuriero la eccita, da subito tra loro si crea un legame che durerà tutta la vita, Francesco riparte rincuorato, rinunciò al matrimonio per procura e chiese solo che il corteo della sposa arrivasse alla chiesa prima del suo e che le fortificazioni di Cremona passassero ai suoi il giorno prima.
Il 25 Ottobre 1441 si celebrarono le nozze, il padre della sposa non c'era, ma questo se l'aspettavano tutti, il Duca non lasciava mai per nessuna ragione il castello di Milano.
Il corteo nuziale fu enorme, sfarzosissimo, a Cremona è ancora un mito, si dice che il torrone sia nato quel giorno, prese il nome da una torta a forma di torrazzo offerta agli sposi.

La contraddizione pare fosse l'unico principio ispiratore della sua politica, faceva cose che agli avversari parevano illogiche, che li spiazzava completamente, era una specie di rapporto paranoico col mondo esterno e persino con se stesso, sempre circondato da astrologi e maghi, il Decembrio dice:“Qualora in sogno gli si fosse presentato un presagio sfavorevole, da sveglio si dava a scongiurarlo. Perciò, rivolto ad oriente, supplicava a voce sommessa: modo di preghiera che veniva detto “Secretum” quindi si girava verso occidente; infine alle rimanenti parti del cielo”.
Fece tagliare i sorbi dovunque si trovassero, asserendo di aver appreso che la loro ombra era un incentivo di peste… Ordinò di sterminare tutti i corvi… Se per sbaglio gli capitava di infilare la scarpa sinistra invece della destra, lo considerava pessimo auspicio.

Altra ragione di timore: sentir cantare gli uccelli in modi insoliti, specie di notte.
Infausto imbattersi di venerdì in qualcuno che si fosse rapato, o catturare il mattino con le mani uccelli, o montare a cavallo nella festa di S. Giovanni Decollato”.
Poiché temeva più di tutti i temporali, fece coniare una medaglia d’oro raffigurante i moti dell’etere tenuti lontani per virtù degli astri.
Costruiva complicati disegni politici spesso lucidissimi, che, sul punto di realizzarsi, cambiava o addirittura rivoltava, un esempio lampante è la vicenda che lo coinvolse con Alfonso d'Aragona.
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Nel 1433 Alfonso V d'Aragona e Sicilia, era riuscito a farsi reintegrare dalla regina Giovanna II di Napoli quale erede del regno, ma successivamente, quando il duca di Calabria, il primo erede di Giovanna II, Luigi III d'Angiò, morì, Giovanna II nominò suo successore il fratello di Luigi, Renato d'Angiò, e quando la regina stessa, nel febbraio del 1435, morì, lasciò effettivamente il regno a Renato, perché papa Eugenio IV, signore feudale del Regno di Napoli, aveva negato il suo gradimento a re Alfonso.
Alfonso d'Aragona perciò, accompagnato dai fratelli Giovanni ed Enrico, a cui si unì anche Pietro, tornò nel Napoletano, occupò Capua e pose l'assedio a Gaeta; quindi la flotta aragonese affrontò la flotta genovese che, per conto del Visconti, alleato dell'Angiò e del Papa, andava a portare vettovaglie agli assediati di Gaeta, ma Alfonso e i suoi fratelli, alla battaglia di Ponza, furono sconfitti e fatti prigionieri dai Genovesi, solo Pietro riuscì a fuggire con due galee.
I prigionieri furono consegnati al Duca di Milano, una vittoria insperata, incarcerati prima nel castello di Porta Giovia, in pochissimo tempo da prigioniero Alfonso diventò l'ospite d'onore del castello, non si sa come e perchè, Filippo Maria, che non aveva mai avuto amici, si invaghì del nemico sconfitto, si fece convincere che era interesse di Milano abbandonare il Papa e gli Angiò, fino al punto di liberarlo senza alcun riscatto, una follia che gli costò l'inimicizia di Genova e del Papa, disfando improvvisamente tutta la politica intessuta fino a quel momento senza alcuna evidente contropartita, nessuno ha mai capito che ragioni potessero spingerlo, se non la follia.
Immediatamente Genova si ribella, tratta con Firenze e Venezia, e tutti i nemici dei Visconti, si forma una lega anti viscontea che preoccuperà Milano fino alla morte del duca.
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Epilogo.

E la morte arrivò nella notte tra il 13 e il 14 Agosto del 1447 nel castello di Porta Giovia, morì da misogino impenetrabile ad ogni affetto, temuto ed odiato da tutti, come era vissuto, il 12 Agosto ordinò che disponessero il letto verso il muro, e guardando verso quello spirò solo e senza una parola e disposizioni per la successione il giorno dopo.
Lasciava una figlia illegittima ma riconosciuta e una Milano senza amici e in confusione, dopo di lui il diluvio......fu proclamata l'Aurea Repubblica Ambrosiana, il Castello di Porta Giovia fu distrutto fino alle fondamenta, sul luogo sorgerà poi il Castello Sforzesco, costruito da Francesco Sforza, che aveva sposato la figlia, e dopo romanzesche vicende il Ducato ebbe un altro duca, che all'inizio del suo potere si firmava Visconti Sforza, iniziava una nuova dinastia.

Fonti:

I Visconti – Paolo Pacca – Mondadori
I terribili Sforza – Antonio Perria – Longanesi
L'Italia dei secoli d'Oro – Montanelli e Gervaso – Rizzoli
Umanesimo e Rinascimento – autori vari – UTET
La Storia, il Medioevo, vol. I-II – autori vari – Utet
Cavalieri, mercenari e cannoni. L'arte della guerra nell'italia del Rinascimento-Marco Scardigli-Mondadori
Storia delle compagnie di ventura in Italia vol.II -III – Ercole Ricotti – edizioni dell'Ariete
Gli Sforza - Giovanni Piazza – Mondadori
www.storiadimilano.it/Personaggi/Visconti/filippomaria.htm

Edited by Romeottavio - 27/3/2019, 18:38
view post Posted: 11/3/2019, 18:10 l'Enciclopedie, il manifesto dell'Illuminismo - Storia Moderna
Encyclopédie

o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri

Da giovanissimo in una libreria remainder mi capitò di trovare dei fascicoletti con copie fotostatiche dell'Enciclopèdie su bellissima carta “a mano”, restai affascinato dai bellissimi disegni tecnici, comprai un fascicoletto e chissà dove è ora, così ho pensato di trattare quella che secondo me ha segnato le vera data di nascita dell'Età Moderna, il 1751, l'anno della pubblicazione del primo volume dell'Enciclopedia.
Non fu un'idea originalissima, altri dizionari enciclopedici la precedettero, addirittura si prese un nome assonante alla Cyclopaedia, un Dizionario delle Arti e delle Scienze di Ephraim Chambers stampato dall'editore inglese Ephraim Chambers nel 1728, che poi era l'idea originaria dell'editore francese, che inizialmente voleva solo una traduzione di quest'opera, che non vide mai la luce in Francia.
La Cyclopaedia in patria e non solo ebbe un grande successo, era un monumentale dizionario enciclopedico in volumi doppi, uno in testo e l'altro in immagini organizzato alfabeticamente e compilato da autori diversi, esperti nei vari campi,nel 1749 vantò addirittura un'edizione tradotta in italiano, stampata a Venezia.
Ma in Francia dissensi anche violenti tra l'editore ed i traduttori che finirono anche in tribunale, impedirono la pubblicazione, che era già stata annunciata.
L'editore Le Breton pensò allora di pubblicarne una tutta nuova, ben più ampia della Cyclopaedia, affidandone prima la “direzione editoriale” all'abate e matematico Jean Paul de Gua de Malves, e poi a Denis Diderot.

Denid Diderot (1713-1784) Si laurea a Parigi, di indole brillante e gran conversatore, la passione per gli ideali illuministi, che gli costerà anche qualche giorno di prigione, gli permetterà di entrare in contatto con i maggiori pensatori della sua epoca, da Voltaire a Rousseau, per la sua conoscenza dell'Inglese gli viene affidata dapprima la traduzione della Cyclopaedia e poi la realizzazione dell'Enciclopedia, ed associa come condirettore editoriale Jean Baptiste Le Rond d'Alembert, sarà il suo coraggio e perchè no, anche la sua incrollabile testardaggine ed il suo coraggio a permettere la realizzazione dell'opera.

Jean Baptiste Le Rond d'Alembert (1717-1783) è già famoso nel mondo accademico francese, brillante matematico, fisico e filosofo, è cresciuto in un orfanotrofio,ma il padre naturale paga i suoi studi, e riesce a raggiungere i più alti livelli d'istruzione.
Grazie ai suoi studi sul calcolo integrale nel 1741 entra nell'Accademia delle Scienze e nell'Accademia di Berlino, della quale rifiuterà più volte la presidenza offertagli da Federico II.
Incontra Diderot nei salotti dell'aristocrazia illuminista parigina e l'idea dell'Enciclopedia lo affascina subito, collaboreranno insieme fino alla parziale rottura nel 1759.

Dopo anni di lavoro, nel 1750 viene pubblicato il “Prospectus”, una specie di piano dell'opera, che si annunciava grandiosa, ottenne un migliaio di sottoscrizioni e le condizioni di acquisto, dettagliate nell'ultima pagina, prevedevano: per dieci volumi in folio dei quali 2 di tavole: 60 lire d'acconto, 36 lire alla consegna del primo volume, prevista per l'anno dopo, 24 lire alla consegna dei successivi, scaglionati di sei mesi in sei mesi, 40 lire alla consegna dell'ottavo volume e dei due tomi di tavole. In tutto, 372 lire la prima Encilopedia Universale, che al termine dell'opera conterà 72.000 articoli scritti da più di 140 autori per un totale di 18.000 pagine di testo, senza contare i volumi di illustrazioni.
Nonostante le difficoltà che la ostacoleranno, l'impresa fu un vero successo editoriale: per 1.158.000 lire spese, ne furono guadagnate 2.162.000, praticamente raddoppiando l'investimento.

L'anno dopo viene pubblicato il primo volume, aperto dal famoso discorso di presentazione di d'Alembert, e tutto procede bene.

Nel Gennaio del 1752 esce il secondo volume, e qui cominciano i problemi.
I Gesuiti si scandalizzano per come certi argomenti vengono esposti, senza fare riferimento all'autorità divina, denunciano l'opera e la censura regia interviene, proibendo le pubblicazioni successive e requisendo quelle già pubblicate.
Per fortuna i salotti parigini illuministi insorgono, e madame de Pompadour, favorita di Luigi XV, si fa portavoce presso il Re.
Esiste una interessantissima lettera che Madame scrisse a Diderot, un capolavoro di diplomazia settecentesca, ella sa che probabilmente la lettera sarebbe stata letta da altri, e che mettersi apertamente contro la Chiesa può rappresentare un pericolo, come lo sarebbe dichiarare un suo potere sul Re, sarebbe solo autolesionismo, ma informa tra le righe Diderot del suo appoggio, che sarà decisivo.

Non cedo alla tentazione di pubblicarla tutta per non tediare il lettore, mi limito a riportarne l'inizio e la fine tralasciando il resto:

Non posso far nulla per la questione del Dizionario Enciclopedico,
Si dice che quel libro contenga massime contrarie alla Religione ed al potere del Re.
Se ciò è vero bisogna bruciare il libro, se non lo è bisogna bruciare i calunniatori.
Ma disgraziatamente sono gli ecclesiastici ad accusarvi e loro non vogliono mai aver torto.

…..............................................................................

Se il libro non è come essi dicono, non posso che compiangervi ed esecrare l'ipocrisia ed il falso zelo, aspettando che mi diate l'occasione di esservi utile.

In effetti la Marchesa sarà utilissima, si fa ospitare spesso dal proprio medico personale, Francois Quesnay, che è anche un autore di voci mediche nell'Enciclopedia, parecchie volte, e qui incontra Diderot e d'Alembert per informarli sulle sue mosse a corte e consigliarli sulle mosse loro.
Alla fine la bella dama l'avrà vinta, il Re, che non ama le idee troppo complicate ed innovative, alla fine cede e permette la pubblicazione dell'opera, grazie anche all'intervento di un magistrato, Malesherbes, responsabile delle biblioteche e della censura reale sulle stampe, sarà lui ad accogliere in casa il terrorizzato Diderot, con i manoscritti del terzo volume già pronto per la stampa, per salvarli dalla distruzione.

I gesuiti non potevano fare migliore pubblicità all'opera, i lettori accorrono in massa a sottoscrivere l'acquisto, pur essendo molto costosa, borghesi danarosi, aristocratici dei salotti e studiosi di successo ed accademici ne decretano un successo insperato, una incredibile vittoria della “Ragione” sulla “Religione” che entusiasma Diderot, ma spaventa d'Alembert, che si ritira dalla posizione di condirettore e resta semplice redattore delle voci di Matematica e delle Scienze.
Così dal 1753 al 57 vengono pubblicati 5 volumi.
Sorgono anche divergenze tra i filosofi, Rousseau, in polemica con la voce “Ginevra” scritta da d'Alembert, abbandonò il progetto.
Ma le polemiche continuano, nel 1758 viene bruciato sulla pubblica piazza “Dello Spirito” volume di filosofia di Helvetius, uno dei più noti estensori dell'Enciclopedia.
Nel 1759 i Gesuiti tornano alla carica, e l'Enciclopedia viene di nuovo bloccata, costringendo autori ed editore a lavorare quasi clandestinamente.

Finalmente nel 1762 i Gesuiti vengono espulsi dalla Francia, e si riprende la pubblicazione almeno dei volumi illustrati, di contenuto tecnico e non filosofico o politico, poi nei tre anni successivi vengono pubblicati altri volumi, con molte difficoltà, addirittura gli ultimi 10 volumi avranno nome dell'editore e luogo di stampa falsi, tra Diderot e l'editore Le Breton, che per prudenza autocensura alcune voci, sorgono dissensi, il povero editore passerà qualche giorno alla Basiglia, accusato di avere introdotto clandestinamente a Versailles alcune copie.

Si arriva addirittura ad un interminabile processo contro Le Breton, accusato dagli autori dell'opera di avere emendato dei testi,tradendo le premesse filosofiche ed editoriali affermate nell'introduzione.
Le copie vendute fino al 1782 sono 25.000, per i tempi e dato il costo astronomico dell'opera completa, fu un risultato clamoroso.
Prima del 1789 circolano per l'Europa ben 6 edizioni tra traduzioni, rifacimenti ed ampliamenti.

Vi u anche un'edizione italiana, La prima edizione in italiano dell'encyclopedie che fu stampata ne a Lucca a partire dal 1758.
Alla realizzazione partecipò anche l'erudito ecclesiastico locale Giovan Domenico Mansi, la cui collaborazione cessò ufficialmente al secondo volume per espressa volontà del Papa ma il Mansi, che diventerà arcivescovo di Lucca, continuò a scrivere in modo anonimo le note al testo e addirittura un elogio di Montesquieu, pubblicato nel quarto volume, pare che a causa di questo, si vide negata la nomina a cardinale.

L' Encicopèdie fu suddivisa in due parti, la prima di 28 volumi, 17 di testo e 11 di illustrazioni.
La seconda di 7, 4 di testo, una d'illustrazione e due di tavole generali.

Tra i collaboratori di questa titanica opera spiccano i nomi più noti delle scienze e delle arti francesi, essendo più di 140 (o 160) i collaboratori, mi limiterò a citarne alcuni:

Il Cavaliere Louis de Jaucourt, poliedrico Pico della Mirandola, studiò persino Teologia, ma si occupava di qualsiasi argomento, e pare lavorasse gratuitamente, fece un lavoro gigantesco, oltre 17.000 voci.

Paul Henri Thiry d'Holbach, filosofo, sotto lo pseudonimo di Jean-Baptiste Mirabaud, figura di spicco dell'Illuminismo radicale europeo.

Louis Daubenton, naturalista e medico, compilò moltissime voci di Storia Naturale.

Montesquieu considerato il fondatore della teoria politica della separazione dei poteri.

Anne-Robert-Jacques Turgot , economista e filosofo, Luigi XVI gli affiderà il controllo delle dissestatissime finanze e lui darà così vita al più organico tentativo di riforma conosciuto dalla Francia settecentesca, ma venne licenziato, e finì come tutti sappiamo.

Hélvetius, filosofo, attento studioso di Newton e Locke.

Jean-Jacques Rousseau, che si occupò di Musica ed Economia Politica

Voltaire, all'epoca già mitico esonente dell'Illuminismo, curò voci di Storia, Letteratura e Filosofia.

Il giudizio più “duro” lo diede forse lo stesso Diderot: Fra molti uomini eccellenti, ve ne stati anche di deboli, di mediocri e perfino di cattivi. A causa di questa discontinuità nell'opera si sono trovati abbozzi degni di scolari, accanto a parti magistrali; una stupidaggine accanto ad una voce sublime, una pagina scritta con forza, purezza, ardore, giudizio, ragione, eleganza sul retro di una pagina povera, meschina, piatta e miserevole.

Da notare che un simile giudizio lo si potrebbe tranquillamente rivolgere alla moderna WIKIPEDIA.

Ma l' Encicopèdie di Diderot e d'Alembbert, col suo ordine sistematico del sapere, il suo disincanto scientifico, che mette in discussione qualsiasi dogma ed ingerenza religiosa, la sua tolleranza verso ogni tipo di idea, l'apprezzamento per il parlamentarismo costituzionale inglese che aprirà la via delle future Democrazie, diventa il manifesto di un modo nuovo di pensare, e segna il confine di un'era nuova attraverso l'Illuminismo, ovvero attraverso la ragione dell'uomo senza rivelazioni esterne immutabili ed indiscutibili.
Cito che la definizione che ne diede Emmanuel Kant sia perfetta:

Considerazioni (molto) personali sull'Illuminismo

Cito la definizione che ne diede Emmanuel Kant, credo sia perfetta:

I'Illuminismo, è l'uscita dell'uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso.
Minorità è l'incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro.
Imputabile a se stesso è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto d'intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. SAPERE AUDE! (ABBI IL CORAGGIO DI CONOSCERE)
Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell'Illuminismo
(In Immanuel Kant, Risposta alla domanda: Che cos'è l'Illuminismo? 1748)

Faccio notare che nell'Illuminismo, di cui l'Enciclopèdie originale rappresenta il manifesto, si fa confluire spesso un numero elevatissimo di personaggi diversissimi tra loro e con idee varie e spesso contrarie, Voltaire definiva Rousseau “cane pazzo”, nell'Illuminismo si trova di tutto, e molti includono tra gli illuministi persino de Sade e la sua opera di cui lessi 3 opere, vincendo il disgusto, "La filosofia nel Boudoir (La Philosophie dans le boudoir) “ a volte viene citata come opera filosofico-illuminista, confesso che non arrivai alla fine, non avevo medicinali sottomano per scongiurare il vomito.
Tutto questo per dire che l'Illuminismo, mio amato riferimento ideale, NON è un'ideologia, è uno strumento per esaminare la realtà delle cose, l'affermazione del libero pensiero, ma come ogni strumento, anche per il pensiero il risultato dipende da chi lo usa, un martello può servire a costruire una libreria, o ad ammazzare il vicinio di casa.....e pensano i geni, le persone normali, gli stupidi ed anche i violenti ed i pazzi criminali.
Dall'illuminisnmo nacque Hegel, e da lui tutta la filosofia ottocentesca fino a Marx, Nietzche ecc.....

La libertà di pensiero è una bellissima cosa, basta che impariamo a non abusarne, e con questo concludo le mie personali, sindacabilissime, considerazioni.

Ogni giorno, quello che scegli, quello che pensi e quello che fai, è ciò che diventi.
Eraclito


Fonti:

Encicopèdie. la Bibbia del Nuovo Mondo – Enrico Ercole – Civiltà

I Borboni di Francia – Gabriele Mandel – Mondadori

L'Italia del Settecento – Montanelli , Gervaso – Rizzoli

L'Illuminismo – Dino Carpanetto, Margaret Gandee Jacob, Luciano Guerel – UTET

Edited by Romeottavio - 6/5/2022, 09:29
view post Posted: 30/11/2013, 09:56 Temistocle , Aristide e la Talassocrazia di Atene - Storia Antica
CITAZIONE (Madamadoré @ 13/11/2013, 23:13) 
Ottima discussione. E'incredibile pensare che, nel secolo seguente, Temistocle, se fosse stato in vita, non avrebbe potuto fare politica. In base alle leggi del IV secolo, si avviarono delle modifiche in materia di cittadinanza ateniese, limitandone l'accesso solo a coloro che avevano entrambi i genitori ateniesi da un tot di generazioni. Tutto questo avvenne nella fase imperialistica ed è ironico perché Temistocle gettò le basi dell'imperialistmo della sua città.

Osservazione acuta, non credo che Temistocle prevedesse una simile evoluzione degli eventi e l'ubriacatura imperialistica che portò alla guerra del Peloponneso, a mio personale giudizio fu Pericle che portò una eccessiva concezione di superiorità negli ateniesi.
view post Posted: 15/6/2013, 11:08 La politica di Ludovico il Moro, fallimento del Rinascimento italiano. - Storia Medievale

Ludovico Sforza , detto il Moro , la Ruina d' Italia.





La figura di Ludovico , o Lodovico Maria , il Moro , vero archetipo e progenitore del politico machiavellico , privo di scrupoli e teso all' obbiettivo del potere assoluto , pronto ad usare diplomazia , forza e astuzia per i propri scopi , mi hà sempre affascinato , è veramente sorprendente osservare come questa profusione di abilità tattiche contingenti , in assenza di una visione strategica e di comprensione dell' evoluzione storica in atto , portò a quella che il Guicciardini nominò : La Ruina D' Italia.

moro 5

Prologo:

L' 8 marzo 1466 , morto improvvisamente il grande Francesco Sforza , creatore della dinastia , gli successe il primogenito .
Nonostante il padre gli avesse messo al fianco il maggior statista che la storia milanese avesse conosciuto , Cicco Simonetta , la politica di Galeazzo Maria stava progressivamente isolando il ducato.
Il fatto che gli altri stati italiani lo considerassero ancora un indispensabile polo della politica italiana , era solo un retaggio dell'importanza raggiunta dal ducato con Francesco Sforza , il lusso della corte , la palese dissolutezza e immoralità del duca e la sua acclarata incapacità , fecero dimenticare quel poco che di buono aveva fatto (o piuttosto che aveva fatto il Simonetta) per aiutare l'economia cittadina , con interventi a favore dell'industria e del commercio , non lasciò perciò nessun rimpianto nei suoi sudditi quando fù assassinato .
Il giorno di Natale del 1476 , fu pugnalato a morte da un gruppo di congiurati davanti alla chiesa di Santo Stefano .

La presa del potere:

moro 1

La crisi dello stato milanese faceva cadere un elemento forte dell'equilibrio tra gli stati italiani.
All'interno del ducato , le ribellioni che in molte città serpeggiavano vennero alla luce , il fatto che l'erede di Galeazzo Maria, Gian Galeazzo , avesse appena sei anni fece apparire disperato , pur con l'aiuto del Simonetta , il compito della reggente , la duchessa madre Bona di Savoia , tanto piú che c'erano pretendenti nella stessa cerchia familiare , i fratelli del duca defunto.
Essi erano: il pacifico Filippo Maria , il turbolento Sforza Maria , Ludovico detto il Moro , il piú astuto di tutti, Ascanio e Ottaviano.
Parve che un primo contrasto tra loro e la duchessa potesse essere composto grazie all'intervento del marchese di Mantova Ludovico Gonzaga , ma nel 1477 i fratelli Sforza cercarono di provocare in città una rivolta , riuscirono solo a impadronirsi delle fortificazioni di porta Tosa , poi , accerchiati dalle truppe rimaste fedeli alla duchessa , dovettero arrendersi e chiedere perdono alla reggente , o meglio al Simonetta che ne curava gli interessi , che lo concesse solo a patto che abbandonassero il territorio del ducato.
Ottaviano , che non aveva voluto arrendersi e aveva tentato la fuga morí annegando nel tentativo di passare a guado l'Adda , Sforza Maria dovette tornare nel suo feudo di Bari , Ludovico ebbe dalla cognata l'ordine di stabilirsi a Pisa , mentre Ascanio , futuro Cardinale , venne invitato a occuparsi della sua carriera ecclesiastica .
A quel punto Bona cedette almeno nominalmente il ducato al figlio , che assunse solennemente i suoi poteri il 2 aprile del 1478 , ma già il il 26 di quello stesso mese spuntavano sul ducato nubi minacciose di guerra.
Scoppiava infatti a Firenze la rivolta dei Pazzi , fomentata da papa Sisto IV e dal re di Napoli , fallita la rivolta , Sisto IV decise di intervenire apertamente contro Lorenzo de' Medici che chiese aiuto a Milano , Sisto IV allora cercò di mettere in difficoltà Milano provocando a Genova un'altra rivolta che dapprima' riuscí , poi fu domata con gran fatica e con gravi perdite dagli sforzeschi , altri guai arrivarono dalla Confederazione dei cantoni svizzeri a muover guerra a Milano sempre per istigazione del papa , cosí i milanesi non solo dovettero rinunciare ad aiutare Firenze , ma dovettero pensare a sè stèssi e non bastò ugualmente , visto che il 28 dicembre del 1478 l' esercito sforzesco fu praticamente distrutto a Giornico e solo il provvidenziale intervento del re di Francia indusse gli svizzeri a far la pace.
A peggiorare la situazione per il governo di Milano venne al principio del 1479 la notizia che i fratelli Sforza avevano abbandonato le città in cui erano stati relegati e si erano uniti alle truppe che agli ordini di Roberto da Sanseverino si apprestavano ad invadere il ducato di Milano , secondo loro pèr proteggere Bona e l' erede dallo strapotere del Simonetta , ma ancora all'inizio dell'impresa i ribelli subirono un duro colpo , moriva all'improvviso (si disse che era stato avvelenato per ordine di Cicco Simonetta) il piú autorevole degli Sforza , Sforza Maria.
Ludovico , piú portato alla diplomazia che alla guerra , cambiò di colpo tattica , chiese a Bona , tramite l' intermediazione del favorito (amante di lei) , il reggiano Antonio Tassino , che , tenuto lontano dal potere dal Simonetta , sperava in una istituzionalizzazione del suo ruolo , la riconciliazione , disse di riconoscere i propri torti e chiese di poter tornare a Milano facendo atto di completa sottomissione al legittimo duca , ci fu un breve intermezzo di intrighi e trattative , congiure e alleanze , nel caos piú completo all'improvviso venne , come un fulmine a ciel sereno , l'accordo tra Bona e Ludovico e tre giorni dopo era già chiaro che il nuovo padrone di Milano era il Moro , il Simonetta era già stato arrestato e poco dopo veniva decapitato.
Perdendo il Simonetta (ma l'ordine di arrestarlo l'aveva firmato proprio lei) Bona perdeva il solo alleato in grado di sostenerla contro il cognato , preferí invece fidarsi del suo favorito .
Mentre il Simonetta era ancora in carcere a Pavia in attesa della decapitazioneh, nell'ottobre 1480 anche il Tassino fu eliminato , il Moro lo bandì da Milano e quindi relegò lei e il figlio , il duca , nel castello di porta Giovia e , autonominatosi tutore del duca suo nipote , assunse ufficialmente e apertamente il potere in nome di lui.

La gestione del potere:

moro 10

A questo punto , saggiamente andò in aiuto di Lorenzo , per ricostituire l' equilibrio che i Medici e suo padre Francesco erano riusciti a creare.
Usando abilmente la propria diplomazia riuscí a far terminare nel marzo del 1480 la guerra contro Firenze.
Ma papa Sisto IV in aprile stringeva con Venezia un'alleanza che era dichiaratamente antifiorentina e antisforzesca , il Moro , Lorenzo de' Medici e Ferdinando di Napoli reagivano stringendo a loro volta una lega .
Questa breve pace armata fù interrotta nel 1482 , quando l' espansionismo Sforzesco indusse il signore di Parma , Pier Maria de' Rossi a un'estrema difesa , chiese aiuto a Venezia che intervenne , il primo attacco dei veneziani fu portato contro Ferrara , in favore di Ferrara intervenne la lega e la guerra divampò in tutta Italia.
Fù una guerra caotica , evènto nòn raro in un' epoca dove a combattere erano eserciti mercenari , usi a cambiar padrone spesso e volentieri , con continui rovesciamenti di fronti e di alleanze.
Il Moro cercò di tagliar corto firmando la pace separata con Venezia (7 agosto 1484), ma già si trovava in contrasto con Firenze per il possesso di Sarzana , senza contare che alle spalle lo attaccavano gli svizzeri.
Quando poi si profilò una nuova guerra , questa volta tra il re di Napoli e il papa , lo Sforza , sapendo che tutti gli stati italiani vi sarebbero stati coinvolti cercò di evitarla , i suoi sforzi diplomatici fallirono ed egli si schierò con Napoli .
L'intervento di una forte armata sforzesca comandata da Gian Giacomo Trivulzio , che in quella occasione fu definitivamente consacrato il massimo condottiero del suo tempo , portò alla vittoria di Montorio (7 maggio 1486).
Il papa fu costretto a trattare e nel' agosto la pace fu conclusa , il vero vincitore era lo Sforza , e lo riconobbero i genovesi , che l'anno dopo facevano atto di sottomisisone al ducato di Milano.
Nel 1493 il Moro aveva raggiunto una posizione tale da poter trattare con l'imperatore Massimiliano d'Asburgo per ottenere il titolo di duca di Milano , infatti nessuno degli Sforza prima di lui aveva avuto il titolo di duca dall'imperatore e perciò nemmeno Gian Galeazzo aveva formalmente alcun diritto al ducato , il Moro , politico tattico abilissimo , mancava in strategia e lungimiranza , nòn aveva capito la trasformazione in atto verso monarchie nazionali , e pensava che il vecchio ordinamento feudale lo avrebbe protetto , finì invece col legarsi còn un impero nòn più sovranazionale , che di lì a poco avrebbe ammesso il proprio ridimensionamento (e la propria impotenza) autochiamandosi Sacro Impero Romano della Nazione Germanica (e quindi solo di quella).
Le trattative furono abbastanza lunghe ma profittevoli , l'imperatore concesse il titolo e Ludovico in cambio gli concedeva la mano della nipote Bianca Maria (sorella di Gian Galeazzo ) con una sostanziosissima dote .
Il matrimonio di Massimiliano e Bianca Maria avvenne in quello stesso novembre, mentre l'investitura di Ludovico datò dal 5 settembre del 1494 , poco dopo, il 20 ottobre , Gian Galeazzo, non piú duca nemmeno di nome , moriva , nonostante la provvidenzialità del fatto , praticamente nessuno accusò il Moro , il duchetto , di non forte costituzione , conduceva una vita dedita agli stravizi .
Per Ludovico nonostante tutto incominciavano gravi preoccupazioni , perché malgrado trattati e alleanze formali gli altri stati e gli altri sovrani italiani gli erano fondamentalmente ostili
, né poteva contare su un impero che era ricco di nobiltà ma povero di mezzi , scegliendo comunque quella che gli pareva la condotta meno rischiosa , si legò ancor piú al re di Francia Carlo VIII , e quando questi negli ultimi mesi del 1493 scese in Italia per andare alla conquista del regno di Napoli , il Moro si schierò al suo fianco.
Ma appena Napoli fu caduta in mano ai francesi (22 febbraio 1495) si preoccupò per il peso che in Italia avrebbe avuto Carlo e per bilanciarlo concluse una alleanza con Venezia con la quale aveva iniziato trattative segrete tempo prima.
Per giunta una delle armate francesi rimasta in Piemonte al comando del duca di Orléans , incominciava a far scorrerie nel ducato di Milano (e il duca di Orléans vantava , in quanto discendente di Valentina Visconti , diritti sul ducato e trattava gli Sforza da usurpatori).
Le preoccupazioni non mancavano nemmeno per Carlo VIII , dovette abbandonare Napoli e ripartire dall' Italia , il 12 giugno a Fornovo , pur perdendo còn forti perdite la battaglia , riusciva ad aprirsi la via per il ritorno in Francia .

L' inizio della fine:



Il Moro credette che il ritorno fosse definitivo e che i francesi , memori delle perdite subite , avessero rinunciato all'Italia , pensando di utilizarli come pedina del suo gioco diplomatico , abbandonò Venezia , restando praticamente isolato sul territorio nazionale , firmò una pace separata con Carlo VIII il quale gli restituí Novara in cambio dell'impegno assunto dal Moro che , se la Francia avesse voluto ancora attaccare Napoli , avrebbe avuto l'aiuto di Milano.
Contro ogni calcolo dello Sforza , già l'anno dopo Carlo VIII gli chiese di mantenere quell'impegno , lo Sforza , senza alleati tergiversò , ma Carlo VIII spedí in Italia le sue armate al comando del duca di Orléans , allo Sforza non restava che chiedere aiuto all'imperatore Massimiliano , ma quando questi accettò di venire in Italia , venne con truppe e mezzi del tutto inadeguati .
Per di piú , tra la fine del 1496 e il principio del 1497 il Moro fu duramente colpito nei suoi affetti piú cari , il 24 novembre 1496 gli moriva la figlia Bianca , il 2 gennaio 1497 la moglie Beatrice D' Este.
Intanto la pressione francese ai confini del ducato aumentava , l'improvvisa morte (7 aprile 1498) di Carlo VIII illuse il duca di Milano di poter ora ottenere tregua , ma al trono di Francia salí , col nome di Luigi XII, proprio il duca di Orléans che subito si proclamò unico legittimo duca di Milano , e poco piú tardi , dopo essersi assicurato l'alleanza di tutti gli stati italiani , il 15 luglio 1499 ordinò al Trivulzio di invadere il Milanese.
A stento il Moro riuscí a fuggire da Milano e con le poche truppe rimastegli fedeli si rifugiò presso Massimiliano , a Innsbruck.
Qui preparò la rivincita , riuscí ad assoldare un esercito di 9000 svizzeri e borgognoni , il 2 febbraio , con una scorreria rapidissima entravano in Milano le avanguardie sforzesche , il 5 passava da Milano anche Ludovico che poi a Pavia riorganizzava il suo esercito e costringeva il Trivulzio a ritirarsi verso Novara.
Ma all'improvviso avviene il crollo , Venezia attacca e occupa Lodi e Piacenza , a Novara gli svizzeri al soldo del Moro si rifiutano di combattere , il resto dell'armata sforzesca è battuta (8 aprile) , il Moro , disperando ormai , chiede agli svizzeri di metterlo in salvo , gli vien concesso di mischiarsi , camuffato da soldato elvetico , alle truppe che sfilano davanti ai vincitori (10 aprile) . Viene riconociuto, catturato e.rinchiuso nella rocca di Novara.
Ascanio , informato della rovina del fratello cerca scampo fuggendo verso Roma , ma i veneziani riescono a raggiungerlo , e anche il cardinale vien consegnato prigioniero ai francesi.
Tradotto in Francia e relegato in un castello del Berry , il Moro vi finiva i suoi giorni il 27 maggio 1508.

moro 4

La fine.

Con la sua caduta , Milano cessava di essere uno stato libero e indipendente per diventare parte del regno di Francia , ma per breve tempo l'ombra degli Sforza fu ancora su Milano , nel 1512 Massimiliano , figlio di Ludovico , e più tardi il fratello Francesco II , riuscirono a detenere brevemente il potere del ducato , ma sempre sotto la protezione dell' impero di Carlo V , svolgendo più l' incarico di vicere che di Duchi , còn la morte senza eredi di Francesco il Ducato passerà defini tivamente all' Impero e quindi alla Spagna .
Da questo momento l' Italia diviene teatro di conquista e spartizione da parte delle potenze nazionali straniere .

moro 3.jpg

Hò qui tratteggiato gli avvenimenti politicomilitari , il personaggio meriterebbe un approfondimento per quanto riguarda la politica interna del ducato durante la sua signoria , sia dal lato delle politiche economiche che del mecenatismo e della vita privata , non priva di interesse .

Fonti:
Gli Sforza – G. Piazza – Mondadori
I terribili Sforza – Antonio Perria – Longanesi
I Medici – M.L. Rizzati – Mondadori
Il Magnifico – A. Altomonte – Rusconi
Gli Estensi – Bruno Rossi – Mondadori
Beatrice d' Este – S. Alberti de Mazzeri – Fabbri editori
L'Italia dei secoli d'oro – Montanelli, Gervaso – Rizzol
Storia d' Italia , il meriggio del Rinascimento – Montanelli , Gervaso – Rizzoli
Storia d'Italia - Francesco Guicciardini - Garzanti, ma la potete trovare gratuitamente qui:
www.letteraturaitaliana.net/pdf/Volume_4/t90.pdf

Edited by Romeottavio - 18/6/2013, 11:23
view post Posted: 14/6/2013, 16:21 La più bella - Personaggi
Ragazze, vi siete dimenticate di Diana di Poitiers, che a 60 anni era ancora l'amante di Enrico II, che poteva comodamente esserne il figlio, e stò parlando del 1500, quando una donna di 40 anni ers considerata vecchia, solo la morte di lui interruppe l'amore, io col computer sono un disasto, ma l'iconografia di Diana, anche in età avanzata dà l'idea di una bellezza femminea assoluta.
view post Posted: 12/6/2013, 15:19 ed eccone un'altra - Presentazioni
Benvenuta, Vivien Leigh l'ho vista al cinema da bambino, splendida donna. ^_^
view post Posted: 11/6/2013, 18:16 Claudio Ratulio Namaziano - Storia Antica
Veramente interessante, complimenti, non conoscevo il personaggio, che per l'epoca in cui ha vissuto mi pare interessantissimo se non unico, sai se i suoi scritti sono pubblicati?

PS: Ho trovato il testo latino del "ritorno" , tenterò di rispolverare il mio scarso ed arrugginito latno.
www.thelatinlibrary.com/rutilius.html
69 replies since 2/12/2009